Dopo il 4 marzo? Ricominciare da Piero Bassetti

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22 Gennaio 2018

Che fare in politica se il mondo cambia, e cambia vorticosamente, mentre invece il tuo Paese appare fermo? I primi passi nel nuovo anno acuiscono il problema, perché l’Italia corre sul tapis roulant della Campagna elettorale: si affanna, suda, sbuffa platealmente, ma in quanto a decisioni strategiche non fa un maledetto passo avanti. L’orizzonte globale, verso cui chi si ferma è perduto, viene sostanzialmente derubricato dalle nostre Leadership in corsa verso il Voto: si preferisce rimbalzare in tutti gli angoli della cronaca nostrana perché lì, nella dimensione del quotidiano, della cosiddetta vita concreta, si individua il terreno di gioco decisivo. E’ il “Microtargeting” descritto tecnicamente da Nando Pagnoncelli sul Corriere della Sera a latere di un sondaggio Ipsos, sabato 13 gennaio: “Si individua un segmento di elettorato, se ne studiano le aspettative, le paure, le idiosincrasie, i bisogni, e ad esso si indirizzano singole promesse.” Ma poi è lo stesso Pagnoncelli a domandarsi, criticamente: “Siamo sicuri che gli elettori si aspettino solo proposte concrete, in piccola scala, come se la politica fosse una sorta di amministrazione di condominio?”

Lo sviamento, in effetti, è clamoroso: il terreno di gioco decisivo è da tempo grande come il mondo intero, e il cittadino italiano subisce senza soluzione di continuità contraccolpi dei giganteschi mutamenti che avvengono in America, in Russia, in Cina, nel Medio Oriente, in Oriente, in Africa, in Europa… E quanto è cambiato nel solo anno appena trascorso! La vita quotidiana di tutti noi, quella realmente concreta, avviene in mezzo a metamorfosi sociali di scala globale che trasformano il lavoro, il mercato, il welfare, le dinamiche della comunicazione, delle classi sociali, della ricchezza e della povertà. Giorno per giorno la velocità di rotazione del pianeta Terra incide sul nostro vissuto, e graffia la nostra pelle. Avremmo pertanto estrema urgenza di Statisti in grado di “pensare alle prossime generazioni, non soltanto alle prossime elezioni” come consigliava De Gasperi. Ma è, sempre più, merce rara. Cercando dunque nella ristrettissima cerchia di coloro che appaiono ancora in grado di smuovere questo Paese, qualche settimana fa ho avuto la fortuna di intrattenere, al telefono, una lunga conversazione telefonica con Piero Bassetti. Ve ne descrivo il contenuto, inserendolo nel senso di marcia che Bassetti sta dando ai suoi più recenti lavori in corso: l’apertura della Schola Italica a Monza, la traduzione inglese di “Svegliamoci, Italici!” (“Let’s wake up, Italics”) e la conferenza all’ONU che è stata l’oggetto proprio della mia (specie di) intervista. Da utilizzarsi come  antidoto al veleno della politica spicciola che, in tempi grandi, è veleno mortale.

