Ogni tanto la storia passa dalle stanze dal Parlamento italiano. Lo fa seguendo vie tortuose, ragioni non sempre nobili quanto lo sono invece le cause discusse, e spesso a motivare certi dibattiti rilevanti sono ragioni di identità nazionale e di bottega che servono a misurarsi e a dichiarare chi si è. Ma poco importa: quando la storia passa nelle polverose stanze della politica italiana è bene fermarsi, sottolinearlo e ragionarci. È questo, ad esempio, il caso del voto sulle mozioni degli onorevoli Palazzotto (Sel) e Locatelli (Psi) che propongono che l’Italia riconosca l’esistenza dello Stato di Palestina (peraltro sulla scia quanto già avvenuto al Parlamento di Strasburgo e in molti altri paesi europei). Peccato che il Pd, che in un primo momento era parso favorevole a concordare il testo da votare, si è spaccato e la votazione non è ancora stata inserita nel calendario dei lavori parlamentari.
La sola parola Palestina porta con sé complessità, conflitti, lunghe discussioni, la memoria di migliaia e migliaia di vittime e di infinite manifestazioni di solidarietà alle due cause: un carico materiale e simbolico sicuramente sproporzionato rispetto alle dimensioni materiali di un conflitto che grava su molte coscienze ma è – tocca dirlo – più piccolo e meno grave di molti altri. Ma anche coi simboli bisogna fare i conti, e sapere che formano l’eredità politica delle nazioni. È il nostro caso, di nazione da sempre in buoni rapporti storici con il mondo arabo ma anche cerniera atlantica di relazioni stabili con Israele. Un sistema di equilibri certo fragili ma più preziosi che mai ora che il Mediterraneo si mostra evidentemente, agli occhi del mondo, per la bomba pronta a esplodere che è.
Il destino e i percorsi della politica dunque portano in Parlamento e al voto la questione del riconoscimento dello stato palestinese proprio adesso, ora più ora meno, proprio in questi giorni. Il Pd annuncia che voterà a favore. Un’occasione imperdibile, tra l’altro, per mostrarsi forti a sinistra, su un tavolo da sempre sensibile per la sinistra italiana, proprio dopo (o prima?) di aver annunciato la propria disponibilità a un intervento militare in Libia. Se si manterrà fede a questa promessa, si farà la cosa giusta. Perché, anzitutto, l’esistenza dello Stato palestinese è un’esigenza della storia e della giustizia umana. Lo chiedono da decenni le risoluzioni internazionali: le stesse che, giustamente, vengono brandite per difendere la piena legittimità dell’esistenza di Israele da chi, ancora, fuori tempo e fuori da ogni legalità internazionale, la contesta. È giusto e sacrosanto che Israele esista. È giusto e sacrosanto che, prima o poi, inizi a esistere davvero anche uno Stato palestinese. Senza occupazione, da un lato, e con tutti i doveri di rispetto dei confini e dei diritti del vicino (Israele, guarda un po’), dall’altro.
Si dice: ma il riconoscimento dello Stato palestinese non pacificherà l’area, né renderà più ragionevoli gli estremisti di ambo i lati. Vero, verissimo: non fosse che il conflitto ultradecennale ha mostrato che questa situazione di cancrena non è gestibile se non passando attraverso ciclici innalzamenti di tensione oltre la soglia della guerra, e nel permanere di un basso continuo di tensione militare e sociale che non raggiunge mai la stabilità della pace. Non c’è nulla da perdere, nulla da mettere a rischio, riconoscendo la Palestina, se non una situazione storica del tutto insostenibile. Si dice, ancora: ma in Palestina oggi è fortissima Hamas, forza estremista che non riconosce il diritto di Israele di esistere e punta alla distruzione dello stato ebraico. Vero anche questo: un vero Stato palestinese cambia la situazione e rende davvero Hamas più forte o, in fondo, consegna – consegnerebbe – ai politici palestinesi tutti gli oneri del governo togliendo di mezzo le responsabilità di Israele, e l’occupazione innegabilmente utilizzata (e utilizzabile) come alibi e strumento di propaganda? Propendo, ovviamente, per questa seconda opzione.
Infine, è vero, i palestinesi hanno molte responsabilità storiche, e i loro torti non possono essere cancellati dall’analisi solo perché vittime di tanti, enormi torti israeliani. Ma sono i torti di un popolo una buona ragione per non riconoscere il diritto dello stesso all’autodeterminazione? La domanda è fastidiosa ma va tenuta calda, nelle nostre teste. Perché i palestinesi avrebbero diritto a un paese anche se fossero molto peggiori di americani, italiani, iraniani, egiziani, libici o israeliani. Tutte nazioni che hanno scelto i loro governanti o subito i loro satrapi. Non si capisce perché, nel 2015, si possa dire di no ai palestinesi.
Nella foto di copertina, Handala, il personaggio creato dal disegnatore palestinese Naji Al-Ali
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