Prima di tutto non è una battaglia
Il libro di Claudio Giunta, E se non fosse una buona battaglia? ha due caratteristiche: la chiarezza e l’audacia di rottamare secoli di orgoglio umanistico.
Giunta sottolinea sin dalle prime pagine che la società è cambiata e di conseguenza si sono trasformati i modi di vivere e di apprendere, quindi se la scuola si appoggia alle nuove tecnologie digitali, in fondo, non fa che adattarsi allo spirito dei tempi. In secondo luogo questo saggio mette in evidenza che la didattica delle discipline umanistiche ha ancora un impianto museale, volto quasi alla sacralizzazione del mondo classico. Non si comprende, nota l’autore, che non è somministrando il santino Dante che si aiutano gli studenti a maturare.
C’è però un punto controverso in questo interessante testo, ed è il capitolo che Giunta intitola Saper scrivere potrebbe non essere così importante. La tesi di fondo è la seguente: in un mondo che richiede crescenti competenze tecniche e scientifiche, il saper scrivere diventerà solo una virtù privata, come saper dipingere o cantar bene. La scrittura sul web è velocissima, i titoli dei giornali on line cambiano di continuo e non c’è tempo di verificare la correttezza di testi che durano l’espace d’un matin, non è economico farlo.
E del resto il lamento degli umanisti che rivendicano la centralità delle loro discipline, secondo Giunta ha qualcosa di viziato: nasce solo dal terrore di essere irrilevanti per i destini dell’umanità. In effetti – è opinione di molti – per le magnifiche sorti e progressive della specie umana è più utile il foglietto illustrativo della Tachipirina rispetto alle Lettere copernicane di Galileo.
Giunta invita i lettori al realismo: il mondo è quello che è, bisogna prenderne atto. La cultura umanistica, e in generale tutti i saperi teorici e non applicativi, sono malati di obsolescenza, appaiono fuori sincrono rispetto alle necessità del tempo presente. Difenderli significa intraprendere una battaglia che, come suggerisce il titolo del saggio, corre il rischio di non essere buona, cioè è fallimentare.
Va, però, fatta qualche osservazione.
Prima di tutto non è una battaglia. Difendere l’umanesimo non è una battaglia: non ci sono nemici, non ci sono sconfitti. L’umanesimo è un struttura e non confligge con niente: anzi, aiuta, sostiene, promuove e, appunto, umanizza anche le tecno-scienze. Non è una battaglia.
Poi, Giunta richiama nel suo testo un noto scritto di Martha Nussbaum, però lo liquida come espressione del solito piagnisteo del letterato. Si tratta, invece, del pregevole saggio Non per profitto. A differenza delle osservazioni svolte da Claudio Giunta – riflessioni dal chiaro sapore incendiario e neofuturistico – Non per profitto espone in modo sublime i motivi per cui il sapere umanistico vada difeso, promosso e favorito pure nel contesto di una curvatura tecno-scientifica della nostra civiltà, anzi proprio affinché esista una civiltà.
Se non insistiamo sul valore fondamentale delle lettere e delle arti, queste saranno accantonate perché non producono denaro. Ma esse servono a qualcosa di ben più prezioso, servono, cioè a costruire un mondo degno di essere vissuto, con persone che siano in grado di vedere gli altri esseri umani come persone a tutto tondo, con pensieri e sentimenti propri che meritano rispetto e considerazione, e con nazioni che siano in grado di vincere la paura e il sospetto a favore del confronto simpatetico e improntato alla ragione
(Martha C. Nussbaum, Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica)
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