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Letteratura

La solitudine del Grillo (Pamphlet sul vuoto funzionale del M5S) -parte terza-

di Oscar Nicodemo
10 Aprile 2021

Resto convinto, non fosse altro per continuare il gioco, che il mio tentativo potrebbe portarmi laddove non arriverebbe nemmeno il suo miglior biografo. Sto per “smascherare”, rendendogli dignità, uno dei personaggi più equivocati d’Italia, tra i più apostrofati e incompresi. Sia ben chiaro, non credo che Grillo custodisca una genialità talmente tipica da renderla inaccessibile, ma è certamente dotato di un talento artistico, e, a mio parere, chi è capace di far sgorgare l’arte da sé diventa idoneo per svolgere diversi ruoli sociali, anche, o, forse, soprattutto, quello del politico.
La politica, per tanta parte, è comunicazione. E, tutto si può dire del nostro comico, tranne che non sappia veicolare le parole nella giusta maniera di un dicitore di successo, con mestiere e una buona dose di passionale improvvisazione.
Il signor Grillo (d’ora in poi il signor G, richiamando involontariamente il titolo di uno straordinario spettacolo dell’amato Giorgio Gaber) non è un carrierista, o un arrivista, come la maggior parte di coloro che si danno all’attivismo politico. Egli è un cosiddetto “self made man” di tutto rispetto, con uno spiccato senso dell’umorismo, che ha affinato con gli anni, integrandolo con una vena critica che è diventata via via sempre più predominante, fino a trasformarsi in un filone di analisi socio-politica di largo impatto.
Quando le sue performances hanno lasciato i teatri per irrompere nelle piazze, l’artista ha ceduto il posto all’attivista, e il signor G si è affermato in una veste specifica di catechista, che dalle mie parti si definisce “arrevòtapopolo” (dial. “arrevotare”: dal latino volgare “volvitare”, ossia rivoltare, ma anche ribaltare).
Va da sé che qualsiasi testo a tema, una volta fuoriuscito dai confini dell’arte, per trasformarsi in materiale eminentemente politico, perda i suoi contenuti più puri in quanto soggetto a una retorica di ritorno, più propria del comizio del politicante che non dell’interpretazione del teatrante.

La struttura lessicale che tratteggia il linguaggio politico contemporaneo è significativamente meno ricercata e colta di quella che dà espressione a un testo di teatro: si coglie, in questa differenza, l’involgarimento e la banalizzazione del repertorio morale e dialettico adottato dal signor G per rivolgersi, non più a un pubblico esigente e di non trascurabile cultura, ma a masse facilmente impressionabili.
Egli non è entrato in politica per migliorarne il linguaggio, ignorando che la moralizzazione della disciplina inizia proprio da qui, ma per dare consistenza e forza a congetture più o meno reazionarie, che, senza, appunto, il lemma dei contenuti, non hanno mai assunto una forma ideologica. Pur tuttavia, il signor G, nel raffronto con altri leader che, per appartenenza d’area, dovrebbero teoricamente perseguire una comunicazione dotta e perspicace, ne esce vincitore. Per quanto conti la mia riflessione e per quanto possa ancora meravigliare, sono giunto alla conclusione che il signor G sia un politico con un’indole tra le più intellegibili. Non c’è nulla di sbagliato se vado ad affermare che, nel panorama politico nazionale, egli fornisca l’esempio di comunicazione maggiormente identificabile. Resta innegabile che la severità di giudizio riservata al signor G non abbia minimamente toccato gli altri leader. Quante volte l’imbarazzante banalità di Salvini, Meloni, Zingaretti e altri ancora è stata “sdoganata” dagli operatori dell’informazione, destando la sorpresa, ma anche lo sdegno, dei consumatori di notizie? Non si dimentichi che, talvolta, il parlare a vanvera di taluni intelligentoni dell’attuale sinistra ha ricevuto le stesse attenzioni e lodi che normalmente si riservano a una “lectio magistralis”.
Lungi da me il tentativo di voler tracciare un sentiero impercorribile per giungere a valorizzare quella che potrebbe essere vista come la trascuratezza culturale e politica del signor G. Affermo, sin da ora, che un’intenzione del genere non avrebbe costituito un buon motivo per scrivere di lui, e quel che sarebbe stato peggio, avrei aggiunto banalità a ciò che è già, di per sé, quasi farsesco.
La verità è che trovo estremamente vantaggioso, per il mio esercizio mentale, argomentare su un uomo di vivace intelligenza, che, a dispetto di una estrosa ed eccentrica nevrastenia, è diventato il capo politico di una considerevole forza popolare.

(continua)

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