Toc toc. Lo Stato c’è?
Lo Stato c’è. Il messaggio del governo a Caivano era stato questo. Per oggi, poi per domani vediamo, non ci siete mica solo voi, che pretendete? Il povero parroco, disperato, fa baccano, perché si sente preso in giro e come lui anche tutta quella gente che colla camorra non c’entra ma che, purtroppo, abita lì.
Lo Stato, participio passato del verbo essere, è passato di lì casualmente, proprio perché tirato per i capelli, abbiamo notato le doppie punte del signor Meloni, al proposito – forse il più grande problema per il Paese, le doppie punte – ma poi, appena è finita la passerella l’organizzatissima malavita si è fatta una risata e ha ricominciato dove aveva sospeso, facendo un gran rumore di spari per festeggiare.
Come Caivano le periferie, e non solo, di tante città sono simili e si sono sentite incoraggiate dall’assenza – o dalla complicità – di uno Stato troppo occupato a occultare conflitti di interessi, a fare manovre economiche contro i cittadini, riforme scolastiche bislacche (riesumando un merito senza nemmeno sapere cosa sia), conti sballati per operazioni fondamentali ma gestite male, a non rimpiazzare insegnanti, medici, ispettori del lavoro che andavano in pensione, a non curare il territorio, a condonare. Una storia lunga decenni di abbandono, quella di quei luoghi, in cui si innestano i nuovi venuti che pascolano nei domini della malavita e impiantano solide succursali. Nessuno vede, nessuno sente e poi ci si sveglia quando ci sono omicidi, stupri, attentati. Ma tutto è già lì, pronto a esplodere, preparato, fertilizzato da un’umanità che non conosce il rispetto, concentrata unicamente sul commercio illegale e il sopruso, alimentando un’economia malata, ancora più malata di quella, assente, almeno lì, dello Stato.
Non ci facciano intendere che le forze dell’ordine non sanno nulla. Tutti sanno, tutti conoscono perfettamente i movimenti di questo e di quello, diversi sono intoccabili perché informatori della polizia, ma continuano a delinquere. Le solite storie in ogni area difficile d’Italia, ipocrisia di superficie, lo Stato c’è.
Sì, uno Stato c’è, effettivamente. È uno Stato privato, inefficiente, affidato nepotisticamente ai famigli, incapace di capire il territorio e le sue variegate società, buono solo a togliere il reddito di cittadinanza per mostrare di essere severo (coi deboli) ma che contiene nelle sue più alte sfere possibili truffatori del medesimo, come sta dimostrando la vicenda Visibilia, che speriamo venga messa in luce adeguatamente, mostrando tutto ciò che c’è da mostrare, la Venere finalmente senza veli.
Che Stato è mai questo? Un governo che si è insediato ormai da un anno che non ha fatto altro che il contrario di ciò che aveva promesso nella campagna elettorale, ossia carburanti meno cari, senza più le accise della terza guerra d’indipendenza e del terremoto di Messina del 1783, riforma delle pensioni, arretrati per tutti, blocchi navali! Tutte le parole urlate da Meloni, usate per raccogliere voti demagogicamente, sono finite nella spazzatura, indifferenziata, naturalmente, e noi ci ritroviamo con una crisi economica autunnale da affrontare, come sempre, in svantaggio.
La colpa è della guerra, come no. Il bambino preso colle mani nella marmellata che non sa che blaterare.
Una classe media sempre più povera, perché poi i risparmi finiscono, non può sorreggere un’amministrazione statale incapace perfino di fare i conti giusti, con superbonus iniziati e poi sospesi mentre le imprese falliscono. Certo, alcune imprese ci hanno marciato e hanno gonfiato i costi – e vanno assolutamente sanzionate perché disoneste – ma non si possono cambiare le regole del gioco all’improvviso mettendo in difficoltà un Paese che ci aveva investito. Così lo Stato perde di credibilità, all’interno e all’esterno della nazione, soprattutto verso gli investitori esteri che poi preferiscono paesi meno appariscenti, forse, ma dalla burocrazia più semplice e rapida, senza sorprese in corso.
Ma torniamo alle periferie, che sono uno dei malati gravi del paese. Lì le regole sociali per cui la nostra democrazia si è sempre battuta sembrano non esistere. La difficoltà delle persone che non si allineano alla volontà del boss del quartiere è aumentata dal fatto che, anche se denunciano, poi l’autorità si distrae e se ne scorda, lasciando le vittime alla mercé delle mafie. Un po’ la stessa cosa che succede alle donne che denunciano le violenze del proprio compagno, o lo stalking, e le forze dell’ordine dopo aver preso nota della denuncia non fanno assolutamente nulla. E poi la donna viene regolarmente ammazzata. Poi ci sono le lacrime delle prefiche e le filippiche sui femminicidi, e così non si può andare avanti, lo Stato c’è, e tutte le abusate frasi fatte di circostanza per tornare alla solita realtà il giorno dopo.
