La tenebrosa leggenda dei “Beati Paoli”

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15 Dicembre 2022

Periodicamente si torna a parlare di una leggenda molto cara ai siciliani e, in particolare, ai palermitani. Parlo della setta dei “Beati Paoli” le cui gesta sono state immortalate nel tanto intrigante che corposo romanzo di Luigi Natoli.

Per la cronaca, quel romanzo venne pubblicato a puntate, con lo pseudonimo di William Galt, sul Giornale di Sicilia. Umberto Eco, che ha aggiunto all’edizione pubblicata da Flaccovio una lunga prefazione, lo ha annoverato fra i grandi i romanzi popolari evidenziandone, nello specifico, le caratteristiche “tinte gotiche”.

Quella dei “Beati Paoli” è una leggenda la cui formazione è incerta ma che è stata assunta, nell’immaginario collettivo dei siciliani, come una verità storica.

Ne parlo qui, perché della stessa mi sono occupato molti anni fa quando diedi una mano al mio maestro, il professore Francesco Renda nella elaborazione della sua ricerca “I beati Paoli, storia, letteratura e leggenda” editata nel 1988 per i tipi di Sellerio.

Proprio basandomi su quegli studi voglio, dunque, offrire al lettore qualche elemento di chiarezza che, pur lasciando la porta aperta a qualche dubbio sull’esistenza o meno della famosa setta, riportano la narrazione spacciata per verità storica alla sua reale dimensione che è quella di una fascinosa e intrigante leggenda.

Ma, bando alle considerazioni, andiamo ai fatti.

Cominciamo col dire che la prima notizia – perché nessuna fonte fra quelle conosciute ne fa cenno – riportata su questa setta la riscontriamo nella prima metà del settecento, a tramandarla è il celebre notista marchese di Villabianca in una pagina dei suoi diari. Il Villabianca indica infatti la setta dei “Beati Paoli” come filiazione della setta dei “Vendicosi”, un sodalizio criminale che sarebbe stato presente in Sicilia negli anni del re normanno Guglielmo II d’Altavilla soprannominato in contrapposizione al padre “Guglielmo il buono”, di cui troviamo riscontro in due fonti medievali, il Chronica monasterii Casinensis e il Chronicon Fossae Novae.

Dopo la nota del Villabianca bisogna aspettare quasi mezzo secolo prima di trovare un vago riscontro sull’esistenza di questa setta nel “Nachrichten von Neapel und Sicilien”, il diario di viaggio di Federico Munter, un intellettuale danese venuto a visitare la Sicilia spinto dall’amore per il mondo classico e per le sue manifestazioni architettoniche che, proprio nell’isola, avevano raggiunto i vertici espressivi.

Munter raccoglie un “si dice” circa l’esistenza dei Beati Paoli ma lo fa insinuando qualche perplessità vista la troppa somiglianza di quel racconto con quello relativo alla Fehm-gericht, il tribunale della Santa Fema, una complessa istituzione segreta che operava nel periodo medievale a Dortmund in Westfalia, i cui membri erano, allo stesso tempo, inquisitori, giudici ed esecutori delle loro sentenze.

Proprio di tale istituzione si trovano riferimenti nelle opere di Johan Wolfgang Goethe, nei Masnadieri di Johan riedrich Schiller e nel poema Germania di Johan Heinrich Heine.

Mezzo secolo dopo il Munter è un prolifico scrittore del tempo, tale Gabriele Quattromani che, in una lettera in cui descrive la vicenda di Giovanna Bonanno, una famosa avvelenatrice nota come “La vecchia dell’Aceto” e protagonista di un altro molto conosciuto romanzo popolare del prolifico Luigi Natoli, cita la setta dei Beati Paoli come piaga della “povera e disunita Sicilia” evidenziando che nel suo agire richiamava proprio “la liturgia” del tribunale segreto Vestfalico.

Di “un’occulta setta, di lu nggannu e di lu intricu nnemicissima perfetta” racconta anche, in una composizione del 1837 intitolata proprio Li Beati Pauli, la poetessa Carmela Piola.

Ma è nel 1840 con la pubblicazione a Palermo I racconti popolari dello scrittore licatese Vincenzo Linares che viene offerto una narrazione puntuale, spacciata per verità storica, delle vicende di questa fantomatica setta segreta sulla cui esistenza l’autore non sembra di avere alcun dubbio.

Bisogna dire che il racconto dello stesso Linares ebbe una rilevante responsabilità sulla diffusione e consolidamento della leggenda nella memoria collettiva.

A rafforzare il racconto del Linares vinee incontro Benedetto Naselli, uno scrittore vissuto nella prima metà dell’ottocento che, ispirandosi al più famoso romanzo I misteri di Parigi di Eugene Sue, scrive i Misteri di Palermo nel 1852 e nel 1863 il dramma in cinque atti I Beati Paoli o la famiglia del giustiziato In cui adatta la leggenda, ormai patrimonio della memoria collettiva, allo schema adottato dallo scrittore francese.

Il tema viene sollevato, con una evidente finalità politica e cioè quella di dimostrare che l’agire “dell’attuale governo non dissimile da quello napoletano”, da Giuseppe Bruno Arcaro in un breve saggio pubblicato nel 1873, in appendice alla rivista “Libertà e diritto”. Una pagina interessante in merito è, poi, quella che ci offre Salvatore Salomone Marino, illustre e colto patologo di Borgetto, che godeva la stima del maestro dell’attualismo, il filosofo Giovanni Gentile, e che era un appassionato cultore di quella che, oggi, viene definita antropologia culturale.

Questi, nel suo lavoro sul folklore siciliano del 1873, ci ha lasciato una pagina su Li Biati Pauli, raccontati da Francesca Campo sua serva, nella quale si enfatizzavano e si mitizzavano gli scopi della Setta che “addifinnìanu li nostri gritti”- difendevano i nostri diritti – e, proprio per questi motivi, auspicava che “cci vurrèvanu pi daveru”.

E’ stato proprio questo materiale, per la verità non molto ricco, che ha consentito al genio creativo di Luigi Natoli di costruire, e tramandare ai posteri una narrazione leggendaria divenuta per i siciliani tassello giustificativo della loro identità nella quale, tuttavia, a detta di taluni critici come Matteo di Gesù, emergerebbe purtroppo “una certa cultura fortemente impregnata di mafia”.

 

 

TAG: leggende, letteratura, Sicilia
CAT: Letteratura

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