To leave or not to leave: indecisione sulla Brexit e incertezza sui dati
Scritto con Marco Basaldella (PhD Student in Computer Science, Università di Udine)
Questa cosa della Brexit e dell’interpretazione/previsione di quel che è stato e che sarà, forse, ci ha un po’ preso la mano, allontanandoci, per un istante, dalla nostra innata propensione ad essere ct della nazionale per mostrare al mondo intero insospettate competenze in geopolitica ed economia internazionale.
Ma niente paura: stasera alle 18 ci sono gli ottavi contro la Spagna e tutto tornerà in ordine.
Prima di tutto, però, proprio in virtù di quanto appena scritto, mea culpa, mea maxima culpa (Canova speaking) perché mi sono lasciato prendere dalla passione per la questione intergenerazionale, accodandomi al grido di “mannaggia agli umarell” di fronte alle prime proiezioni di Yougov che davano gli over 65 come principali responsabili della Brexit e gli under 35 , invece, come alfieri dell’europeismo.
Purtroppo, il desiderio di un’evidenza empirica in accordo con i desideri è prevalsa su una corretta interpretazione dei fatti che, comunque, meritano dei distinguo.
Gli under 35, in effetti, sempre secondo le proiezioni, sono la fascia d’età che ha maggiormente disertato le urne.
Il che deve però combinarsi con il corollario che la partecipazione a un voto va confrontata, all’interno di una certa popolazione, tra elezioni differenti: e qui i giovani, ahimè, (fatto salvo il primo voto appena raggiungono la maggiore età) mostrano tassi di partecipazione tradizionalmente sempre bassi, mentre in questa elezione sono stati sensibilmente più elevati che in passato. C’è dunque un problema che va ben oltre la Brexit e si collega semmai alla crisi delle nostre istituzioni democratiche più consolidate. Si aggiunga ciò al fatto, sempre sottovalutato troppo spesso ad avviso di chi scrive, che il voto al referendum era di giovedì (giorno lavorativo) e con una procedura time consuming di registrazione per il voto.
E’ una giustificazione verso chi si astiene? Assolutamente no.
I giovani avrebbero potuto alzare il sedere? Senz’altro sì.
Ma direi semplicemente che ogni conclusione sulla questione è distorta, da una parte e dall’altra. L’inatteso risultato di Brexit merita semmai una riflessione ancora più forte sull’opportunità del referendum come strumentoadatto a dirimere una questione tanto delicata.
In ogni caso, veniamo ad altri dati, che ovviamente sono sempre basati su alcune elaborazioni da considerare cum grano salis.
Subito dopo il grido di dolore per il referendum, infatti, ha fatto parlare molto di sè (sopratutto sulle prime pagine dei giornali italiani) una petizione sottoposta al parlamento inglese che propone di indire un secondo referendum, avendo il primo ottenuto risultati non sufficientemente maggioritari (sotto il 60% la percentuale di chi ha vinto) e con una partecipazione non oceanica (sotto il 75%).
A parte il fatto che sia un po’ la logica dello gne-gne, sicuramente si è trattato di un clamoroso successo mediatico, visto che la petizione ha raggiunto, in poco più di 48 ore, quasi 3,7 milioni di firme.
Sfruttando però la forza degli open data, rastrellando informazioni da un sito che raccoglie info sui firmatari, viene fuori una mappa delle firme alla petizione rappresentata da questo grafico:
Le aree colorate in rosso sono quelle che presentano più firmatari: non stupisce l’Inghilterra, ovviamente, ma si noti come un sacco di firme arrivino dagli Stati Uniti, dalla Francia e dalla Spagna: sono tutti cittadini inglesi indignati?
In realtà, non è così difficile, anche per un cittadino non inglese, firmare la petizione (ci sono dei Giuseppe Mazzini che, al di là della nostalgia per la Giovine Europa, destano parecchi sospetti). Colpisce l’alta densità di firme in Spagna (il primo paese ad andare al voto dopo Brexit) e in Francia (la paura di un’iniziativa simile promossa da Marine Le Pen?).
Un esercizio che abbiamo provato a fare, grazie alla perizia analitica del computer scientist del gruppo (Marco Basaldella speaking), è quello di confrontare la provenienza dei firmatari della petizione in UK con quella di chi ha votato al referendum.
Partiamo dal presupposto che si tratta di un esercizio numerico basato su assunzioni e su una fonte dati che, appunto, presenta diverse criticità: del resto, anche le informazioni fino ad oggi diffuse riguardano sondaggi e proeiezioni.
In ogni caso, il grafico seguente è comunque molto interessante:
E cosa salta fuori? Che chi sta chiedendo il secondo referendum risiede proprio lì dove hanno votato di più i sostenitori del Leave.
Infatti, la percentuale di elettori che nel sud est e ovest chiede un secondo referendum è doppia rispetto alla Scozia e all’Irlanda, che si sono pronunciate a favore del Remain.
Forse questa è soltanto la distribuzione di chi ama le petizioni online (altissima selection bias fuori discussione), ma non è troppo sbagliato pensare come il rimpianto sia cocente lì dove più forte è stata la delusione.
Bregret?
O una certa predisposizione all’ indecisione di Amleto?
Che fare? Prendere le armi contro un mare di affanni e, contrastandoli, porre loro fine?
Oppure fermarsi un attimo a lasciar decantare le isterie, concludendo che, davvero, dare i numeri su questa vicenda sia complicato, e che il grande Boh di questo evento comunque storico presenti ancora tutte le sue incognite senza una risposta chiara e con tante domande che richiedono un progetto politico (prima che statistico) forte?
2 Commenti
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Considerando che parliamo di 3 milioni di sottoscrizioni a fronte di 30 milioni di voti è probabile che chi ha votato remain in aree dove ha vinto il leave cerchi di rivalersi attraverso questa petizione.
Segnalo: «Brexit»: faut-il douter des 3,9 millions de soutiens à la pétition pour un nouveau scrutin? LE MONDE | 27.06.2016 à 19h16 • Mis à jour le 28.06.2016 à 08h33 | Par Pierre Breteau et Adrien Sénécat
http://www.lemonde.fr/les-decodeurs/article/2016/06/27/brexit-faut-il-douter-des-3-millions-de-soutiens-a-la-petition-pour-un-nouveau-vote_4959229_4355770.html