Piero Bassetti ha compiuto 89 anni il 20 dicembre scorso. Un mese prima tornava da New York, dal Palazzo di vetro di Niemeyer, dall’ONU, dove era stato invitato a illustrare la sue convinzioni sull’Italia e sugli Italiani. La differenza fondamentale rispetto ai tanti, pretenziosi discorsi sugli Italiani e sull’Italia che sentirete nelle prossime patriottiche settimane elettorali, sta nel fatto che Bassetti pone le sue idee non accanto ma dentro la trasformazione globale. Ovvero, appunto dentro il mondo reale che viviamo tutti noi. Il quale non è un mondo dove l’Italia e gli italiani stanno in un cantuccio a parte, vigilato a favor nostro dai politici che ci promettono protezione e primogenitura. Bassetti ha un approccio opposto al tema Italia: tanto potentemente critico quanto potentemente ottimista, e lo ha sintetizzato con energia nel saggio “Svegliatevi, Italici!”, pubblicato in italiano e in spagnolo nel 2015 e in lingua inglese nei mesi scorsi. Quel saggio, spunto e materia del suo invito all’ ONU, ha nel sottotitolo – “Manifesto per un futuro glocal – la traccia che ci riconduce al fondamento di questo approccio, ovvero ai concetti di G-local e di Glocalismo. Sono i termini che Bassetti introdusse (letteralmente) nel vocabolario italiano alla fine degli anni 90 del secolo scorso, quando (dopo essere stato il primo presidente di Regione Lombardia, aver tentato di rivoluzionare la Democrazia Cristiana che fu e i suoi giochi di Potere, e dopo lunga esperienza fra le Camere di Commercio italiane ed estere) fondò a Milano l’associazione Globus et Locus. In un Paese un tempo geniale ma divenuto pigro, egli era stato a lungo temuto come pericoloso anticipatore. Ma quell’anticipo oggi è ancora più prezioso, visto che le sue analisi risultano sempre più cruciali e sempre più centrate man mano che le conseguenze della nostra pigrizia si fanno evidenti. Ad esempio, le sragionate dicotomie Nazionale/Globale, Patriottismo/Esterofilia, e la nuova categoria politica del Sovranismo (una acrobazia lessicale in un Paese che, unito, ha avuto sovrani per meno di cento anni) contrapposta all’ Unione Europea, trovano in Bassetti soluzioni già da anni scritte, argomentate, sensate, profonde, aggiornate e finalmente utili. Molto di ciò che attizza le infuocate, incomponibili discussioni da talk-show fra le parti politiche in corsa per il Governo del Paese gira intorno alla volontà di difesa di una Identità italiana nel campo di battaglia della Globalizzazione. Anche se recitato male, è un dibattito importante: il tema delle Identità fonda o affonda la nostra nuova Umanità. Ed è proprio qui che il pensiero Glocal è un passo avanti. La Globalizzazione, sostiene Bassetti, non viene a deprimere, a disperdere e a cancellare quel patrimonio di valori che noi riferiamo al termine Italia. Non per forza, anzi. Sta di fronte a noi la chance per un formidabile accrescimento di valore della nostra Identità. Quando e se essa venga considerata identità “Italica”, non soltanto Italiana. E quindi patrimonio comune di tutti gli “Italici”. Chi sono gli Italici? Tutti i 250 milioni di persone sparse per il mondo che della Cultura italiana sono figlie e figli.

