Sei zelante? I lettori, quei pochi che restano, cambiano giornale

24 Giugno 2020

Quei neanche due milioni che comprano un quotidiano tutti i giorni sono gli Ernesto Calindri del paese, piantati in mezzo al traffico infernale, a giornale spalancato, “contro il logorio della vita moderna”. Piccoli eroi dell’abitudine, quella mezza aspirinetta che non può mancare nella farmacia sentimentale di un signore di una certa età. Cos’altro del resto, se non un’antica abitudine, può portarti all’edicola per una cerimonia così démodé com’é quella di acquistare dei fogli di carta scritti? C’erano persone straordinarie, molti anni fa, e così fiduciose sui destini dell’informazione, che comprato il giornale lo mettevano direttamente in borsa, senza leggerlo.

Non ho tempo adesso, dicevano – ed erano le prime ore del mattino – per poi tirarlo fuori a sera, arrivati a casa, sprofondando in poltrona. Era scorsa un’intera giornata di vita, eppure, mancando i social, e tutto il berciare tecno, c’era come l’impressione che il tempo si fosse cristallizzato e che quelle notizie apparissero ancora, se non proprio freschissime, ampiamente commestibili. Oggi che il mondo è rovesciato, se non acchiappi il giornale alle prime ore dell’alba sei un tagliato fuori. Oggi non c’è la più piccola possibilità che un giovane che guarda al mondo possa acquistare un quotidiano. E non gli gioverebbe assistere ai nostri conversari. Ogni tanto, il grande quotidiano ha il vezzo di mettere online qualche frame di riunione del mattino, A Repubblica Ezio Mauro ne aveva istituzionalizzato cinque minuti al giorno in cui parlava solo lui. L’altro giorno ci ha ripreso gusto Molinari, uscendo dalla tana per nobilitare il chiacchiericcio di redazione in un luogo “alto” come le Scuderie del Quirinale: i capiservizio, quasi intimoriti e con un fil di voce, sussurravano una lista della spesa quasi senza tempo. Come un cerimoniale di un’epoca lontana, impolverata, da cinegiornale.

Ci si chiede spesso cosa possa spostare gli equilibri, detto che cambiarli è ormai operazione impossibile. I numeri calano inesorabilmente, per cui il direttore che può lasciare un segno non è più quello che fa guadagnare copie al giornale. Perché non succederà. Non può più succedere. (Può succedere solo nei giornali più piccoli.) Semmai è quello che ne perde di meno. La gestione di qualunque direttore, dal punto di vista delle vendite, non sarà più positiva. Questo ha un primo significato: che il declino culturale e professionale è più forte di qualsiasi personalità. Ne ha anche un secondo, rovesciando il primo: che non esistono più vere, grandi, personalità in grado di spostare il consenso. L’ultimo in ordine di tempo, fino a che non ha cominciato a ruttare e sfanculare variamente in giro, è stato Vittorio Feltri con Europeo, Indipendente e Giornale post- Montanelli. Sarebbe bellissima una controprova purtroppo impossibile: riportare quel Feltrone in vita e regalargli l’ebbrezza del Corriere della Sera. Ci fu vicino, ma alla fine gli azionisti ebbero paura. (Però ci saremmo divertiti.)

Ci sono modi diversi di perdere copie. E sta qui, proprio in questo punto, tutta la vicenda umana e professionale di un direttore di un grande quotidiano. Non vi appaia anacronistica, né velleitaria, l’idea di perdere copie restando autorevoli. Perché è la partita di questo tempo. Il direttore che apparirà credibile, serio, equilibrato, in un concetto autorevole, sarà il direttore che verrà ricordato per quegli aspetti lusinghieri, piuttosto che per il calo delle vendite.
Ma c’è un modo sicuro, certificato, limpido, per passare alla storia come un direttore incapace: essere zelante. E quando parliamo di essere zelante, l’indirizzo di riferimento è inevitabilmente quello dell’editore. Essere zelante è anche una dote innata, che si può imparare certo, ma che spesso nasce con le persone. C’è un episodio illuminante che ama raccontare Ezio Mauro, che autorevole lo fu, e che riguardò un giorno molto speciale per l’allora direttore de «La Stampa»: la notizia che Cesare Romiti era stato indagato dalla procura di Milano. Era il ’93. “C’è l’Avvocato al telefono”, lo avvertì la segretaria. “Carissimo direttore, come sta?“, disse Gianni Agnelli e Mauro ovviamente non si sorprese di quella telefonata. “Ma mi dica direttore – e qui sarebbe molto utile arrotare come arrotava l’Avvocato – come intende procedere?” Molto semplicemente Avvocato, rispose Mauro, ci apriamo il giornale con un titolo secco: «Romiti indagato». È la notizia del giorno.


Qualche attimo di silenzio consentì all’editore/Avvocato di deglutire seppur a fatica, ma subito riprese l’abituale tratto surreale, ch’era il meraviglioso mondo di Gianni Agnelli: «Che dice, direttore, potremmo magari mettere un punto di domanda alla fine?» Mauro non racconta se abbozzò un sorriso, che pure sarebbe stato lecito, racconta solo la risposta: «Vede Avvocato, se noi dovessimo far così, impiccheremmo i quasi 130 anni della storia straordinaria de “La Stampa” a un semplice punto di domanda». “Come non detto, direttore, buon lavoro“, concluse Agnelli che comprese perfettamente la situazione. Quell’episodio fu la sintesi di quel che Ezio Mauro aveva Sempre pensato: che non sempre gli interessi dell’editore potevano coincidere con quelli del giornale.

Il rapporto direttore-editore non è mai solo affar loro. In mezzo ci sono i lettori. E i lettori sono sgamati. L’impressione è che in questi ultimi anni, troppo spesso i lettori siano stati considerati roba minima, poco incidente, appunto abitudinaria. Siccome siamo vecchi e stanchi (noi lettori), allora (noi giornalisti) vi teniamo lì, sullo sfondo. Eh no, ciccio. Il lettore, per via della vita grama, si è incattivito anche lui. Si incazza. Esattamente com’era una volta. E se si accorge che sei troppo zelante, che hai sostituito l’antico adagio “il vero padrone del giornale è il lettore” con “il vero padrone del giornale è il padrone”, allora ti molla. Va da un’altra parte, compra un altro quotidiano. La faccenda del prestito Fca è stata un terremoto in questo senso. I lettori sono rimasti molto impressionati da come i giornali del gruppo Gedi hanno “seguito” la vicenda. Nel prima, nel durante e nel dopo. È stato un trattatello antropologico, oltre che giornalistico. E che crediamo abbia spostato qualche elemento sensibile in termini di vendite. Forse qualche altro giornale ne ha ampiamente goduto. Tutto ciò avrebbe una sua grande morale.

TAG: la repubblica
CAT: Media

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