Ascoltando il podcast dell’11 settembre di Radio24, Melog – Il piacere del dubbio, condotto magistralmente da Gianluca Nicoletti, riflettevo sulla violenza che si può sviluppare e prendere un’ascesa parabolica nel giro di pochi minuti in situazioni dove non c’è nessun controllo.
https://podcastaddict.com/melog-il-piacere-del-dubbio/episode/163510116
C’era una comparazione di una performance degli anni 70 di Marina Abramović in una galleria d’arte, dove lei si offriva per un certo numero di ore come oggetto, insieme a tanti altri su un tavolo, piume, coltelli, forbici, utensili, una pistola, per qualsiasi cosa avesse voluto farle il pubblico. Il pubblico cominciò prima ad accarezzarla colla piuma, solleticarla, per poi a spingersi in manifestazioni sempre più bestiali e primitive fino alla violenza più retriva. Finita la performance, la Abramović, tutta ammaccata, affronta il pubblico. Ma il pubblico, dopo averle fatto di tutto, scappa per la vergogna.
Nicoletti parte da questa performance per fare un confronto con un video che gira in questi giorni sulla rete. È stato girato al Quarticciolo, tremendo quartiere romano dove la violenza è all’ordine del giorno, e lì si vede come un borseggiatore di origine indiana che ha appena strappato la collanina alla vecchietta, per acquistare la dose di droga per lui necessaria, viene preso da alcuni e immobilizzato. Iniziano a menarlo e a poco a poco si raduna una folla inferocita che lo lincia, mentre lui incassa senza reagire, arriva perfino un esperto di arti marziali che fa la sua esibizione. Nel frattempo sopraggiungono signore inferocite, probabilmente anche loro vittime in passato di borseggiatori ed esasperate. Tutti partecipano al pestaggio, senza che nessuno chiami le forze dell’ordine.
L’esasperazione può portare a questo, l’assenza di una coscienza civica, anche nei confronti di un borseggiatore. Bastava immobilizzarlo e chiamare la polizia, ma evidentemente la voglia di farsi giustizia da sé, davanti all’inerzia di chi dovrebbe sorvegliare e difendere i cittadini era più forte. La stessa cosa era successa nel centro di Roma, al Pantheon, dove una ladruncola era stata presa e pestata da tutti.
L’audio fatto sentire da Nicoletti, il quale, sconvolto, prova a razionalizzare tutto, cercando il perché delle azioni, è agghiacciante. E fa riflettere su Caivano e gli altri quartieri difficili di tutta Italia, moltiplicando queste azioni per cento, mille, diecimila, e facendoci rendere conto che lo Stato, malgrado il signor Meloni ostenti demagogicamente la sua presenza, in realtà non c’è.
La società alla deriva è un fiammifero attorniato da liquido infiammabile, basta la scintilla ed esplode tutto. Essere arrivati a situazioni così gravi significa che chi ci ha governato e ci governa attualmente è talmente lontano dalla realtà che viene voglia di prenderli e abbandonarli di notte in quei quartieri ma senza scorta, da soli, giusto per rendersi conto.
Se non si studiano e analizzano le cause di tutto questo, di come funziona la delinquenza, di cosa scatena la violenza più becera e gratuita, e pericolosa perché rabbiosa e incontrollabile, e si agisce sulle cause, lo Stato può fare tutte e passerelle che vuole per rassicurare la fascia di elettorato che ha condotto quel governo a riscaldare con indegni culi le poltrone di Montecitorio ma non si risolve un bel niente. Ma voi riuscite a immaginare, vista la compagine di governo che abbiamo, qualcuno in grado di affrontare problemi stratificati come questi, quando la ministra del turismo è in odore di truffa verso lo Stato, il cognato ne inventa una ogni mattina, dalla sostituzione etnica ai poveri che mangiano meglio dei ricchi, quell’altro sciamannato che urla che ai quattordicenni che delinquono vanno date le stesse pene dei cinquantenni, senza capire assolutamente nulla – vabbè non è una novità – ma facendosi sempre i suoi selfie cogli ammiratori e corteggiando il famoso generale e le sue sacre scritture?
Famo a capisse, direbbe il signor Meloni: questo circo esibito senza alcun ritegno è il meglio che il paese ha espresso col voto democratico? Prego tutti gli elettori di farsi un esame di coscienza, anche quel mio irrecuperabile cugino salviniano (oggi forse meloniano) che chissà se mi legge e anche vari meloniani che conosco (ma non frequento, per carità, pussa via), convinti della saggezza del signor Meloni e del suo cerchio magico.
Sti cerchi magici fanno le magie al contrario, me sa tanto. Non ce n’è uno che abbia funzionato. Bisognerà mandare tutti a lezioni dal Mago Silvan, o David Copperfield che, almeno, le magie le sapevano fare per davvero. Oppure, meglio, bisognerà andare noi dai maghi e farsi spiegare come trasformare tutta sta gente in ranocchi. Dico ranocchi ispirato dal loro perpetuo gracidare.
Sangue di Drago, Lavandino e Finocchio, subitosto trasformati in ranocchio.
Immediapresto.
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