Il libro nero della Lega: il giornalismo che ci piace
E allora il PD?
Inizio con questa domanda, tanto per catturare la vostra attenzione.
C’è uno spettro che si aggira per l’Europa e non è quello del comunismo.
È piuttosto il fantasma di un libro che ha particolarmente sfidato la mia comodità mentale in queste settimane.
È scritto da Giovanni Tizian e da Stefano Vergine ed è edito da Laterza.
Devo essere sincero: non mi piace il titolo che a mio avviso non rende merito al rigore metodologico e alla pulizia mentale con cui è stato scritto.
È un libro ingombrante per quanto i media italiani (con troppo rare eccezioni), di fatto, mi sembrano tacere sui suoi contenuti e, invece, dovrebbero dedicargli servizi su servizi, articoli su articoli, tanto più in funzione delle cariche istituzionali ricoperte dai personaggi coinvolti.
Leggetelo, è un consiglio spassionato: innanzitutto perché le grandi inchieste giornalistiche in stile anglosassone le sanno fare anche i professionisti italiani.
È un libro che indaga, spiega e documenta (un’intera sezione del libro, l’ultima, contiene sentenze dei tribunali, estratti conto, verbali) tutta l’opacità che sta dietro alla Lega, a partire e attorno al suo prode Capitano.
È un libro che incalza con i fatti tutta la retorica della diversità, del cambiamento, della nuova politica incarnata dal sovranismo in salsa italiana.
È un libro che sviscera in modo superbo la questione dei 49 milioni di euro che il partito del Capitano deve restituire ai cittadini italiani.
Quello è solo il primo sassolino di un sentiero fatto di numeri, dati, riscontri, in cui Vergine e Tizian accompagnano il lettore-Pollicino lungo una strada fatta di punti di domanda sempre più ingombranti che, via via, assumono il contorno di una storia e una risposta tutta da raccontare.
La Guardia di Finanza, al momento del sequestro dei beni della Lega, sul conto corrente trova “solo” 3 milioni di euro.
Dove sono finiti gli altri soldi?
In teoria sono stati spesi per “attività politica”, ma Il libro nero della Lega racconta un’evidenza diversa, ricostruendo pazientemente le figure chiave (in primis Gianluca Savoini) e la rete di associazioni che, più o meno non alla luce del Sole, raccolgono denaro per il partito del Capitano.
Il libro documenta anche la rete di clientele e di collusioni con persone dal passato non proprio limpido e specchiato che il partito di Salvini ha creato nel sud Italia, di fatto proponendo una cover vintage di un vecchio adagio del fu ideologo della Lega di Bossi, Gianfranco Miglio: la mafia non si smantella; con la mafia è meglio convivere in uno stato federale.
Il libro nero della Lega, negli ultimi capitoli, si aggira con coraggio tra i meandri dell’internazionale sovranista, svelando tutte le relazioni tra i plenipotenziari della Lega e alcuni personaggi non irrilevanti della galassia di “amici di Putin”: non rivelo nulla qui, ma anche il Convegno tanto chiacchierato del prossimo weekend a Verona non è più o non è soltanto una questione di diritti sociali e visione che si ha del mondo, ma un altro punto di domanda sulle relazioni di potere e l’asse geopolitico che un azionista di maggioranza del nostro governo insiste per far diventare il perno delle nuove coordinate di politica estera.
Al di là del suo contenuto, comunque, il Libro nero della Lega va letto per un altro motivo altrettanto importante.
In e con esso, infatti, i due autori mostrano quanto possa essere rilevante per la società, per il paese, per noi tutti il lavoro di un giornalista quando è fatto con rigore coraggio e competenza.
E mostra che ci sono ancora le inchieste fatte col sudore, col rischio, con i costi e le difficoltà di chi cerca la notizia perché è appassionato della sua funzione sociale.
È un libro, in ultima analisi, che non va lasciato solo: dobbiamo leggerlo, parlarne, fare domande fino a sfinirci a chi deve dare delle risposte.
A noi e alla giustizia italiana
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