La cogestione aziendale, un nuovo patto per il lavoro

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20 Giugno 2015

L’economia del nostro paese soffre di una insufficiente crescita economica, le cui cause sono da attribuirsi: alle inefficienze della pubblica amministrazione, alla lentezza della giustizia civile, alla mancanza di infrastrutture adeguate, al divario tecnologico e organizzativo e alla bassa produttività delle nostre imprese. Poco si parla, se non in via accademica, di un fattore che oltre a ricucire le fratture sociali tra impresa e forza lavoro può rappresentare il volano per la ripresa della nostra economia: il coinvolgimento dei dipendenti nella governance delle imprese.

Una maggiore partecipazione dei lavoratori alle decisioni aziendali non può che accrescere il livello di coinvolgimento e di identificazione verso l’azienda in cui si lavora consentendo soluzioni produttive più efficienti oltre che ad incrementare la produttività.

Schematizzando è possibile identificare due modelli di relationships tra azienda e lavoratori : quello anglosassone e quello tedesco.

Nel modello anglosassone il mercato del lavoro è molto fluido ed il lavoratore può trovare velocemente un nuovo impiego. Le aziende quando hanno la necessità di nuove competenze non investono sul lavoratore già in carico ma lo rimpiazzano con uno nuovo presente nel mercato ed in possesso di tali competenze. La tutela per il lavoratore è insita nella possibilità stessa di uscire dall’azienda senza rischiare di rimanere per lunghi periodi disoccupato. Questa fluidità tra domanda e offerta comporta però un ridotto coinvolgimento del lavoratore nell’impresa ed una formazione minima del dipendente da parte dell’impresa stessa.

Il secondo modello, che si contrappone al precedente, è quello tedesco nel quale l’azienda cerca di costruire relazioni strette con i dipendenti, impegnandosi a preservare i posti di lavoro ed investire nella formazione, in cambio di una stabilità lavorativa e di un coinvolgimento dei dipendenti stessi nella gestione, anche attraverso l’inserimento di rappresentanti dei lavoratori negli organi direzionali dell’azienda. La partecipazione attiva dei dipendenti assicurerà così una elevata produttività e una qualità elevata dei prodotti ( come riscontrato dall’alta produttività tedesca ).

Nel nostro paese non è possibile riscontrare una similitudine con nessuno dei modelli presi in esame in quanto le fratture ideologiche tra azienda e sindacati ed i fattori endemici del nostro tessuto produttivo hanno impedito una reale e proficua collaborazione tra i soggetti interessati, portando con se conseguenze che ancora oggi ingessano il mercato del lavoro : lunghe permanenze in stato di disoccupazione, una scarsa identificazione del dipendente alla propria azienda ed una reciproca diffidenza che, unendo gli effetti, rappresentano le principali cause della scarsa produttività della nostra economia.

Con l’impiego dei contratti nazionali di categoria si sono inoltre limitati gli spazi di contrattazione aziendale interna, strumento grazie al quale si possono creare le condizioni per forme di premi di produzione specifici basati sui risultati e su forme personalizzate di coinvolgimento dei dipendenti nella gestione aziendale.

Dal verso aziendale è possibile però evidenziare alcuni fattori che rendono gli imprenditori diffidenti nell’intraprendere tale scelta:

– La persistente diffidenza tra i soggetti interessati a causa della forte ideologizzazione del mondo del lavoro quale retaggio dello scontro socio-economico-politico del novecento;
– La peculiarità del tessuto produttivo italiano: piccole aziende a conduzione familiare con pochi dipendenti. In questo contesto, dove risulta difficoltoso anche instaurare collaborazioni tra le aziende stesse, è al quanto arduo pensare che un imprenditore decida di cedere una parte del proprio potere decisionale.

-Nella fase introduttiva della cogestione, il possibile rischio di un allungamento dei tempi decisionali e quindi costi aggiuntivi per l’impresa;
Ma il modello di cogestione incontra molteplici oppositori anche nella società: infatti se i liberisti conservatori obiettano che l’inserimento di rappresentanti dei lavoratori, nei livelli decisionali di un’azienda, non può che essere considerato come un’invasione di campo della libertà imprenditoriale e dell’autonomia decisionale dell’imprenditore, alcuni sindacati lo considerano invece una forma di assoggettamento dei lavoratori alle logiche padronali tradendo così lo spirito della lotta di classe tra capitale e lavoro.

Se il nostro paese vuole uscire dalla crisi economica e diventare una nazione europea e moderna, è necessario che tutti i soggetti interessati collaborino come una squadra, lasciando al passato le diffidenze e le strumentalizzazioni ideologiche.

Il governo con la recente riforma del mercato del lavoro Jobs act avrebbe potuto favorire forme partecipative di cogestione aziendale facilitando e rendendone vantaggiosa così l’applicazione sia ai lavoratori che alle imprese, ottemperando al principio enunciato nella nostra carta costituzionale la quale prospetta la possibilità della collaborazione tra  i lavoratori al fine di una elevazione economica e sociale dei lavoratori ( intesi come l’insieme dei soggetti interessati ) , art. 46  “ Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.

TAG: cogestione, crisi, imprenditori, Lavoro, politica, produttività
CAT: Legislazione, Occupazione

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