Polemichette sanremesi

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23 Gennaio 2020

Non mi piace parlare di Sanremo, nonostante lo guardi ogni anno con molto distacco e legga con molto divertimento i commenti su Twitter nelle serate di presentazione delle canzoni. Ogni anno a Sanremo qualcosa fa discutere, insomma, si parla, si vocifera, si lagna di qualcosa, di qualcuno che c’è, ci sarà o c’è stato con diverse conclusioni. Sono quasi arrivato a pensare che – magari sono solo malizioso -, se ne parli tanto per aumentare l’hype, l’attesa, tenendo alta l’attenzione su una competizione che è cerebralmente discutibile in ogni sua parte.

Quest’anno la compagine al timone dello show mi è subito sembrata abbastanza debole, e infatti – ma sarà solo un caso -, sono subito arrivate le polemichette sulla scelta delle belle co-conduttrici che aiuteranno Amadeus nel corso della settimana canora sanremese. Ma non bastava, non reggeva, non scandalizzava ancora abbastanza l’aver sdoganato la bellezza come termine di paragone per la presenza sul palco dell’Ariston, serviva qualcosa di più forte, di più massiccio, che facesse tenere alta l’attenzione su una gara, mi ripeto, sempre più sottotono.
Così siamo arrivati alla nuova polemichetta (termine ormai confindenziale) su Junior Cally, 29 anni, rapper romano in gara con un brano ma reo di averne pubblicato un altro qualche tempo fa con delle parole di “dubbia moralità” che parlano di violenza, in toni anche molto coloriti, su una donna. Ovviamente la strumentalizzazione non si è fatta attendere (“Paghiamo il canone per uno che canta certe cose?”) e nemmeno dalle parti della politica si è cercato di evitare lo scontro con il mondo dell’arte appiccando roghi inquisitori verso il rapper e le sue canzoni.

Insomma, è la solita storia, qualcosa fa scandalo e tutti a mangiarci sopra come bestie affamate. O forse “viene creato uno scandalo attorno a qualcosa” e tutti ne parlano, tanto per tenere viva l’attesa o per ingannarla con qualche solita vecchia ammonizione che i soloni di turno cercano di fare per il bene dell’umanità e delle generazioni future.
Junior Cally è un personaggio, un cattivo del rap, non ha avuto una vita semplice e usa le canzoni per sbalordire il pubblico. Pare anche che ci riesca bene dati gli ascolti e la rilevanza che ha tra i giovani virgulti appartenenti alla sua area musicale, estrema di nascita, rabbiosa, indecente e scioccante per costituzione. Insomma, cosa volete che sia uno stupro in una canzone rap?
Da notare che sul palco salirà anche, come ospite, una certa Myss Keta che in un suo recentissimo brano canta “Toccami la gamba, Passami la bamba, Kyto, Poporoya. Jo sono la tua troia, Milano, coca, sushi, moda”. Ma questo forse non indigna abbastanza. O meglio, non è così tanto volgare da ricamarci su una colorata polemichetta?

Spesso pensiamo che sia la musica più violenta, quella tipicamente metal, hard rock, ecc. ad avere il più alto tasso di incompatibilità con la “morale comune” e l’”eticamente corretto”, ma se ci guardiamo indietro, troviamo che la voglia di stupire, di scioccare, di allarmare fa parte dell’arte stessa, della creazione, della scrittura e dell’intaglio di qualsivoglia arnese che tutt’oggi vediamo nei musei o sui libri di scuola. “Prendi una donna, trattala male”, cantava Marco Ferrandini quarant’anni fa e dopo di lui (ma anche prima) potremo prendere in esame decine di testi di autori famosi e meno famosi che in una canzone hanno scritto quello che non è nient’altro che una storia, in cui, come nelle favole, mostri e bambini diventano attori di una stessa trama. Pensiamo alla “Canzone del riformatorio” dei Baustelle, si parla di un giovane adolescente, imbottito di droga che ferisce una ragazza che ama e si chiede cosa succederà dopo la prigione. Una storia atroce, di disperazione, solitudine, amore tossico, non molto distante dai film di Claudio Caligari o da tanti altri che abbiamo visto al cinema o in tv. Gli Afterhours hanno parlato di adrenalina e lividi in una canzone ormai storica, Masini ne ha raccontato in Bella Stronza, persino i Modà, avete letto bene, i Modà hanno scritto “Devi dirmi scusami e feriscimi, e implorarmi di non ucciderti”. Ma se a cantare di certe cose è un artista pop allora può farlo beatamente? Non possiamo adottare due pesi e due misure. Artisticamente non c’è nulla di diverso tra una canzone de Il Volo e una di Bassi Maestri, Fabri Fibra, Club Dogo o Trucebaldazzi (chi se lo ricorda? Voleva lanciare una bomba contro una scuola). E allora?

