Qualche domanda per interrogare con profitto i risultati elettorali

24 Settembre 2022

Le elezioni più anomale della storia repubblicana sono finalmente arrivate, mentre impazza la circolazione di sondaggi veri, verosimili, inventati o davvero effettuati. Ma per parlare dei numeri avremo tempo, e abbiamo bisogno dei numeri veri. Si tratta dunque solo di aspettare qualche giorno, e sapremo. In questo momento, e pensando a quel che ci aspetta subito dopo, è invece interessante provare a mettere in fila un po’ di nodi che solo il voto degli italiani può scegliere. Ci sono infatti diverse questioni politiche, sociali ed economiche che saranno illuminate dal voto degli italiani e che per certi versi contano pèiù dei singoli derby che si giocano tra coalizioni e forze politiche. Ho provato a metterli in fila in forma di domande, una specie di intervista al voto degli italiani che non ha pretesa di essere esaustiva. Anzi, di domande interessante ce ne sono sicuramente molte di più, e ognuno di noi può aggiungere le sue.

1. Astensionismo e partecipazione: le elezioni politiche meno partecipate della storia?

Quanta gente andrà a votare, e seguendo quali direttrici geografiche e socio-economiche? Se lo chiedono tutti, un po’ perché deciderà di quanto vince, chi vincerà. Un po’ perché, pur all’interno di una forte politicizzazione nazionale, le crepe hanno iniziato a mostrarsi nel tempo, e questa potrebbe essere l’elezione della manifestazione più evidente. Nel 2008 votó oltre l’80% degli aventi diritto. Nel 2013 circa il 75%, nel 2018 il 73%. L’affluenza scenderà ancora, magari sotto il 70%, o sotto i due terzi? È il primo dato al quale guardare. Qualcuno dice “per capire lo stato di salute della nostra democrazia”, ma forse la domanda riguarda anche – e anzitutto – la salute dei partiti e la loro credibilità nel coinvolgere i cittadini nel processo democratico.

2. Divisioni territoriali e socioeconomiche, capitolo primo: il nord e il sud di nuovo lontanissimi?

Tra i grandi temi “storici” della struttura italiana, c’è la polarizzazione territoriale. Meglio sarebbe dire, le polarizzazioni territoriali. Il M5S potrebbe accentuare ulteriormente il suo carattere di “Lega del Sud”, e la Lega  – quella che Salvini aveva voluto con effimero successo spingere verso una dimensione nazionale – tornare a una dimensione nordista, per di più insidiata da Fratelli d’Italia. Al di là del dettaglio, che vedremo quando sarà possibile, resta la questione della forte polarizzazione territoriale del voto italiano. Specchio di sensibilità ed istanze diverse, e stabilmente contrapposte. Dopo la fine dei partiti nazione del passato, la soluzione non sembra ancora a portata di mano. Paradossalmente, alle scorse elezioni la polarizzazione simbolica nord-sud sembrava essersi vagamente ridotta, paradossalmente proprio gtazie alla Lega di Salvini, che aveva sfidato con successo il tabù storico del meridione. Un suo ritorno alle ridotte del nord, pur senza un esplicito cambio di linea, tornerà a simboleggiare la divisione politica e geografica tra nord e sud.

3. Divisioni territoriali e socioeconomiche, capitolo secondo: città e aree interne sempre più distanti?

Una chiave di lettura sempre più rilevante, per leggere cosa succede nelle società occidentali, è la distanza tra città e “campagne”, tra centri urbani che aggregano punti di interesse economico, sociale, culturale e attraggono capitali materiali e immateriali e “resto del mondo” che resiste perdendo progressivamente risorse e capacità attrattiva, o si spopola, aggrappandosi alla chimera di qualche rinascita legata al turismo economico o esistenziale. Questa dicotomia in Italia è particolarmente accentuata, anche per la conformazione peculiare della struttura urbanistico demografica di un paese caratterizzato da pochissime città (relativamente) grandi, da molti centri medi e da una grande quantità di comuni che contano meno di 15 mila abitanti.

4. Quanto vale la bandiera di Draghi nell’elettorato italiano?

Ci sono due partiti, peraltro non alleati tra loro, che possono dire di essere rimasti leali al sostegno che avevano garantito a Mario Draghi anche dopo le sue dimissioni. In maniera laica e senza eccessi il Pd, in maniera sfegatata il Terzo Polo di Calenda e Renzi. Tutti gli altri stanno dalla parte dei “cattivi studenti”, almeno a dare retta alle definizioni degli organi di stampa mainstream: chi perchè non ha mai sostenuto il governo dell’ex governatore della BCE, chi perchè è stato in vario modo dal lato di chi gli ha staccato la spina. Ma se Pd e Calenda e Renzi (e Carfagna, e Gelmini, e Bonino, ecc ecc) tutti insieme non arriveranno nemmeno al 30% dei voti, come si potrà continuare a sostenere che quel governo era così gradito e popolare, presso il popolo? Sarà, probabilmente, l’ennesimo caso di iper rappresentazione dei desideri dell’èlite. Che per definizione, in effetti, è una esigua minoranza molto influente. Non ancora abbastanza per decidere come deve votare la maggioranza, tuttavia. Il risultato dei partiti “draghiani” – quelli della competenza e responsabilità

