Rifarsi il look non basta ai giornali

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12 Novembre 2014

La prima cosa che accade quando un sito ridisegna la sua veste grafica è l’immancabile critica del visitatore abituale. Dal New York Times al Guardian, dal Corriere della Sera a Repubblica, tutti hanno investito, chi prima e con successo, chi tardi e male, in un design responsive: ovvero sulla possibilità di visitare lo stesso sito da dispositivi differenti (tablet, desktop, mobile etc) agevolando quel che oggi va di moda definire l’esperienza dell’utente (leggibilità, velocità, adattabilità della finestra, posizione delle notizie etc). I contenuti si adattano al dispositivo e alla finestra in cui si visualizzano, e il lettore è più contento perché non deve smanettare al cellulare per leggere l’articolo che gli interessa. Anche Politico, fondato nel 2007 e di proprietà della Allbritton Communication, si è rifatto il look. È diventato responsive per i suoi 4 milioni di visitatori unici mensili. Garantire al proprio lettore la navigabilità è uno dei punti fermi comuni per ogni business digitale, specialmente per i giornali in lotta con lo spostamento di valore dal vecchio modello novecentesco al nuovo.

A ogni modifica grafica le critiche sono immancabili ma saperle sfruttare per ottenere ottimi risultati è materia per veri professionisti. Il Guardian è in questo senso un caso studio di successo: dopo un anno di sviluppo ha rilasciato la versione beta della nuova versione in febbraio, a Marzo ha ricevuto oltre 5000 commenti dei lettori; alcuni positivi ma altri molto negativi, ed è su questi che si è concentrato il team di sviluppatori. Una delle caratteristiche principali del giornalismo contemporaneo è il feedback istantaneo: sappiamo immediatamente chi ci legge e cosa pensa di noi. (Se non lo sappiamo è un problema: perché significa che nessuno è interessato neppure a criticarci). Sfruttare questo capitale informativo collettivo per migliorare un brand privato è un’operazione ambiziosa e intelligente.

I ricavi digitali rappresentano un terzo della società nel suo ultimo anno fiscale, e le entrate crescono del 24 per cento a £ 69.500.000 (88 mila euro anche se Guardian News&Media ha registrato perdite complessive di  £ 30.600.000 (38 mila euro). Secondo quanto ha raccontato Tanya Cordrey, Media Chief digital officer al Guardian, il team di sviluppatori ha costruito e aggiustato pezzo dopo pezzo il sito, basandosi sulle lamentele e critiche propositive dei lettori. I problemi comuni sono la facilità con cui trovare i contenuti (la navigabilità) e la velocità con cui si caricano le pagine.

Il Guardian ha utilizzato il feedback istantaneo della sua rete di lettori e ha messo nello stesso spazio di lavoro i product menager, i giornalisti, gli ingegneri, il pubblico, i designer per apportare modifiche in tempo reale considerando l’expertise ma anche il gusto e l’interesse collettivo.

Karen McGrane, esperta di adaptive content, e Ethan Marcotte, l’ideatore del termine Responsive web design, hanno intervistato Trei Brundrett, Chief Product Officer di Vox Media, proprietaria del giornale sportivo Sb Nation, di quello tecnologico The Verge e di Vox, il progetto di explanatory journalism di Ezra Klein. Oltre a magnificare l’importanza di un design responsive, sia per i contenuti sia per le pubblicità, Trei ci ricorda qualcosa di importante riguardo al successo di un sito, spiegando che nei media c’è l’ansia del numero di visitatori, e che il sito deve essere attraente sotto l’aspetto grafico, ma che per Vox Media ha pensato anzitutto alla creazione di una community forte (nel caso specifico quella sportiva su Sb Nation) perché l’esperienza dell’utente, cioè quanto bene si trova sul tuo sito e quanto vuole tornarci, serve per poi vendere quel pubblico agli inserzionisti.

Ed è questa la parte più interessante del Guardian, su cui torneremo in modo più approfondito spiegando come abbia messo l’utente al centro della produzione di contenuti. Non solo che sappia concepire un design attraente e identificativo, ma che abbia ben presente che il valore del prodotto che vende è rappresentato anche dalla community di lettori che riesce a coinvolgere. Dare voce al lettore, parlarci, consentire l’interazione, in altre parole conoscere il tuo lettore è fondamentale. O si rischia di spostare i contenuti sullo schermo ossessivamente, cambiare font e i colori, rifarsi molte volte pur essendo sostanzialmente vecchi.

 

 

TAG: guardian, politico, responsive design
CAT: Internet

2 Commenti

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  1. Gaia Stefani 9 anni fa

    Dare voce al pubblico è fondamentale, su questo sono d’accordo, il mio dubbio è: il pubblico e le aziende italiane hanno la capacità di cogliere i feedback giusti ?

    Progetto interfacce web da più di 15 anni e mi stupisco ancora quando tutti vogliono dire la loro, senza nessun tipo di conoscenza in materia, ma basandosi su “mi piace” “non mi piace”.

    Quasi sempre quando si ridisegna un’interfaccia già nota a molti c’è l’insurrezione popolare, succede anche quando Facebook cambia la timeline, bastano però pochi giorni perché le persone si abituino alla nuova disposizione dei contenuti che tutto torna alla normalità.
    Spesso succede anche che interfacce troppo innovative come la realise 2.0 di newsweek, a mio parere veramente ben fatta, vengano tolte dopo neanche un mese di vita perchè ancora troppo “innavigabili” dal grande pubblico.

    Qual’è il giusto equilibrio tra tecnologia, studio dell’interfaccia e design?
    Siamo in grado di capire quali sono i feedback giusti per fare in modo che il nostro sito, in questo caso parliamo di editoria, funzioni?

    Nel paese dei tuttologi ho qualche dubbio…

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    1. SocialGraph 9 anni fa

      Grazie Gaia per introdurre questo problema: quello della negoziazione tra pubblico, cliente e team di progettazione. Se il committente non è in grado di formulare critiche pertinenti perché non possiede le competenze necessarie ( l’expertise del grafico, potremmo dire), crediamo sia compito di chi le possiede (in questo caso anche tuo, di professionista con una carriera e esperienze) trovare un equilibrio tra le parti. E’ un lavoro di mediazione: perché se è vero che alcune questioni tecniche sono oggettive e seguono studi di funzionalità, è anche vero che poi il prodotto deve piacere al pubblico, e che quindi in un contesto 2.0 debba avere diritto di parola. Sta poi al team di esperti selezionare critiche meritevoli dal rumore di fondo. Questa è la sfida

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