Iryna, ovvero: Gli ultimi giorni dell’umanità

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16 Marzo 2022

“Il formato del mondo non è mai stato di così gigantesca piccolezza. La realtà ha le dimensioni del bollettino, che si sforza di raggiungerla con ansimante chiarezza.”   Karl Kraus, Gli ultimi giorni dell’umanità

 

Due cose caratterizzano il ceto medio riflessivo italiano (o maggioranza un tempo silenziosa ora vociferante grazie al web) non importa se si dichiari di destra o di sinistra: la retorica e il sentimentalismo.

Ambedue si fondano sull’ipocrisia e non c’è, io credo, nazione più ipocrita di questa.

E’ per questo che i retori, da noi, hanno sempre avuto successo.

Se poi aggiungono alla magniloquenza anche una dose adeguata (ma sempre generosa) di enfasi sentimentaloide si può dire che hanno una carriera assicurata, in politica, in gazzetteria, in accademia oppure in tutti e tre gli ambiti contemporaneamente.

I giorni che stiamo vivendo, purtroppo, lo testimoniano ancora una volta.

Retorica bellicista e sentimentalismo vittimista vi si alternano e, alla prima occasione, si accoppiano come cani in calore in ogni angolo buio disponibile: nei monologhi come nei dialoghi televisivi (che però non sono altro, mai, che monologhi en travesti) sulle pagine dei giornali e su quelle del web.

I disastri, è risaputo, hanno sovente inizio sotto forma di catastrofi linguistiche ed è esattamente ciò che accade nel caso della questione ucraina.

Se non fosse poco rispettoso per i morti si dovrebbe dire che i morti, in questo caso, erano già morti ben prima di morire. Con meno rispetto si può invece affermare tranquillamente che anche i guerrafondai imbecilli erano guerrafondai (e, va da sé, anche imbecilli) ben prima di diventarlo a causa della contingenza di una guerra che gliene desse l’occasione. Poiché però l’ipocrita deve astenersi dal far sapere alla mano sinistra quello che fa con la destra allora, così come ogni ingiustizia viene praticata in nome della giustizia, ogni oppressione, in nome della libertà e ogni sfruttamento in nome del benessere, qualsiasi guerra è combattuta sempre in nome della pace.

Perciò c’è chi, per la pace, reclama più guerra e più sangue e chi, sempre per la pace, stila l’elenco delle armi da inviare o da vendere affinché qualcuno continui a farsi scannare; c’è chi, dal salotto di casa, imbraccia un fucile immaginario (cito uno di questi eroi da bacheca “Se fossi in Ucraina metterei la famiglia al sicuro e imbraccerei subito il fucile”) e va alla guerra sorseggiando il suo spritz e chi, non essendosi mai posto nella sua intera vita il problema della bolletta, proclama arditamente che “la libertà vale molto più della bolletta”. C’è tutto l’armamentario del bravo marmittone. L’imboscamento è fornito d’ufficio insieme alle rodomontate. La gara di indecenza, impudicizia, cinismo e stupidità è tale da fare impallidire qualsiasi tipo di competizione sportiva e, praticamente a ogni ora, si arricchisce di nuove prestazioni, qualcuna da primato. Se non rischiassimo niente di peggio della nausea ci sarebbe perfino da divertirsi. Purtroppo però ogni minchiata di questi artiglieri da soggiorno è un colpo di mortaio che fa sì che la guerra si avvicini e la pace si allontani. Il loro linguaggio è di una uniformità che lascia di stucco, le frasi, le similitudini (Putin come Hitler, la resistenza ucraina come la resistenza dei partigiani contro i fascisti, la guerra in Ucraina come la guerra in Spagna, i valori dell’occidente, la democrazia ecc.) sfilano in parata a tempo di marcia, tutte in tenuta d’ordinanza e se, per puro caso, qualcuna perde il passo c’è quella dietro che, con perfetto spirito di corpo, la rimette in riga con un calcio nel culo.

Nella quotidiana demonizzazione di tutto ciò che abbia anche solo il sentore della Russia ci si dimentica, naturalmente, con chi si ha a che fare dall’altra parte del confine. E se per caso lo fai sommessamente notare, il branco ti si avventa addosso sbavando o prendendoti a borsettate (perché, va detto, le amazzoni – sempre viva le donne – vi si distinguono per ferocia).

Eppure, l’altro ieri, abbiamo avuto in diretta una prova inoppugnabile della tempra dei governanti ucraini. E si trattava proprio di una signora. Dalla Gruber c’era in collegamento il vicepremier di Zelensky, Iryna Vereshchuck, ex ufficiale dell’esercito ucraino. Quell’esercito che nei suoi ranghi annovera ufficialmente il nobile battaglione Azov, del quale su Amazon è in vendita ad euro 12,85 la maglietta con stampigliato relativo simbolo nazista. La signora, fino a qualche anno fa, prima di innamorarsi di Zelensky era innamorata persa di Putin (“Se in Ucraina ci fosse un uomo – leggasi maschio – come lui – leggasi alfa – lo voterei assolutamente” andava dicendo).

Certo si cambia idea.

Ma gli oggetti degli innamoramenti ci dicono pur qualcosa su chi si innamora.

La signora è in tenuta militare. Si capisce, sta in un bunker.

Vero è che si faceva fotografare in tenuta militare anche prima e, quando usciva in borghese, per misteriosi motivi indossava la divisa dell’equipaggio dell’Enterprise.

Ma va bene così, per carità…non ci formalizziamo – del resto noi ci abbiamo Mughini che si veste come Scaramacai – e invece “veniamo al punto” (per dirla con l’astuto Fubini): alle domande dirette a conoscere quali avrebbero potuto essere le condizioni di una eventuale trattativa con i russi la risposta era sempre una e una sola “non c’è nulla di che trattare, vogliamo tutto e subito” (non espressa esattamente in questi termini ma chi ha voglia e forza di ascoltare la trasmissione di cui inserisco qui il link potrà facilmente verificare che il senso è esattamente quello).

Perché? Facile!

1) Perché il popolo ucraino è con noi.

2) Perché siamo cristiani.

3) Perché siamo nel giusto.

4) Perché la VERITA’ è con noi e noi siamo con la VERITA’.

5) Inoltre noi ci abbiamo il presidente Zelensky per cui, vedete, ce la sentiamo sucata.

Gli esterrefatti giornalisti presenti, compresa la Gruber e Giannini che una mano gliel’avrebbero data di cuore, le suggerivano le risposte come l’insegnante all’esaminanda raccomandata (ma guardi che non si può fare, guardi che ci sono i missili nucleari, guardi che per trattare si deve pur trattare, accettare condizioni, qualche compromesso…).

Niente da fare.

Iryna fu irriducibile e, come entrò, se ne andò.

Testa alta e petto in fuori.

Ma almeno garantire la neutralità dell’Ucraina? Esticazzi.

Ma così può scoppiare una guerra mondiale? E a me che minchia me ne fotte.

E una guerra nucleare? Non sono cazzi miei.

Insomma una serata straordinariamente istruttiva.

Ma non è che all’indomani i nostri gazzettieri siano stati sfiorati dal dubbio.

Tutto come prima, tutto più di prima: sentimentalismo da primo appuntamento e frenesie adolescenziali da tirabretelle che al bar parlano con l’aria del dongiovanni di donne che non si sono mai scopate.

TAG: Facebook, giornalismo, Guerra in Ucraina, italia, politica, Unione europea
CAT: Media, società

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