Le elezioni politiche del fenomeno Corbyn – Intervista a Domenico Cerabona

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16 Giugno 2017

Ad una settimana dal voto inglese, ho intervistato il ricercatore Domenico Cerabona, direttore della Fondazione Giorgio Amendola, autore del libro “Brexit – Cosa cambierà dopo l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea”.

 

Per inquadrare il tema, partirei chiedendoti in poche parole qual è il sistema elettorale usato in Gran Bretagna.

Il meccanismo della legge elettorale è chiamato first past the post, che è sostanzialmente un uninominale secco. La Gran Bretagna è divisa in 650 collegi che sono i seggi dell’House of Commons, la Camera bassa. In ognuno di questi collegi, i partiti presentano un solo candidato. Quello che prende più voti si aggiudica il seggio, è sufficiente dunque un voto in più dei propri avversari per aggiudicarsi il seggio, indipendentemente dalle percentuali nazionali. Ogni candidato contribuisce alla maggioranza parlamentare singolarmente. Per avere la maggioranza parlamentare un partito deve avere, sulla carta, 326 seggi, poi, in realtà, non è proprio così: il Presidente della Camera è un parlamentare, unico candidato nel suo collegio, contro cui non compete nessuno; dai 325 di maggioranza bisogna poi togliere i parlamentari dello Sinn Féin, i quali, dato che non giurano fedeltà alla regina, non si presentano in Parlamento. Theresa May ha avuto 317 seggi a cui si aggiungeranno i 10 del DUP (Partito Unionista Democratico). Sottolineo che non vi è alcun recupero proporzionale, per questo motivo c’è tanta differenza tra i seggi dei conservatori e dei laburisti nonostante solo un 2% di differenza.

I pro e contro di questo sistema elettorale quali sono quindi? 

C’è un forte rapporto elettori-eletti in quanto si tratta di 95.000 elettori a collegio. Non conta solo la politica nazionale, conta anche – e molto – il rapporto con il proprio elettorato. E quindi c’è un rapporto molto forte elettore-eletti.

Chi vince poi ha una maggioranza abbastanza solida per governare, Cameron con il 36% nel 2015 aveva la maggioranza assoluta in Parlamento. Quindi salvo casi eccezionali come queste elezioni, vi è stabilità di Governo.

Il primo contro è che questo sistema funziona quando ci sono due grandi partiti, se c’è una pluralità di partiti, dato che non vi è alcuna distribuzione nazionale proporzionale, si escludono tutti quelli non in grado di arrivare primi nei singoli collegi. Il caso di scuola è lo Ukip di Farage che nel 2015 ha preso il 13% a livello nazionale ed ha eletto un solo parlamentare. Si favoriscono inoltre in maniera eccessiva le entità regionali, altro esempio di scuola è l’Snp, il Partito Nazionale Scozzese, molto forte solo in Scozia come è ovvio: nel 2015 con meno della metà dei voti dello Ukip ha eletto 50 parlamentari. In questo modo, dunque, moltissimi voti “vanno sprecati”.

Altra questione è che tende a sovrarappresentare il primo partito: Cameron nel 2015 con il 36% di voto popolare ha ottenuto più del 50% dei parlamentari.

Quali credi siano i dati più importanti di questa tornata elettorale?

Il dato eccezionale è stata la partecipazione al voto dei giovani, che è anche uno dei motivi per cui i sondaggi sono stati sbagliati in questa misura. I sondaggisti, abituati al fatto che i giovani rispondono ai sondaggi e poi non vanno a votare, sottraggono una percentuale di indicazioni del loro voto. Essi invece questa volta sono andati a votare in massa e questo ha fatto aumentare tantissimo il voto laburista rispetto ai sondaggi.

Rispetto al referendum sulla “Brexit” questo grande successo di Corbyn ha beneficiato anche del suo, diciamo, “non posizionamento” in merito alle indicazioni di voto o quello rimane un errore?

Credo che lui abbia fatto una campagna elettorale parlando, scientemente, pochissimo della Brexit: la sua campagna si è basata sui temi sociali, il progetto era quello di mettere al primo posto i diritti dei lavoratori, non ha messo in discussione la “Brexit”, a differenza dei Lib-dem che nel loro manifesto proponevano un secondo referendum.