5. Cosa resta di Silvio Berlusconi, nel DNA del paese?

Per rispondere a questa domanda ci sono due indicatori possibili da valutare, quando avremo i risultati definitivi. Il dato di Forza Italia è il primo, il più ovvio. Ogni voto ricevuto da quello che è stato per vent’anni il più grande contenitore italiano è per certi versi un miracolo, considerando che per il condottiero non è mai stato psicologicamente nè politicamente concepibile immaginare una successione. È il voto di un passato che vota se stesso, in ogni assenza di futuro e con un presente confuso e sbiadito, come le apparizioni dell’ex re dei media tra i meme di Tiktok, come l’ex signore del calcio mondiale a sognare di salvarsi col Monza. La misura di tutto è data dal fatto che l’obiettivo più realistico cui puntare è fare meglio di Renzi e Calenda, che non possono contare sul consenso che fu di Andreotti e Fanfani e nemmeno su quello di Segni e Martinazzoli.
Ma c’è un altro indicatore, meno immediato, ma che non va trascurato. Il centrodestra che probabilmente vincerà le elezioni è ancora figlio della sua intuizione che compirà a breve trent’anni. La coalizione resta quella, i binari in cui si muove sono immutati. Anche di questo bisognerà tenere conto, per fare un bilancio dell’ultima – per adesso… – volta di Berlusconi candidato.

6. Quanto è profonda la connessione sentimentale stabilita da Conte con un pezzo di società?

Sembrava una storia finita, quella dei 5 Stelle. E anche a me non sembrava possibile una repentina risalita nei consensi, dopo la rottura con il governo Draghi. Ovviamente non si ragiona sul ritorno dei fasti che furono nel 2018, e neanche su quelli del 2013. Ma sulla possibilità che il Movimento e il suo primo vero leader politico dotato di un consenso misurabile , Giuseppe Conte, abbiano un ruolo rilevante nel prossimo parlamento. Ovviamente, tutto dipende dai numeri che usciranno dal movimento: da quelli degli ex alleati di governo (che sono diversi tra loro), e da quelli degli storici avversari. Se il Movimento dovesse stare dazlle parti del Pd, e avvicinarsi a doppiare la Lega, ci troveremmo di fronte al fenomeno incredibile di una forza politica nata per combattere il trasformismo, e c he si troverebbe a sopravvivere al proprio trasformismo meglio di alleati che in teoria alla politica dovevano essere assai più avvezzi. E in quel caso, sarebbe difficile non attribuire una parte importante del merito a Conte e alla sua capacità di intercettare una vena profonda del paese.

7. Quanto resta del voto anti-sistema o, almeno, di quello che si sente fuori da ogni sistema?

Parliamo della Ital-exit di Paragone ma anche della sinisyra “radicale di governo”, come la definisce proprio De Magistris, di Unione Popolare. Superare lo sbarramento è per entrambi un obiettivo davvero arduo, e accomunare una forza di estrema destra e una forza di estrema sinistra serve solo per misurare la vitalità e la forza di proposte che non si riconoscono in nessuna coalizione. Paragone punta a raccogliere la rabbia dei no-tutto che sognavano di sfasciare tutto con Di Battista e si sono trovati guidati da Di Maio in versione Casini. De Magistris insegue ancora una volta lo spazio di sinistra-sinistra che tante volte ha mostrato i suoi limiti espansivi, sia dentro che fuori dalle coalizioni. Per adesso quello cui si sottopone è un test con poche speranze di trovare spazio in parlamento. Poi si vedrà.

8. Quanto funzionano le campagne terroristiche su Orban, i diritti civili, il ritorno del fascismo?

La chiamata alle armi è sempre più o meno la stessa. In assenza di vecchi o nuovi radicamenti, a sinistra quando si vota, una volta si agitas lo spettro del fascismo (questa volta peraltro con anche qualche credibilità oggettiva in più), una volta si agitano i nomi di alleati europei impresentabili, una volta si mette in guardia dal rischio che vengano cancellate le conquiste in materia di libertà individuali e diritti civili. Non è questa la sede per discutere del realismo di questi pericoli. Nel caso, sarà bene che queste battaglie siano combattute in parlamento e nella società, con grande forza, dall’opposizione, dopo il voto. Più immediato sarà valutare quanto la chiamata alle armi funzioni, in termini di mobilitazione, in assenza di infrastutture sociali permanenti capaci di garantire un radicamento che va coltivato con continuità sul territorio, non solo tre volte la settimana in tv.

Qeuste sono alcune domande attraverso le quali interrogare i risultati delle elezioni. Molte altre sono immaginabili, e anzi vi prego di inviarle sui social o a commento del pezzo. Saranno utili nell’analisi del voto, a cominciare da quella che già domenica sera avrò il piacere di accompagnare, durante il live elettorale organizzato dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli e Da Radio Popolare. Potete seguirlo in via Pasubio, se siete a Milano e ne avete voglia, o in diretta streaming sui canali della Fondazione Feltrinelli e su Radio Popolare.

Intanto, buon voto a tutti, per quanto possibile!

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CAT: Partiti e politici

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