Altro che De Gaulle, su Vichy Marine Le Pen dice: “Scurdammoce o’ passato”
Marine Le Pen ancora una volta mostra la sua ambiguità e cerca di creare una nuvola opaca dove i principi repubblicani sembrano legittimare posizioni che in realtà negano il carattere universale di quei principi, posizioni che contrappongono donne e uomini ad altre donne e uomini sulla base di caratteri ascrittivi e disegnano un’idea di comunità nazionale chiusa ed escludente. Ieri, durante la trasmissione “Le Grand Jury” ha sostenuto che la Francia non è responsabile della razzia del Vel’ d’Hiv, il Velodromo d’Inverno, a Parigi, dove furono concentrati migliaia di ebrei, che da lì sarebbero poi partiti per i campi di sterminio. Ora, sulle responsabilità del governo di Vichy e delle autorità amministrative e di polizia francesi, della Francia “libera” e della Francia occupata, la conoscenza storica non ci lascia alcun dubbio. Le Pen, in realtà, non mette in discussione tanto queste responsabilità, ma distingue tra “La Francia” e “coloro che erano al potere in quel momento”. E pretende, così facendo, di porsi in continuità con la tradizione gollista. Nel suo sito, infatti, si legge questa risposta alle reazioni alle sue dichiarazioni, sovrastata – il Generale si starà rivoltando nella tomba – dall’immagine di de Gaulle che parla da Radio Londra:
Comme Charles de Gaulle, François Mitterrand, ou encore de nos jours Henri Guaino, Jean-Pierre Chevènement, ou Nicolas Dupont-Aignan, je considère que la France et la République étaient à Londres pendant l’occupation, et que le régime de Vichy n’était pas la France. C’est une position qui a toujours été défendue par le chef de l’Etat, avant que Jacques Chirac et surtout François Hollande, à tort, ne reviennent dessus.
(Come Charles de Gaulle, François Mitterrand, o ancora ai nostri giorni Henri Guaino, Jean-Pierre Chevènement, o Nicolas Dupont-Aignan, ritengo che la Francia e la Repubblica fossero a Londra durante l’occupazione, e che il regime di Vichy non fosse la Francia. E’ una posizione che è sempre stata difesa dal Capo dello Stato, prima che Jacques Chirac e soprattutto François Hollande, a torto, ci tornassero sopra.)
Ora, è vero che da de Gaulle in poi, nel discorso dei presidenti forte è stato l’accento su «la seule France, la vraie France, la France éternelle» , ovvero la Francia che non si era arresa al nemico e non aveva collaborato, la Francia che aveva combattuto dietro la guida del Generale, che aveva organizzato la Resistenza da Londra. L’altra Francia non era la vera Francia, l’altra Francia era quella dei «francesi nemici della Francia», come ebbe a dire Sarkozy nel suo discorso a Porte de Versailles del gennaio 2007 ricordando la figura di Georges Mandel, fucilato nel 1944 su ordine di Pierre Laval, capo del governo di Vichy. Ma quella “Francia” è la trasfigurazione e l’incarnazione dello spirito repubblicano, più che una Francia storica; è l’incarnazione dei principi universali dei quali quella Francia elevata a “spirito” si pretende rappresentante nel mondo e che appartengono all’umanità intera. I due discorsi, citati dalla Le Pen, di Chirac e Hollande si pongono su di un altro piano, quello storico, appunto, quello di una realtà con la quale i francesi è bene che facciano i conti. Una realtà di un crimine compiuto da francesi e dallo Stato francese (Chirac), dalla Francia (Hollande). Nel primo caso siamo in un ambito “ideologico”, dove l’obiettivo è salvare l’ “anima” di una comunità, distinguendola dai crimini di parte dei suoi membri, crimini che, però, li hanno posti al di fuori di quella comunità. Condivisibile o meno, si tratta di una operazione che mira a salvaguardare, come si diceva, la stessa concezione del ruolo “spirituale” e “culturale” della Francia come “luogo universale”. Nel secondo caso siamo in un ambito più concreto, dove la storia non viene trasfigurata, ma costituisce l’oggetto per una riflessione etica sul male che ha percorso la comunità nazionale e sulla necessità di misurarsi con quel male. Un ambito più “moderno”, per certi aspetti, dove il tempo trascorso rende più agevole l’introspezione, a scapito della legittimazione di chi è uscito vittorioso dallo scontro e intende riprendere il filo di una Francia a-storica e universale.
Nel maldestro tentativo di Marine Le Pen di porsi come alfiere della Francia repubblicana, con la pretesa di collocarsi nel solco gollista, la dimensione “metafisica” del discorso golliano scompare. La Francia che non deve sentirsi colpevole è la concreta Francia dei francesi, che ne hanno abbastanza di sentirsi colpevolizzati. I crimini ci sono stati, ma è ora di sentirsi nuovamente fieri di essere francesi, ma non – come nel discorso gollista – contrapponendo il “bene” al “male”, il coraggio di chi ha resistito all’onta di chi ha tradito e per questo è stato escluso dalla “Francia eterna”. Piuttosto, parrebbe, per essere di nuovo fieri è ora di smetterla con il mettere in evidenza «gli aspetti storici più sinistri», quegli stessi aspetti che sono invece fondamentali nel discorso gollista per esaltare la “vera Francia”. Insomma, Le Pen, in realtà, né intende mostrare il coraggio di una Francia che si guarda seriamente allo specchio – come hanno chiesto di fare sia Chirac, sia Hollande – , né riesce minimamente a incarnare l’idea gollista di Francia. Propone piuttosto uno sbrigativo “scurdammoce o passato”, confondendo il piano “spirituale” con quello della bassa politica. Così bassa che, subito dopo aver lamentato l’atteggiamento critico verso la storia passata, se la prende con i politici che avrebbero «avvantaggiato gli ‘altri’, piuttosto che i ‘nostri’». Nessuna traccia di una Francia eterna e universale, solo la solita contrapposizione particolaristica tra “noi” e “loro”, tra coloro che devono essere inclusi e coloro che devono essere esclusi. Niente di gollista, il solito populismo. Sarebbe stato meglio se avesse lasciato riposare in pace il generale.
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