In tempi di pandemia il rischio è di dare i numeri

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17 Aprile 2020

Pochi mesi fa l’Organizzazione Mondiale della Sanità ammoniva che il mondo non fosse pronto a fronteggiare l’emergenza di una pandemia, causata da un nuovo virus a trasmissione respiratoria. Parole profetiche. Un patogeno della dimensione di pochi nanometri ha rivoluzionato in poche settimane il nostro modo di vivere. L’Italia si è trovata ad essere l’avamposto di questa nuova emergenza e la politica ha cercato di prendere decisioni gravose in tempi celeri, con il supporto di tecnici infettivologi, epidemiologi e di sanità pubblica. Tuttavia, la lezione italiana insegna che una buona comunicazione rappresenta la chiave per la pianificazione di una risposta efficace ed efficiente in una situazione drammatica di tale portata. La comunicazione deve essere concisa, la scelta delle parole accurata e il contenuto chiaro. Al contrario, diversi giornali e trasmissioni televisive sono state colonizzate da un numero eccessivo di esperti, che hanno iniziato ad affermare tutto e il contrario di tutto, accomunando gli effetti del Covid-19 a quelli dell’influenza o, all’opposto, evocando scenari da “Peste Nera”. Alcuni esperti, pochi mesi prima, escludevano con fermezza il rischio pandemico e minimizzavano gli effetti per l’Italia. La politica è rimasta spiazzata, tentennando tra chiudere o meno la nazione. I cittadini non hanno compreso la situazione e atteggiamenti di superficialità si sono alternati ad altri di ligia segregazione sociale. In Finlandia, la gravità del virus è stata, almeno inizialmente, sottostimata e la discussione parlamentare, sulla pianificazione delle risposte da intraprendere, intensa. Tuttavia, una serie di provvedimenti, univoci e chiari, è stata data ai cittadini, con il supporto del parere di pochi esperti e dell’evidenza scientifica al momento disponibile. Nelle trasmissioni televisive finlandesi il giornalista intervistava tre ospiti: il Primo Ministro, il Ministro della salute e il primario del reparto di infettivologia dell’ospedale universitario di Helsinki. Le decisioni assunte nei confronti dell’emergenza sono state comunicate in modo sintetico e pragmatico: chiusura di università, scuole, cinema, teatri, pub, ristoranti e bar, fino alla chiusura della regione della capitale Helsinki (Uusimaa), omettendo limitazioni sul movimento all’aperto (ad esempio la passeggiata) con la dovuta distanza di sicurezza. Giuste o sbagliate che fossero le limitazioni, i cittadini hanno compreso e si sono  adeguati. Il distanziamento sociale, unica soluzione in assenza di una terapia medica efficace e di un vaccino, implica una limitazione delle libertà costituzionali [Studdert DM et al, NEJM, 2020] che deve essere giustificata ai cittadini, altrimenti rischia di passare come attacco alla democrazia. Una spiegazione della sua importanza è stata illustrata in una stupenda “animazione epidemiologica” pubblicata dal “The Washington Post” il 14 Marzo 2020. E’ altresì vero che il distanziamento sociale è semplice da applicarsi in Finlandia, ove la densità di popolazione è di 18 abitanti/km2, rispetto all’Italia che presenta una densità dieci volte superiore. Tuttavia, mentre in Finlandia l’importanza del distanziamento sociale è stata stressata attraverso un provvedimento sintetico e pragmatico, In Italia si è puntato sulla drammatizzazione del bollettino trasmesso quotidianamente dalla Protezione Civile. I numeri forniti nel bollettino – il numero di infetti, il numero di morti e il numero di guariti –  avrebbero dovuti essere però interpretati e spiegati al cittadino.  Innanzitutto, un bollettino settimanale sarebbe stato più che sufficiente per avere un’idea dell’emergenza, senza generare angoscia e ansia. In Finlandia tutti i dati aggiornati sono stati riportati sul sito internet del Ministero della Salute, in altre parole, l’utente deve andare a cercarseli, senza esserne passivamente sopraffatto. Inoltre, era evidente già dall’inizio che i dati fossero calcolati su un campione non rappresentativo della popolazione. In statistica, prima di poter estendere conclusioni a tutta la popolazione, si deve essere certi che il gruppo in studio (= il campione) presenti caratteristiche simili alla popolazione. Cerchiamo di guardare ora ai numeri:
1. Numero degli infetti: Il numero degli infetti sembrerebbe sottostimato rispetto a quello reale. L’Imperial College di Londra ha stimato numerosi milioni di infetti in Italia [Flaxman S et al. Imperial college Covid-19 Response Team]. Questo numero è influenzato dal numero degli asintomatici, dai tamponi eseguiti sul territorio, dal numero di falsi negativi al test e così via. Uno studio coreano e uno studio tedesco hanno evidenziato la possibilità che la malattia decorra in modo asintomatico (= senza sintomi) o paucisintomatico (= con pochi sintomi) fino in una consistente percentuale di pazienti [Woelfel R et al. Medrxiv. 