Attenzione: può essere un legame di parentela, di famiglia, di origine – e nella maggior parte è così – ma è essenzialmente un legame culturale in senso ampio, una osmosi antropologica: usi, costumi, stili, modi di vivere, di pensare la vita, di vestirla, gustarla, abitarla, viaggiarla. Fashion, food, forniture, e se volete Ferrari sono le quattro F che servono a dare l’idea di ciò di cui parliamo. Sì anche di Brand italico. Ma non banalizzate perché l’idea banale non è per niente: la radice culturale dell’identità personale è un concetto impegnativo, fine, della nostra Contemporaneità. E’ una delle chiavi che ci aprono al mondo come è oggi, locale e globale insieme, un mondo – dice Bassetti – “a tempo e spazio zero” che solo nella Cultura ritrova quella radice territoriale e identitaria che altrimenti è persa, disintegrata, con effetti di spaesamento che generano paura e fuga nel rifugio di un illusorio passato. Per capire questa prospettiva occorre ragionare su come e su quanto è cambiato quell’oggetto del pensiero ottocentesco che chiamiamo ancora “il nostro Stato”, attribuendogli una consistenza stabile, rocciosa, ferma (si diceva all’inizio…) che invece non ha più. Perché ora, esemplifica Bassetti “lo Stato è determinato nel suo farsi politico-economico-sociale da una dimensione di scenario  molto più ampia di quella che da sé può gestire. Le sue linee di confine, ancora difese da eserciti e dogane, sono ad ogni centesimo di secondo valicate, tradite e conquistate dal World Wide Web, dalla trama della mobilità fisico-virtuale, dalla finanza e dal commercio globale: dalla nuova Cultura e, di più, dalla nuova antropologia del Terzo millennio. E’ in questo campo senza più confini che “la nostra Identità” gioca la sua partita per il diritto all’ esistenza: certo che per vincere la partita delle Identità occorre avere forti argomenti!Ma gli argomenti forti sono armati dalla Cultura, dalle Categorie dell’intelligenza, della creatività, della sostenibilità g-locale e dell’innovazione scientifica e sociale. Non più dai cannoni e dal filo spinato. L’identità nazionale non la puoi più difendere con gli eserciti e i doganieri schierati sulle linee di confine”. Qui sta l’errore di fondo del “Sovranismo”, del Nazional-Statalismo e di ogni prospettiva politica indichi a soluzione una qualunque forma di Autarchia. Ma, se si supera l’errore, la novità appare fatta di una formidabile potenzialità. E’ il futuro positivo, sottolinea Bassetti, quello costruito dalle smart minds nelle smart cities, e poi diffuso in tutto il pianeta. O così potrebbe essere: perché il futuro rimane rischioso e furbo e infìdo. Non è Alice nel paese delle meraviglie, certo. Ma è la nuova chance. Bassetti sintetizza questi pensieri complessi in una frase che ripete spesso: “Il Software vale più dell’ Hardware”. La vediamo accadere quotidianamente, pensateci, questa inversione di valore. In molti dei nuovi percorsi economico-sociali il genio, l’intelletto, la formazione, la scuola, la Cultura, possono averla vinta sul dominio proprietario di un singolo Potere e di un singolo Stato. Una buona idea, un buon prodotto e una Identità attraente hanno meccanismi di espansione impalpabili, flessibili, virali. Per un Paese che trae le sue fortune non dalla materia prima di cui dispone per Natura, ma invece dalla capacità di trasformare, valorizzare con cura, efficacia, originalità e stile ciò che serve alla vita fisica e ciò che piace alla vita meta-fisica (edonista o spirituale, vedete voi), lavorare su questo tipo di orizzonte è un’opportunità straordinaria. Che non va assolutamente persa. E così pure l’identità culturale degli “Italici” (il Software) vale di più dell’identità fisica (ed elettorale) dei cittadini Italiani, quelli che risiedono in Italia (l’Hardware). Checché ne dicano i politici professionalmente affezionati soltanto ai cittadini direttamente amministrati dallo Stato e nonostante gli interessanti ma maldestri tentativi di portare al Parlamento di Roma anche “Gli italiani nel mondo”.

Occorre allora implementare questa prospettiva a partire dal fondamento concettuale di cui argomenta Bassetti. Il quale, però, da tanto tempo ci suona la sveglia consapevole che il mondo corre anche su questi fronti e che gli “Italici” non sono affatto l’unica comunità mobile, trasversale, baciata dalla fortuna nel tempo della globalizzazione. La svolta è da capire nella sua generalità: la Globalizzazione in atto non incrocia più, o non soltanto, delle Statualità distinte e concluse ma incrocia invece delle Civilizzazioni mobili, delle identità  collettive viaggianti e migranti. Sono queste le vere Nazioni e i veri Popoli del mondo contemporaneo. Dopo di che si entra in ambito ONU e si inizia a capire il senso del viaggio che Piero Bassetti ha fatto a New York, nello scorso novembre: non si tratta infatti di cambiare soltanto la testa agli italiani, si tratta di cambiare l’Organizzazione delle Nazioni Unite. “Si tratta di rivoluzionare l’ONU da cima a fondo” mi accennava al telefono, in una conversazione amichevole e quindi con beneficio di inventario, ma è questa la sua nuova Mission. Il particolare che a crederci sia un italiano a un passo dai 90 anni è straordinario: è una scossa che ti risveglia all’idea del genio italiano come Rinascimento perenne, una qualità speciale di energia pulita di cui il pianeta Terra avrà sempre bisogno. Ma siccome il vizio della corrente claustrofobia politica sospetta di tutto ciò che supera le coordinate del luogo comune, poniamoci anche la domanda maliziosa: e se fosse solo Utopia? No. Non camminiamo sulle nuvole: il topos c’è. C’è il luogo: si chiama UNAOC: United Nations Alliance of Civilizations, l’Alleanza delle Civilizzazioni. E’ un dipartimento che l’ONU ha creato dentro di sè quando si è accorta che i soggetti che si muovono sullo scenario internazionale, producendo effetti di immensa portata, sono sempre meno “Nazioni” tradizionalmente intese (quelle coi confini difesi dagli eserciti e dalle dogane) e sempre di più degli agglomerati multipolari tenuti insieme da una comune radice culturale. Le civilizzazioni, appunto. Qualche esempio che Bassetti ha inserito in velocità nella nostra conversazione:

