La credibilità di Juncker in Europa è sepolta da Luxleaks
Ogni volta che Juncker parla, un europeo smette di essere europeista. Il presidente della Commissione è tornato a indossare i panni dell’arbitro, ammonendo Italia e Francia sulle riforme e sui conti pubblici. Beninteso, non ci sarebbe niente di male: il ruolo che occupa gli conferisce il potere di bacchettare i partner. Peraltro non bisogna nemmeno rifugiarsi in una visione patriottarda, difendendo a spada tratta il governo italiano che è chiamato a fare molto di più. Ci mancherebbe.
Il problema è un altro: Juncker, quando parla, non è credibile. Lo scandalo, ribattezzato Luxleaks, ha raccontato di come il Lussemburgo provvedesse a gabbare gli altri Paesi europei, proprio quando Juncker era premier. Il Granducato faceva una sorta di concorrenza scorretta, concedendo regimi fiscali molto agevolati alle aziende che non pagavano le tasse – per esempio – in Italia, scegliendo il porto sicuro del Lussemburgo. «Non sono l’architetto di quello che si potrebbe definire il problema lussemburghese», si è difeso. L’architetto forse no, ma il notaio sicuramente sì.
Un’altra presunta motivazione usata come giustificazione è che “tanto si sapeva”. Certo, era noto che il Lussemburgo attuasse politiche fiscali del genere. Ma quello che prima “si sapeva” adesso è acclarato. La differenza non è proprio marginale.
Insomma, pur facendo ricorso a tutta la realpolitik dell’universo-mondo, diventa difficile accettare lezioni da un leader politico che è stato alla guida di un Paese che ha agito al di fuori del principio del rispetto reciproco. Per questo Jean-Claude Juncker non ha la credibilità per impartire lezioni. E la questione non è puro tecnicismo, un comportamento da capriccioso oppositori, bensì riguarda la tenuta dell’Unione europea. La resistenza del lussemburghese al vertice della Commissione europea arma il braccio del fronte anti-europeista, capitanato da Marine Le Pen e in cui anche la Lega sguazza a piacimento.
Tra l’altro, accantonando un momento la querelle Luxleaks, Juncker è anche l’ideatore del “piano da 300 miliardi di euro”, che in verità prevede solo 21 miliardi di investimenti pubblici. La moltiplicazione a 300 miliardi dovrebbe avvenire attraverso l’attivazione di investimenti privati. Dovrebbe quindi innescarsi l’effetto “palla di neve”, che rotola e cresce, e che in verità assomiglia a un “pallone gonfiato” di promesse.
In questo scenario, non ci si deve meravigliare dall’avanzata di Syriza in Grecia e di Podemos in Spagna, partiti che a Bruxelles sono visti come pericolosi eversivi. La “minaccia dello spread” potrebbe non bastare a portare i greci al sostenere Samaras e i suoi alleati (l’attuale coalizione che sta seguendo i dettami della troika). Gli elettori sono stanchi e chiedono un cambiamento.
E se poi le condizioni vengono dettate da una figura screditata come Juncker, allora diventa difficile convincerli che le scelte in ambito europeo siano le migliori possibili.
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