La sinistra dei rischi sociali e quella da trader di Renzi

30 Marzo 2015

Io insegno risk-management all’università. Agli studenti che arrivano nel mio corso dico che la finanza quantitativa di oggi non è più quella dei furbi e dei lupi, ma è quella dei saggi che sanno misurare e gestire i rischi. E da tempo, per una sorta di deformazione professionale o esagerato amore per la disciplina, ho maturato la convinzione che anche la sinistra moderna dovrebbe essere basata sul risk-management: a ciascuno un’assicurazione (collettiva) secondo i propri rischi (individuali). Da tempo avevo in mente ognuno dei punti che leggerete in questo pezzo, e li ritenevo i principi di una sinistra nuova. Ma non avevo previsto il finale, che come nelle migliori sceneggiature viene offerto da una compagnia di guitti, in una domenica di sole, nella Sala San Bernardino a Massa Marittima, alta maremma “di badilanti e minatori”.

Ricordate i rischi nel mondo prima della crisi? I rischi erano raccolti e attribuiti a classi sociali e istituzioni: il rischio imprenditoriale a chi deteneva e guidava le aziende, il rischio finanziario agli intermediari finanziari e i rischi attuariali alle assicurazioni. E alle istituzioni pubbliche si riconosceva il ruolo di garanti per rischi estremi. Il peso e lo spazio della garanzia pubblica variava molto tra continenti e paesi, e era diversa la spinta all’“azzardo morale” che ne promanava, ma per il resto la struttura dei rischi era la stessa ovunque. Grossi silos che contenevano rischi finanziari e assicurativi.

Oggi i silos sono esplosi, e i rischi si sono liberati e diffusi con un’onda d’urto, e conficcati nella vita delle persone. La data di riferimento di questa esplosione può essere fissata al 15 settembre del 2008, con la caduta di Lehman Brothers, ma questa fu solo la conclusione di anni in cui le perdite dei silos avevano reso saturo di rischi il mercato, come una miniera satura di grisù. Rischi finanziari e assicurativi si sono mischiati, e sono stati fatti uscire nelle terre dei fuochi della “finanza tossica”. La ricaduta reale di questa pioggia radioattiva è stata un aumento del rischio per ciascun individuo.

Pensate ai rischi finanziari, che un tempo richiamavano misure e concetti riservati a esperti. Allora, ad esempio, correlazione significava la tendenza delle perdite a muoversi nella stessa direzione su mercati diversi. Oggi correlazione significa che se perdi il posto di lavoro hai un’elevata probabilità di perdere anche la famiglia, e le perdite non le misuri in euro ma in dignità e stima di se stessi – in una parola, “capitale umano”.  Abbiamo già argomentato su queste colonne come il Jobs Act abbia trasferito il rischio imprenditoriale sul capitale umano dei lavoratori. Qui aggiungiamo un aspetto che dal punto di vista del risk-management è essenziale. Il rischio è diventato rischio individuale.

Pensate ai rischi attuariali. Il rischio di longevità, che con l’allungamento della vita biologica rispetto a quella attiva richiede maggiori risorse per il sostentamento e per la cura dei nostri vecchi, ricade oggi su ognuno di noi. Qualcuno ha dei genitori che negli anni 60 o 70 abbiano stipulato polizze di tipo “long-term care”, o polizze che le anticipassero? No, anche il rischio di longevità è in larga misura individuale. Calcoliamo l’aspettativa di vita dei nostri vecchi nelle nostre case e accantoniamo fondi per dare loro una vita decente e una badante. Per i rischi catastrofali e di disastri naturali chiedete ai negozianti di Genova. Con quella faccia un po’ cosi e quell’espressione un po’ così, vi ripeteranno quello che abbiamo sentito da anni urlare a ogni esondazione: “non si è visto nessuno, siamo rimasti soli”.

La solitudine di fronte al rischio. Questa è la caratteristica della società del dopocrisi. Nel dopocrisi ci aspetteremo di sentire boogie-woogie e vedere il boom dei consumi come nel dopoguerra? La solitudine di fronte al rischio ci fa prevedere di no. E il motivo è semplice. I rischi si possono coprire, assicurare o si può accantonare capitale. Le coperture le lasciamo ai rischi finanziari dei libri di testo, e abbiamo detto che i silos delle assicurazioni non funzionano più. Preferiamo assicurarci da soli, rinunciando al consumo.

Si noti che la segmentazione dei rischi a livello individuale ha un costo per la società nel suo complesso. In primo luogo, nei vecchi silos i rischi individuali venivano polverizzati grazie alla diversificazione. In secondo luogo, non tutti siamo avvezzi a calcolare i rischi, e non conosciamo e pratichiamo le tecniche degli attuari. Quindi, il capitale complessivo accantonato è maggiore di quello che sarebbe se i rischi fossero gestiti insieme. Infine, si noti che questo concetto di auto-assicurazione è diverso dalla teoria che non consumiamo perché c’è incertezza sul futuro. L’incertezza infatti riguarda scenari opachi e probabilità indefinite. Noi diciamo che se anche conoscessimo con precisione la probabilità di perdere il lavoro, per quanto bassa, e se conoscessimo anche le date della morte dei nostri vecchi o la probabilità che le nostre aziende vengano spazzate via da montagne che crollano o inondate dai fiumi, accantoneremmo riserve per assicurarci contro questi eventi. Il fatto che tutte queste probabilità e questi scenari siano incerti ha solo l’effetto di aumentare questi accantonamenti, e ridurre ancora di più i nostri consumi.