La musica pop ha sempre raccontato qualcosa non solo con la musica, ma anche con le parole. Come disse Frank Zappa (uno che ci ha visto lungo, lunghissimo), sono soltanto “parole”. Lui, probabilmente il più grande genio musicale del secolo scorso, sapeva scioccare il proprio pubblico con la musica – ha scritto e suonato di tutto, per tutti e con tutti, “negri, ebrei, John Lennon, i Pink Floyd” – ma anche con i testi che parlavano di sesso, gay, fellatio ecc. Frank Zappa è lo stesso “freak” che non fumava marijuana e non voleva che i suoi musicisti salissero sul palco ubriachi o fatti di qualsivoglia sostanza. E mentre Jim Morrison, Jimy Hendrix, e tanti altri si erano consumati tra i solchi dei loro dischi, droghe e bottiglie di whisky, Frank Zappa era in prima linea a combattere contro la monotonia musicale e contro coloro che – nel magico mondo reaganiano – volevano garantire una sicurezza verbale – per quello stesso stato in cui i giovani, anni e anni dopo avrebbero massacrato i propri compagni di classe alla Columbine High School armati di fucile, caldamente consigliato e concesso dalla costituzione americana. I genitori incazzati volevano mettere etichette su dischi e film (io ho visto da piccolo Il silenzio degli innocenti e non sono ancora diventato un serial killer) e Zappa si difendeva nelle aule di tribunali, a proprie spese, cercando di salvare la libertà di ogni artista nel concepire la propria arte. D’altronde porre delle etichette non ricorda tanto le stelle di David appese dai nazisti per identificare gli ebrei?

Per fortuna, però, molti cantanti hanno scelto di dire di no, ancora una volta, alla censura. Levante, una persona molto intelligente, oltre che cantautrice sopraffina ha detto: “Che il linguaggio dell’hip hop sia estremo, violento, anche sessista, lo sappiamo dagli anni 80, se ne accorse persino l’Ariston con le polemiche che accompagnarono l’arrivo di Eminem nel 2001”. Come a dire: di cosa stiamo parlando?
Insomma, quella su Junior Cally è una bella polemichetta che lascia il tempo che trova, dovremo stare a rinfacciare agli artisti, attori, cantanti, scrittori, (mentre scrivo sorrido ricordando quando leggevo i racconti di Gioventù Cannibale e il Cappuccetto Splatter di Daniele Luttazzi), tutto ciò che hanno scritto, detto, fatto, interpretato? E per quale ragione?
Ci sono altre cose da puntualizzare, la politica dovrebbe chiedersi cosa sdogana lei stessa e non le canzoni. In fin dei conti si tratta di suoni e parole, non di pragmatismo che dovrebbe comporre la società di domani. Ah dimenticavo: buon Sanremo a tutti!

TAG: censura, frank zappa, Junior Cally, rap, Sanremo
CAT: Musica

Un commento

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  1. sergiok 3 anni fa

    per la cronaca: il racconto di Luttazzi “cappuccetto splatter” era una parodia molto divertente delle efferatezze di “American Psycho” di Bret Easton Ellis. Perché glielo si dovrebbe rinfacciare? L’esempio fatto da Remaggi è fuori luogo.

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