2020, Song J-Y et al. NEJM. 2020]. E’ sentire comune tra i pediatri che gran parte dei bambini sia probabilmente asintomatico. Se ciò fosse confermato, il “paziente 1” di Codogno sarebbe stato in realtà il paziente 100, 1000, 10.000…poco importa. Chiunque a casa può far di calcolo in modo semplice. Se ogni paziente infetto trasmette il virus in media a 2 individui (il famoso indice R0, che per il Covid-19 è di circa 2.2-2.8, arrotondiamo a 2 per semplicità) e l’incubazione è di 5 giorni (la mediana è 4 con un intervallo da 2 a 14, ma semplifichiamo a 5) [Ye Q et al. J Med Virol. 2020], otterremo più di 500 infetti dopo circa 40 giorni (senza contare, sempre per semplicità, l’effetto cumulativo che ne aumenterebbe il valore). E’ evidente che in Italia tale cifra sia stata raggiunta in pochi giorni, suggerendo che il virus circolasse già da molti mesi e che il numero reale sia di gran lunga superiore a quello comunicato. A supporto di queste considerazioni, l’evidenza di numerosi pazienti con “polmoniti atipiche” già identificati a dicembre.
2. Numero di morti: Anche il numero di morti sembrerebbe sottostimato. Numerosi pazienti sono deceduti nelle RSA e a casa per un’infezione respiratoria senza essere stati sottoposti a tampone, quindi non venendo registrati come morti per Covid-19. Al contrario, paradossalmente, il tasso di mortalità potrebbe essere significativamente sovrastimato. Il tasso di mortalità si ottiene dividendo numero di morti per il numero di infetti, moltiplicato per cento. In Italia ha sfondato il tetto del 10%. Come già detto, essendo il numero reale degli infetti molto maggiore, il tasso di mortalità risulterà significativamente minore rispetto all’atteso (aumentando il denominatore, il valore della frazione diminuisce). Un altro dato interessante riguarda le comorbidità. Affermare che i morti siano tutti anziani con più patologie (ovvero ipertensione, diabete e cardiopatia ischemica) è abbastanza privo di senso. Per stabilire una reazione di causa-effetto, ovvero determinare se una condizione (ad esempio l’ipertensione) aumenti il rischio di mortalità, si devono condurre studi che tengano conto di tutti i fattori, confondenti e di interazione, legati all’evento, calcolando indici di rischio che abbiano una significatività statistica. Non abbiamo mai sentito riportare con sufficiente precisione i dati relativi al fumo di sigaretta, al consumo di alcool, alla presenza di patologie respiratorie pregresse (ad es. asma, broncopatia cronica ostruttiva…), all’obesità, nonostante l’evidenza scientifica mostri sempre più un ruolo di questi fattori.
3. Numero dei guariti: è un dato importante perché da un lato ci fornisce informazioni sulle caratteristiche e la tempistica della risposta immunitaria dell’ospite e dall’altro ci supporta psicologicamente, dandoci la speranza della guarigione. Ancora una volta, il problema è che il numero dei guariti potrebbe essere sottostimato, perché non tiene conto del numero dei paucisintomatici/asintomatici (vedi sopra). Inoltre, una definizione di guarigione sembra ancora poco chiara anche all’interno della comunità scientifica.
4. Numero di ricoverati: è un dato importante che fornisce un valore diretto di coloro che necessitano ospedalizzazione o accesso alla terapia subintensiva/intensiva (= gravità di malattia). Dato, però, anche dolente in un paese come l’Italia, ove si è assistito ad una drammatica riduzione dei posti letto negli ultimi anni: 3.2 posti letto per mille abitanti versus una media europea di 5/1.000 abitanti e 2.6 posti letto in terapia intensiva per mille abitanti versus una media europea di 3.7/1000 abitanti. Inoltre, i criteri di ospedalizzazione e di accesso alla terapia subintensiva/intensiva sono influenzati dalla cultura e dall‘approccio alle risorse, che può variare da paese a paese. Senza entrare nei dettagli, l’Italia è un paese pressato dalla questione della medicina difensiva, problema così rilevante che ha portato medici ed infermieri a chiedere alla politica uno scudo anti-azioni legali ad emergenza terminata. Una diminuzione degli ospedalizzati in terapia intensiva, non necessariamente è un buon segno, qualora sia associato ad un aumento del numero di morti.
Durante una pandemia, gli esseri umani guardano alla scienza con occhi di speranza e gli scienziati hanno quindi il dovere di fornire dati rigorosi e solidi. Questo compito implica però due responsabilità: ammettere la propria ignoranza ove non vi sia evidenza scientifica e fornire ai cittadini gli strumenti per una corretta interpretazione dei dati. Il cittadino, ancor più se incatenato in una situazione d’emergenza, ha il diritto di ricevere un’informazione scientifica adeguata e chiara. Questo richiede una maggiore collaborazione tra mondo accademico, politico e d’informazione. Il rischio è di rimanere vittima di una “bulimia” di dati negativi e fuorvianti che, a lungo andare, possano avere anche gravi ripercussioni sull’integrità psico-fisica dell’individuo (stiamo aspettando ricerche anche su questo aspetto, alquanto trascurato), lasciando nelle menti e nelle coscienze macerie ben peggiori di quelle lasciate dal germe.

TAG: coronavirus
CAT: Medicina

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