TURISMO BALNEARE ITALIANO: MARE, COSTE, BANDIERE BLU E CEMENTO

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18 Gennaio 2015

Continuiamo la nostra analisi del potenziale turistico italiano. Dopo la riflessione sul turismo enogastronomico, rivolgiamo l’attenzione al turismo balneare per capirne punti di forza, potenzialità, fragilità e mancate occasioni.

Mari e coste caratterizzano fortemente lo scenario turistico Italiano. L’Italia si estende per gran parte sul mare, anzi sui mari: Mare Adriatico, Ionico, Tirreno, Mar Ligure, Mar di Sicilia e Mar di Sardegna. Lo sviluppo costiero della penisola e delle sue isole è di circa 7500 Km e presenta scenari e paesaggi molto vari. Coste basse e sabbiose, coste alte e rocciose, coste frastagliate, ripide, scoscese, coste lineari e rettilinee, isole e isolette, scogliere, promontori, insenature, golfi si susseguono in una varietà infinita di paesaggi e scenari. Non stupisce, quindi, che il turismo balneare sia – in un certo senso – una naturale conseguenza della geomorfologia italiana.  La linea di costa ha da sempre avuto un forte potere evocativo e simbolico. La presenza del mare definisce ritmi quotidiani, stagioni, vita sociale e culturale di una città. In molti casi le città costiere sono diventate città turistico-balneari. Un esempio su tutti: la città lineare adriatica. Una conurbazione che si sviluppa parallelamente alla linea di costa; da decenni caratterizzata da un sistema di servizi e infrastrutture rivolte al turismo. E’ la Rimini descritta da Pier Vittorio Tondelli nell’omologo romanzo.

Il turismo balneare è tra i principali prodotti turistici italiani sia per gli Italiani stessi che per gli stranieri. Si tratta – generalmente – di destinazioni facili da raggiungere e relativamente economiche. Soggiornare in una località di mare consente di muoversi alla scoperta del territorio circostante, di assaggiare tipicità locali, di fare shopping e magari di assistere a qualche evento culturale. Ma spingiamo oltre la nostra riflessione analizzando più in profondità gli elementi del turismo balneare.

Partiamo dalle Bandiere Blu, una certificazione della Foundation for Environmental Education (FEE), organizzazione non governativa e non-profit fondata nel 1981, con sede in Danimarca. Obiettivo della FEE è la diffusione di buone pratiche ambientali attraverso attività di educazione, formazione e informazione. E’ una organizzazione internazionale presente in più di 60 paesi e in Italia dal 1987. La FEE Italia gestisce a livello nazionale vari programmi tra cui quello delle Bandiere Blu: eco-label assegnato alle località balneari con l’obiettivo di indirizzare la gestione del territorio e dei suoi servizi verso buone pratiche di sostenibilità ambientale.

E’ importante porre l’accento su alcuni aspetti chiave di questo eco-label. I Comuni e le località balneari si autocandidano per ricevere la certificazione che è’, quindi, il frutto di un processo volontario. La valutazione tiene conto della presenza di depuratori, gestione dei rifiuti, raccolta differenziata, gestione del traffico, aree pedonali, piste ciclabili, situazione parcheggi e autobus e qualità delle acque. Se da una parte questo eco-label induce i Comuni ad essere più virtuosi per ottenere il riconoscimento, dall’altra è una certificazione che genera un ritorno in termini di immagine e flussi turistici. I Comuni si autocandidano riempendo un formulario e inviando la documentazione richiesta. I dati sulla qualità dell’acqua fanno riferimento ai dati ARPAM – Agenzia Regionale Protezione Ambiente – degli ultimi quattro anni. L’aspetto paradossale di questa certificazione è che può penalizzare località balneari poco urbanizzate, con un mare bellissimo e incontaminato mentre tendenzialmente premia località alquanto urbanizzate e ‘attrezzate’ per il turismo. L’eco-label Bandiere Blu, più che incoraggiare buone pratiche ambientali, appare uno strumento di marketing e comunicazione turistica.  Nel 2014 sono state certificate 269 spiagge e – nonostante ci siano anche revoche della certificazione – ogni anno sale il numero di località, e Comuni insigniti della Bandiera Blu.

