Castiglione della Pescaia o del guardare le onde con il Signor Palomar

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31 Agosto 2018

Dai resti della torre di avvistamento, una delle torri costiere che puntellano la costa di Grosseto, un’enorme macchia verde si allunga fino alla punta di Porto Ercole. È un’impressionante pineta il carattere precipuo di questo luogo amato da scrittori, politici e intellettuali, quelle terrificanti categorie sociali che oggi il “popolo” vede come il fumo negli occhi e alle quali non riserva più diritto di cittadinanza. Un popolo che non sembra più apparentato con il popolo novecentesco, quello delle masse rosse e nere che guardava con deferenza le élite, pur avversandole, ma che già covava in seno una frustrazione rabbiosa, oggi motore dell’antipolitica.

Castiglione della Pescaia rimane arroccato su un monte e domina la costa maremmana come un naufrago sonnolento su un’isola. Più giù, la laguna di Orbetello, una specie di Shangri-La per pesci e zanzare, dove si danno appuntamento ornitologi e birdwatchers; a scendere ancora l’Argentario, con i cerbiatti, le spiagge celebri e la famigerata Capalbio, seguita da Porto Santo Stefano e Porto Ercole, dove l’intellighènzia di sinistra, quella che oggi spaventa più del babau, ha ancorate le barche a vela per decenni.

Carlo Fruttero aveva casa qui, e insieme a Lucentini vi ambientò un delizioso giallo, Enigma in luogo di mare, (1991) che già raccoglieva la nomenklatura di tutti quei tipi umani che avrebbero abitato le ville del cuore più esclusivo di Castiglione della Pescaia, ovvero Roccamare. È lì, all’interno di una pineta di 8 km, chiusa da una sbarra e controllata a vista dai guardiani, che arrivavano Pietro Citati, Italo Calvino e la sua amata Chichita, il professore Romano Prodi, il maestro ungherese Georg Solti. Calvino, ligure come Citati e già suo amico a Torino, nel 1972 si innamorò (grazie a lui) di questo angolo di Toscana, tanto da ambientarvi alcune riflessioni del suo laconico alter ego Palomar e da trascorrere qui i suoi inaspettati ultimi giorni, mentre nell’estate del 1985 scriveva quelle Lezioni americane che avrebbe dovuto leggere ad Harvard, e che lo avrebbero trasformato – purtroppo, forse – in un oggetto di culto letterario. Le Lezioni americane erano in verità le Charles Eliot Nortorn Poetry Lectures, ma fu per via di Citati, che ogni mattina gliene chiedeva conto, che presero il nome con cui sono più note. Per salutare Calvino e chiedergli delle lezioni mancanti, come la sesta sulla Consistency, incompiuta, o l’ottava che tutti vorremmo leggere, Sul cominciare e sul finire, bisogna sgambettare fino in cima al paese, dove è abbarbicato il cimitero di Castiglione. Calvino riposa lì, dove la vista abbraccia tutta la costa. Poco sotto, l’ingresso alle mura antiche e una tettoia dove i vecchi che vivono nel borgo si incontrano per chiacchierare e fare merenda, e aggiornarsi sulle cronache del paese.

Roccamare, si diceva. Nei viali ombrosi tra le ville, edificate a partire dalla fine degli anni ‘50 grazie soprattutto agli architetti Ugo Miglietta e Antonio Canali, dove le pigne cadono ancora facendo un suono sordo, rimane il riflesso di un’Italia che è improvvisamente svanita, cancellata sotto i colpi degli anticasta e della gogna dei social network. Ville celebri, reperti di un lusso discreto che guardava alle linee di Frank Lloyd Wright e le mischiava con lo stile locale, ogni progetto una storia a sé. L’eleganza era un’attitudine, il bianco una regola e l’America era ancora moderna. D’altronde, c’era lo zampino di Ernesto Nathan Roger del gruppo BBPR di Milano (quelli della ingiustamente vituperata Torre Velasca), che diede forma a Villa Bartolini, e di altri come Monsani & Bicocchi. La bellezza era qualcosa di dovuto, non ancora una colpa.