L’elettorato britannico è, se vogliamo, più basico rispetto al nostro. Rimettere in discussione decisioni già prese è una cosa più nostra. L’ elettorato britannico – sono convinto – si aspetta semplicemente che il Governo rispetti il voto del referendum. La scelta vincente di Corbyn è stata quella di parlare di temi che i cittadini consideravano centrali: il tema della sanità, delle scuole, delle pensioni, ad esempio.

Se Theresa May da una parte ha fatto campagna per la “Hard Brexit”, i Lib-dem hanno fatto una campagna europeista e Corbyn non ha toccato il tema, vuol dire che la “Brexit” non è considerata una questione tangibile per la vita dell’elettorato. E tu ti aspettavi questo risultato? 

Così alto per i laburisti no, pensavo fosse intorno al 35% – 38%. Sottostimavo anche io la capacità di coinvolgimento dei giovani. Invece questa campagna così netta e chiara su “temi chiave” come l’abolizione delle tasse universitarie, che è un tema molto sentito perchè le rette costano molto, ha portato i giovani alle urne.

La May poi, d’altro canto, ha fatto una campagna pessima e paradossalmente il tema degli attentati ha favorito i laburisti essendo lei stata il Ministro dell’Interno che ha tagliato i fondi alla polizia, licenziando 20.000 poliziotti. All’indomani degli attentati, paradossalmente, anziché favorire il Governo, perché gli elettori di solito tendono a premiare il Governo che trasmette un segnale di forza e sicurezza come reazione, i laburisti sono andati all’attacco sul taglio della sicurezza affiancati dai sindacati della polizia.

Con la May che ha spostato i Tories più a destra e Corbyn, al contrario, che ha spostato i Labour su posizioni più radicali, un marziano che vede la situazione dall’alto potrebbe aspettarsi che una forza centrista quali i Lib-dem avrebbero giovato di questa situazione e invece hanno ridotto la propria percentuale di voti dello 0,5%, c’è una spiegazione a questo?

Anzitutto i Lib-dem hanno risultati più alti quando i due maggiori partiti hanno un programma annacquato e poco chiaro, come è successo nel 2010 in cui i laburisti erano agonizzanti ed i conservatori erano più centristi e moderati. Per banalizzare, c’era meno bianco e nero e il grigio è stato premiato. Questa volta, proprio perché c’erano due proposte molto chiare, due impegni politici ben distinguibili nei manifesti, entrambi i partiti hanno fatto un risultato altissimo. Perché è vero che Corbyn ha fatto un risultato eccezionale,  ma ricordiamo che la May ha guadagnato quasi 6 punti percentuali rispetto al 2015 e rispetto ai voti assoluti i conservatori non facevano un risultato così dal 1992. Essendoci una scelta così netta tra destra e sinistra i Lib-dem sono quindi stati spazzati via.

In secondo luogo si sono proposti come partito europeista, cosa che all’elettorato non importava. E’ interessante notare poi che nel sistema che utilizzano, al contrario del nostro, il manifesto è un impegno istituzionale, oltre che politico, per cui se non si inserisce una proposta di legge nel manifesto, la Camera dei Lord può respingere più volte il provvedimento. Questo obbliga i partiti a descrivere chiaramente cosa intendono fare, prima delle elezioni. La May, sicura di una vittoria ha osato inserendo proposte molto dure nel manifesto per questo motivo, ad esempio la dementia tax, una tassa postuma sulle spese mediche, un proposta che ha suscitato scandalo e diviso l’elettorato. Per non parlare poi dell’assurda proposta di reintrodurre la caccia alla volpe.

Sempre in tema di voti assoluti, il numero di voti che ha preso Corbyn è paragonabile ai tempi di Blair?

Assolutamente. Blair nel 1997 prese 13.5 milioni di voti. Corbyn l’8 giugno se ne è assicurati 12.8, di gran lunga il miglior risultato del Labour, appunto, dal 1997.

Quindi un candidato più moderato avrebbe avuto più successo o siamo alla fine dei blairismo e della cosiddetta “terza via”?

