“Dove finisce Milano” è un podcast originale di Jacopo Tondelli, prodotto dal Centro Martini nell’Università Bicocca, che ogni settimana vi arriva grazie alla voce di Federico Gilardi. Nelle ultime puntate abbiamo parlato molto di politica, della politica della Milano che è stata berlusconiana, e della recente nomina di un assessore in questa Milano di centrosinistra, una città che conosce il proprio passato ma fatica a disegnare il suo futuro. Questa settimana parleremo del Decreto Salva Casa, voluto dal ministro delle infrastrutture Matteo Salvini, cittadino e politico milanese, e delle sue implicazioni sulla nostra città. Le puntate delle scorse settimane e quella di oggi, naturalmente, hanno più di qualche nesso. Partiamo però da una storia vera, ambientata in un quartiere di Milano che si chiama Maggiolina, che potete ascoltare o leggere qui.
Nel 2007, diverse vite e altrettante case fa, mi trasferii in una piccolo bilocale mansardato dotato di un bellissimo terrazzo nel cuore di quel quartiere. Confinava e si confondeva con un altro storico quartiere dell’est Milano, che prende il nome di Villaggio dei Giornalisti. Poco più in là, il Naviglio Martesana e lo storico quartiere popolare e periferico di Greco. È stata la casa del mio ritorno in città, dopo anni di studio e vita sulle sponde del Ticino, a Pavia. A quella casa la mia memoria affiderà sempre un ruolo affettivo fondamentale: la mia prima casa da solo nella mia città. La casa era carina, era piccola, bassa e calda, non priva di difetti. Ma appunto aveva un pregio: quel grande terrazzo, che a Milano è sempre un lusso. Quando me la proposero, puntando sul fascino rappresentato dal pezzo forte dello spazio aperto, mentre guardavo con la proprietà verso ovest e il cielo rosseggiava, mi sentii dire: “Poi vedi, qui sotto ci sono degli uffici della Regione, nessuno ti costruirà mai niente davanti, e ti godrai sempre il tuo terrazzo e la tua vista”. Presi la casa e ci passai anni molto belli e ricchi da tutti i punti di vista, come sono quelli di chi ha la fortuna di avere affetti veri e un buon lavoro, nella propria città, attorno ai 30 anni.
Già allora, attorno al 2007, gli “uffici della Regione” furono messi in vendita. Ricordo i cartelli dell’agenzia Pirelli Real Estate – un nome che solo ai meno giovani ricorderà qualcosa, e vagamente – comparire e poi ingiallire. Gli uffici erano bassi, un piano, al massimo due. Me ne andai dal quartiere nel 2011, e non ricordo se i cartelli c’erano ancora: ma di certo era tutto come l’avevo trovato. Vista sul tramonto libera, e “uffici della regione” vuoti a non ostruire nessuna vista.
Diversi anni dopo, diverse case dopo, passando di lì, ho visto crescere, mattone dopo una mattone, una torre altissima. Che sorge esattamente davanti a quel terrazzo, a quella casa. Si chiama – senza spreco di modestia – Torre Milano, conta 24 piani e oltre 80 metri di altezza. Non sapevamo, mentre con una certa sorpresa vedevamo il gigante salire verso il cielo, che proprio quel palazzo sarebbe stato il perno della questione politico-giudiziaria dalla quale siamo partiti. Già, perché alla fine dello scorso anno, e proprio dubitando della legittimità dell’operazione e del rispetto delle norme nel realizzare il grattacielo, è stata aperta l’inchiesta che ha dato il via, appunto, a un’indagine più ampia. Che oggi riguarda diversi casi analoghi: interi palazzi, volumetrie importanti, autorizzati come semplici ristrutturazioni, ma che tali appunto non erano. Le ristrutturazioni richiedono semplici comunicazioni, mentre modifiche così imponenti dei volumi e del paesaggio richiederebbero ben altre autorizzazioni, almeno secondo l’interpretazione delle norme vigenti che dà la procura milanese. L’indagine ha generato un blocco di molte operazioni immobiliari, la messa in dubbio di investimenti ingenti come quelli che servono per rifare Piazzale Loreto, e la fuga di funzionari e dirigenti dagli uffici del Comune interessati dall’inchiesta. Chi invece resta, per non rischiare, non firma più nemmeno la richiesta per le proprie ferie e non autorizza l’acquisto della cancelleria.
A colpire, in questa vicenda, sono diverse cose. La principale è che la politica non è partita in tromba gridando al complotto della magistratura. Certo, qualche autodifesa c’è stata, ovviamente, ma niente di clamoroso, forse anche perché ad essere indagati sono, per lo più, funzionari e dirigenti del Comune, e non gli amministratori politici. Non ha fatto la vittima la sinistra che governa in città da 13 anni, e storicamente sul tema del rapporto con la magistratura è più prudente, avendo osannato i magistrati di Milano per i lunghi anni berlusconiani. Ma non l’ha fatto neanche la destra di governo. Neanche Salvini, che sicuramente ha interesse a intestarsi una soluzione normativa e politica, e che però ragionevolmente sa che negli anni tutte le amministrazioni milanesi hanno forzato la mano, all’interno di un rapporto che le vedeva deboli rispetto al mondo delle costruzioni e dell’immobiliare. Così, dentro a un decreto fatto per sanare verande e piccoli abusi di provincia, il ministro ha infilato una norma per “salvare Milano”, cioè per rendere sicuramente legittimo ciò che per la magistratura inquirente, a oggi, legittimo non è.
Vedremo come andrà a finire. Vedremo cosa ne sarà delle centinaia di emendamenti che sono stati presentati entro il termine del 26 giugno da tutti i partiti, in parlamento. Per quel che ne sappiamo, nessuno ha chiesto di stralciare il “caso Milano” dal Decreto. Nessun partito ha chiesto di lasciare che i giudici lavorino sulla base delle norme esistenti, che come sempre in Italia sono molte e contraddittorie.
Tanto contraddittorie da rendere possibile pensare che un palazzo di ottanta metri possa sorgere senza una specifica autorizzazione, solo comunicandolo, come fosse un secondo bagno, o l’abbattimento di un parete non portante. Non è una questione personale, credetemi: ho cambiato casa da anni e un grattacielo davanti non mi avrebbe comunque disturbato. Certo, è un grattacielo di lusso, che ha contribuito alla crescita dei prezzi dell’abitare in zona e in città. Per farlo non è servito nemmeno chiedere un permesso. Se non è questa una questione politica, onestamente, non so cosa sia la politica né, tantomeno, a cosa serva.
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