In ogni caso, la nostalgia è un sentimento conservatore, si constaterà. Ma è difficile non rimpiangere un modo di vivere la villeggiatura che era anche un modo di intendere l’esistenza. Tra le sdraio di legno della lunghissima spiaggia tirrenica, costellata di legni trasformati in ossi di seppia dalla risacca, si davano appuntamento Italie differenti che erano ancora in grado di convivere. Il professore universitario e il dottore, e più in là l’operaio e la maestra delle elementari, con il loro figli e la roulotte. Poche infrastrutture, qui hanno sempre vinto la spiaggia libera e la natura: anche per questo, ancora oggi è possibile passeggiare il giorno di Ferragosto al tramonto, su una spiaggia vuota, dove riluce una mezzaluna turca e il sole si inabissa dietro al promontorio delle Rocchette, donando all’acqua quella particolare caratteristica di riflettenza argentea che dura lo spazio del crepuscolo, quando i pescatori si appostano sulla battigia con le loro canne quiete e il vento è già calato: “È l’ora in cui il signor Palomar, uomo tardivo, fa la sua nuotata serale”.

Romani, pochi milanesi e soprattutto toscani, la fauna locale. Più o meno sempre gli stessi, ma anche qualche turista di passaggio, che viene a trascorrere qualche giorno, e molti tedeschi dalla pelle rosa e rigorosamente senza ombrelloni, avidi di sole mediterraneo e sprezzanti dei rischi della scottatura. Qui la vacanza ha ancora dei ritmi lenti: si va in città a mangiare la frittura nel chiosco di Mauro e Andreia, si passeggia salendo nel borgo verso il castello e, qualche sera, c’è il cinema all’aperto – bellissimo – che sembra uscito direttamente da un film di Dino Risi, in un anfiteatro che ha come sfondo la costa che si snocciola dal porticciolo di Castiglione fino all’Argentario. Le persone tornano di anno in anno, si danno appuntamento per le grigliate e per gli aperitivi al tramonto, senza rimpiangere le esagerazioni degli happy hour milanesi. Alla mattina, le cicale commentano i caffè accompagnati dalle paste o dalla schiacciata, la tipica galletta unta e croccante. Ogni anno, la stessa sagra di pesce e il Palio Marinaro dell’Assunta cadenzano la routine di agosto, fatta di gelati, chiacchiere ai tavolini dei ristoranti e cene nei campeggi, che qui la fanno ancora da padrone. Nelle spiagge, sguarnite di animazione e di balli di gruppo, ci sono invece molti cani, trattati con tutti i riguardi del caso, e anche qualche punto di incontro gay, celato alla vista dei bagnanti dalle discrete ombre della macchia mediterranea. C’è perfino gente che legge dei libri di carta, assorta: cose da non crederci.

Sopra a tutti, si allarga il cappello dei pini maestosi, il cui profumo resinoso pervade ogni angolo. Castiglione d’inverno è poi un’altra storia, di certo più aspra, e necessita di camini e di sciarpe per convivere con il vento e la solitudine di tutti i posti di mare. Fruttero e Lucentini raccontano la pineta di Roccamare sotto Natale trasformandola nella Gualdana, tra omicidi e tarocchi, relitti di barche e mareggiate, e viene voglia di trasferirsi lì e passare il tempo a contare le onde. Ma per chi non è castiglionese il tempo rimane l’estate, magari quella ingiallita di fine agosto, per cercare di appropriarsi di questo pezzo di Maremma, facendolo proprio, nascondendosi tra i pini e la risacca ad aspettare i fuochi sul mare con il naso all’insù, dimenticandosi per lo spazio di una villeggiatura tutto ciò che è troppo contemporaneo. “Tutto il resto è riflesso tra i riflessi, me compreso.”, come scriveva Calvino.

TAG: Castiglione della Pescaia, Fruttero e Lucentini, Grosseto, Italo Calvino, Maremma, Viaggi
CAT: Letteratura, viaggi

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