  • Dal tragico 11 settembre del 2001 discutiamo di Islamici fondamentalisti e di Islamici moderati, ma l’Islam non è una Nazione: è una civilizzazione, una Civiltà che si muove con dinamiche che travalicano i confini geografici segnati sulle carte geografiche (e in Medio oriente inventati a tavolino dai vincitori delle guerre mondiali). Il fatto che il terrorismo fondamentalista lo abbia capito e sfruttato prima dell’ ONU ha aperto una consapevolezza problematica profonda, grave.
  • La Spagna è una nazione in crisi di unità, gli indipendentisi catalani rivendicano una radice socio-culturale autonoma e indipendente: ma intanto 23 Paesi sparsi nel mondo sono società “di cultura ispanica”, attraversate cioè da un comune denominatore linguistico e comportamentale e in questo senso gli “Ispanici” compongono una unità organica di gigantesca forza unitaria che conquista spazi politici, commerciali, culturali.
  • Il fenomeno BREXIT è stato vissuto come reazione isolazionista della Corona inglese, e spiegato come effetto antieuropeista di un dibattito politico populista e reazionario. Ci si dimentica, così pensando, della potente alternativa del Commonwealth in cui il Regno Unito trova una Comunità trans-nazionale e trans-continentale basata su valori culturali omogenei (certo, di origine colonialista). La struttura intrinseca del Commonwealth (il “Bene comune”), se le si sconta il peccato originale, si muove su rotte che hanno più futuro che passato e tutt’altro che isolazioniste.

Ciò che ho scritto, ripeto, è il mio personale percepito dal Bassetti tornato dalla conferenza ONU, ma di questa è importante comprendere l’ambizione politica: che non è di poco conto. E’ un percorso da seguire con interesse vivo, vero nell’annata che ci aspetta dopo il 4 marzo se vogliamo salvare il nostro destino storico dalle piccole ambizioni elettorali fra le quali rischiamo di affogare in un bicchier d’acqua. Precisiamo, allora: la conferenza avveniva sotto la presidenza del diplomatico qatariano Nassir Al-Nasser che è a capo dell’ UNOAC, partecipata da alte rappresentanze della comunità Ispanica, della Giapponese e della Indiana, dai professori Saskia Sassen e Akee Bilgrami della Columbia University, da Sella Benhabib di Yale e introdotta dall’ ambasciatore Sebastiano Cardi, il nostro rappresentante permanente al Palazzo di Vetro. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella aveva inviato uno scritto di saluto: un gesto importante che di nuovo testimonia come al massimo vertice dello Stato italiano si percepisca il rilievo del pensiero “Italico” di Piero Bassetti. Che non è (mai) solo teoria: a Monza, alcuni mesi fa, ha aperto le sue attività la “Schola italica”: ideata come una alta accademia di formazione e dibattito sull’ “Italicità” e i suoi effetti. Effetti alti, ma anche molto concretamente economici: commerciali e imprenditoriali. Certo e volentieri. Ma sempre a partire da una impostazione ampia, lunga e duttile, non strumentale, non schiava dei tempi minimi di cui vive – ribadiamo la critica – la politica militarizzata delle Campagne elettorali. Pensare alle prossime generazioni e non soltanto alle prossime votazioni si può: si deve! Strano che sia un intellettuale di 89 anni a mostrarci come, ma gliene va ancora maggior merito. E se si fa forte delle sue energie migliori l’Italia ha un futuro grande, sconfinato, da costruire in un mondo amico. Italico.

 

Stefano Golfari.

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CAT: Partiti e politici

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