 A fare da contrappunto allo scenario idilliaco di Bandiere Blu e buone pratiche ambientali c’è il lavoro d’indagine  delle associazioni ambientaliste – tra le quali WWF e Legambiente – sulla condizione delle coste italiane e la qualità delle acque . Queste indagini ci riportano scenari diametralmente opposti al quelli tratteggiati dal proliferare delle Bandiere Blue. Consumo di suolo, cementificazione massiccia, dighe e barriere nel corso degli ultimi decenni hanno profondamente alterato la linea di costa e il suo paesaggio con relativa perdita di biodiversità e patrimonio naturale. Il dossier del WWF “Cemento coast-to coast: 25 anni di natura cancellata dalle più pregiate coste italiane” (2014)  è un’analisi dell’evoluzione della situazione costiera negli ultimi anni. Il quadro d’insieme che ne emerge è una pesante urbanizzazione ha depredato l’ecosistema costiero e il suo paesaggio. I dati parlano più di mille parole: il 10% della costa italiana è artificiale e alterata da opere infrastrutturali e servizi e il record negativo lo detiene proprio la costa adriatica che, con la sua città lineare adriatica, lascia meno del 30% di waterfront libero da urbanizzazioni. Il dossier riporta una serie di immagini che mostrano l’evoluzione del paesaggio costiero negli ultimi due decenni e di qui il titolo: ‘cemento coast to coast’.

La situazione denunciata dal WWF è sotto gli occhi di tutti e al suo appello si uniscono numerose altre voci. Legambiente  lancia un allarme altrettanto forte. Oltre al crescente consumo di suolo con conseguente perdita di habitat e paesaggi naturali, quello che manca è un vero e proprio piano di tutela delle aree costiere non ancora urbanizzate da villaggi turistici, alberghi, seconde case ed infrastrutture. Forse a non funzionare è stata la Legge Galasso? Legge 431/85 che ha introdotto norme di tutele sui beni paesaggistici e ambientali e che è poi confluita nel ‘Codice dei beni culturali e del paesaggio’ (D.Lgs. 42/2004) nuovamente modificato ed intregrato nel 2014.

Dulcis in fundo l’inquinamento. Interessante approfondimento è il libro “Come è profondo il mare” di Nicolò Carnimeo , giornalista, professore di Diritto della Navigazione e appassionato di mare. L’analisi di Goletta Verde di Legambiente ha rivelato dati sconfortanti in barba ai vessilli delle Bandiere Blu di cui si fregiano molte località costiere. Nel 2013, su un totale di 263 analisi microbiologiche effettuate dalla imbarcazione ‘Golette Verde’, è emerso che un punto ogni 57 Km di costa è inquinato. L’imbarcazione ha campionato circa il 50% di costa italiana e, di questo, l’80% risulta inquinato o fortemente inquinato. Al centro del problema Legambiente segnala cattiva depurazione, estrazioni petrolifere, abusivismo, presenza di grandi navi e inquinamento da attività militari.

Il quadro d’insieme è tutt’altro che idilliaco. A suo modo è tragicomico. Da una parte l’eco-label delle Bandiere Blu  certifica le buone pratiche ambientali delle località balneari e la qualità delle loro acque, dall’altra, indagini condotte sul campo da giornalisti e associazioni ambientaliste tratteggiano scenari diametralmente opposti: consumo di suolo, abusivismo ed emergenza ambientale. E il turismo? E il potenziale del turismo balneare? Rimangono incastrato in questo quadro d’insieme paralizzante.

 

TAG: ambiente, coste, inquinamento, legambiente, mare, turismo, turismo balneare
CAT: Paesaggio, Turismo

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