Ma il blairismo è finito quando ha perso Blair, è archiviato nei fatti sia nel partito che nel Paese. Negli ultimi due anni Corbyn ha vinto il congresso due volte, adesso ha avuto un successo eccezionale anche nelle urne e anche gli oppositori interni gli riconosco che aveva ragione lui. Oltre al fatto che il partito a trazione centrista ha perso due elezioni di fila. Attualmente nessuno nel partito laburista pensa che con uno moderato avrebbero preso più voti.

Sul versante opposto, Theresa May riuscirà a stare in sella al suo partito e quindi al Governo?

Anzitutto bisogna vedere come e se riuscirà a chiudere l’alleanza con il DUP, questione non affatto scontata. Stiamo parlando di un partito di reazionari veri, creazionisti, antiabortisti, contro i diritti LGBT. Inoltre uno dei vari temi della Brexit sono i confini dell’Irlanda del Nord che attualmente sono “gestiti” all’interno delle normative che regolano i confini dell’UE, ridiscutere di questa cosa con il DUP al Governo diventa abbastanza diviso.

Lei comunque ormai è di fatto è dimessa. I conservatori sono un partito attaccato al potere, per cui sanno che cacciarla adesso vuol dire indire nuove elezioni perché di fatto è stato un referendum sul loro Governo e soprattutto sul loro Primo Ministro, che è stato bocciato. Dato che sanno che fare elezioni subito vuol dire consegnare il Governo al Partito laburista, preferiscono cercare di passare la nottata allontanando le elezioni. Lasceranno un poco in sella, precaria, Theresa May finché i sondaggi non ricominceranno a essere un po’ più favorevoli, ma non credo arriverà a “mangiare il panettone”.

E a succedergli chi sarà? Boris Johnson?

Probabilmente si, però lui era strafavorito anche dopo il referendum sulla Brexit ed è stato estromesso durante il congresso. In quel partito ci sono 5 o 6 capibastone che devono mettersi d’accordo tra loro, per cui fino all’ultimo non è detta l’ultima parola. Poi comunque chiunque vinca, si prenderà una patata bollente perché si troverà una situazione complicata da gestire per quanto riguarda la maggioranza parlamentare. C’è anche un’ala molto progressista anche sui diritti civili e sociali all’interno del Partito conservatore e non è facile dunque tenere assieme tutti i parlamentari all’interno di una alleanza con il DUP.

Comunque non escludo che nel giro di un anno  si vada a votare data la situazione parlamentare.

Ultima domanda, qual è la lezione che il centrosinistra in Italia può imparare da queste elezioni?

Premesso che sono due sistemi diversi e fare sovrapposizioni non è mai una cosa saggia, secondo me la lezione principale è che servono i grandi partiti organizzati. Il partito laburista nonostante le sue difficoltà avute in questi anni, comunque è un partito strutturato che ha sedi, militanti, personale, quindi è un partito solido per cui anche nelle elezioni che capitano tra capo e collo e parte in svantaggio, può lavorare.

La seconda cosa è che se tu hai un messaggio chiaro, ti presenti con una storia “antica” e fai un manifesto in cui dici chiaramente cosa vuoi fare, come lo vuoi fare e da che parte stai, la tua gente ti capisce e magari ti segue anche. Se tu invece “cincischi”, cincischiano anche i tuoi elettori e magari votano qualcun altro o rimangono a casa.

TAG: Brexit, elezioni, europa, Gran Bretagna, labour party, politica
CAT: Londra, Partiti e politici

Un commento

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  1. paolo-barilli 7 anni fa

    Bellissimo articolo. Chiaro e convincente. Anche sul tipo di elezioni in Gran Bretagna: una modalità ancora peggiore dei nostri vari maggioritari. Poi l’ovvio motivo, ma mai compreso, per cui si perdono le elezioni: quando si vuole accontentare la “maggioranza silenziosa”, quella che una volta rappresentava il “centrismo politico” e oggi è rappresentata dall’assenteismo . Un Partito deve essere DI PARTE! Anche se finirà all’opposizione! Anzi, qui ci metto la mia personale convinzione: è proprio L’OPPOSIZIONE che a mio avviso rappresenta al meglio la DEMOCRAZIA: il potere va CONTROLLATO, e nessuno lo fa meglio di un grande partito di opposizione. Senza contare che con partiti davvero contrapposti prima o poi il migliore VINCE. Ma con gente protesa solo a “governare” … c’è poco da sperare….

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