Tempo reale

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28 Ottobre 2023

All’epoca in cui la superstizione del “Tempo Reale” fa strame della causalità e rende irrilevanti i precedenti e trascurabili le conseguenze – classificate, al più, come “danni collaterali” – i mass media – che ormai non mediano altro che l’immediato – la spacciano in grande stile come “conoscenza della realtà”.

Il “Fatto” – mitizzato e sempre mediato, ovvero “fatto”, dai mass media – viene presentato con i paramenti della immediatezza.

Grazie alla “cronaca diretta” la storia – perfino quella che riguarda l’altro ieri – appare, nel migliore dei casi, come pedanteria professorale. Se qualcuno, malauguratamente, vi si richiama con troppa insistenza e, soprattutto, nei momenti in cui più forte è la pressione mediatica dell’immediato, verrà tacciato di volta in volta di disfattismo, terrorismo, antisemitismo o uno qualunque degli altri -ismi disponibili sul mercato (pacifismo è, tra quelli in voga, il più elegante: cade sempre a pennello).

Mentre, però, i precedenti – storici – di ciò che accade sotto i nostri occhi devono essere ignorati in nome della immediatezza (e il gesto terroristico, l’aggressione, l’assassinio mai ricondotti a ciò che li ha causati…) è la favolistica a prendere il sopravvento.

La mitografia impazza e si costituisce come unico precedente richiamabile.

In un recente elzeviro Adriano Sofri, che sta diventando il mitografo di riferimento della nuova maggioranza riflessiva (costituita da quelli che avendo immaginato di vivere un sessantotto eroico si sono poi resi disponibili a un confortevole sessantanove) ne ha fornito un esempio da manuale.

Questo elzevirista, il cui passato non sembra costituire un precedente, pur essendolo oltre ogni dire, dopo avere scansato via sprezzantemente le cause di ciò che è accaduto in Israele il 7 ottobre, per dimostrare che non è giusto “ridurre le cause ai precedenti” non ha esitato un attimo a tirare fuori il precedente di tutti i precedenti: il libro della Genesi.

Questa non è una topica.

O meglio lo è di certo, ma nell’ambito di quel canone mediatico di cui ho appena parlato e nel rispetto di quella silenziosa ma implacabile censura per cui perfino il semplice richiamo a precedenti storicamente innegabili – un’ovvietà attestata recentemente, con motivazioni presumibilmente burocratiche, anche da un burocrate delle Nazioni Unite – diventa, prima che impronunciabile, addirittura impensabile.

Decenni di sfruttamento e oppressione, in base al canone ufficiale, non vogliono dir nulla.

Così mentre il problema dell’oppressione e dello sfruttamento perviene in queste ore alla sua soluzione finale – non certo con l’eliminazione dello sfruttamento e dell’oppressione, accettati ormai come “dato di natura”, ma con la cancellazione degli oppressi e degli sfruttati dalla faccia della terra – molti hanno l’insolenza di definire questo massacro una “difesa” di ciò che hanno l’ulteriore sfacciataggine di definire “Civiltà” aggiungendoci il più vacante di tutti gli aggettivi: Occidentale.

Siamo perciò ridotti, come tutti i disperati, a sperare nella clemenza dei carnefici.

Carnefici che però sono a tal punto cinici da giustificare la carneficina con uno slogan (I stand with Israel!) che alla miseria di tutti i nazionalismi assomma quella di riferirsi a un nazionalismo indotto, artificiale e privo perfino di quello straccio di motivazione geopolitica (ah! dimenticavo la Bibbia…) che, si fa per dire, vantano gli altri.

Peggio di così, alla “Civiltà Occidentale”, qualunque cosa voglia dire, non poteva finire.

Alla faccia dell’illuminismo.

TAG: Cultura, giornalismo, Guerra in Palestina, italia, politica
CAT: Medio Oriente, società

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