Che crescita sarà quindi, quella del dopocrisi? Mario Draghi di fronte alla Commissione Bilancio ha spiegato che la politica monetaria non basta, perché non cambia il prodotto potenziale dell’economia, e per questo ci vogliono le riforme. Ma anche le riforme non sono sufficienti, per lo meno per una politica di sinistra. La ripresa che vivremo sarà trainata dall’esterno, dalla svalutazione dell’euro, e non si tradurrà in una coerente espansione dei consumi interni: questo perché continueremo ad assicurarci. Per questo una politica di sinistra dovrebbe avere alle sue basi il principio dell’assicurazione sociale: tendere delle reti di sicurezza che assicurino i cittadini. Senza questa politica i cittadini non parteciperanno, o non come potrebbero, alla crescita: sarà quindi una crescita nella disuguaglianza.

Questa è la sinistra vista da un risk-manager. La sinistra di Renzi è diversa: più che risk-manager, Renzi è un trader o un gestore, che promette rendimenti senza avvertire dei rischi. E non vi sembra che la sinistra vista da un risk manager sia una sinistra nuova? Anche a me pareva così, fin quando una pièce teatrale in Maremma, dedicata a un grande scrittore maremmano, Luciano Bianciardi, mi ha fatto capire che è sempre stato così. L’azione teatrale rievoca l’impatto di un’esplosione di grisù vera, nella miniera di Ribolla, 43 morti nell’alta Maremma, sulla vita di un’intellettuale maremmano di sinistra, in fuga verso Milano. Luciano Bianciardi che chiama per nome le famiglie delle vittime, e che si chiede in quale cassetto sarà la loro pratica, mi mette davanti agli occhi che gli uomini erano soli davanti al rischio anche negli anni 60. E mi viene in mente la domanda scomoda se questa solitudine davanti al rischio non sia stata uno degli ingredienti della crescita del dopoguerra. E non sarà lo stesso nel dopocrisi? E penso  che in fondo anche questa solitudine è stata la conseguenza di “flessibilità”. Nel caso della miniera, una flessibilità più estrema: sulle vie di aria e le condizioni di vita in miniera. E mi viene il dubbio che questa flessibilità e questa solitudine possa essere una condizione necessaria della crescita, senza alcuna alternativa, se non quella della sinistra di Bianciardi: la rivoluzione. E mentre mi ponevo queste domande, e la mia idea di sinistra volteggiava e si scontrava con la sinistra utopistica e anarchica di Bianciardi, è successo un fatto strano. Un’attrice raccoglie un foglio appallottolato, lo svolge e declama una frase di Bianciardi che parla di università e banche, e poi viene fino in quinta fila a darlo a me, che ho lavorato solo in università e banche. È forse un messaggio di Bianciardi, nella sua terra e nel suo paese, a continuare il nostro dibattito muto sulla sinistra.

 

In copertina, “+MuRi per TuTTi”, foto tratta dal profilo Flirck di Bruno _Pek_  (Creative Commons)

TAG: Assicurazione sociale, bianciardi, Maremma, Massa Marittima, Risk Management, sinistra
CAT: Partiti e politici

6 Commenti

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  1. massimofamularo 10 anni fa

    Cherubini devo dire che mi piace molto quel che scrive e che credo di essere tra i pochi capaci di apprezzare la “poesia del risk management”
    mi piacerebbe ingaggiarla in una educata e civile discussione su alcuni punti di vista differenti dai suoi (a partire dai gelatai di Grom) cerco di trovare il tempo di argomentare in dettaglio

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    1. umberto.cherubini 10 anni fa

      Caro Massimo, con piacere (spero non ti dispiaccia il tu). Ti leggo anca’ io. E mi piace il termine ‘poesia del risk management’. In effetti in questo periodo mi so chiedendo perché questi strumenti debbano essere solo utilizzati per i mercatine non invadere la vita delle persone. Il fatto però che tu mi dica che sei uno dei pochi a la poesia del risk management mi preoccupa, e mi segnala che ho ancora tanta strada da fare in questa attività parallela di blogger

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      1. umberto.cherubini 10 anni fa

        ….e dell’utilizzo del tablet, visto gli errori di scrittura…

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        1. massimofamularo 10 anni fa

          beh la strada da fare è indubbiamente lunga e in salita.
          Magari può esser d’aiuto non farla da soli e avere un traguardo.
          Rimanendo in tema di poesia, qualche tempo fa Fabio Scacciavillani parlava di http://noisefromamerika.org/articolo/come-guardar-crescere-erba-inverno

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          1. umberto.cherubini 10 anni fa

            Letto il pezzo di Scacciavillani. Mi chiedo il legame con la nostra tenzone. Il legame che vedo è con la questione di privatizzazione di ENEL che, mi pare di capire, Scacciavillani dalla sede di Confindustria sponsorizzava. La questione quindi può essere se la gestione del rischio industriale ENEL fosse attribuito all’individuo giusto, cioè l’investitore pubblico. Se è questo il punto che volevi farmi osservare, effettivamente è una questione interessante e attuale. Proprio ieri stavo seguendo la privatizzazione di Poste Italiane, e il report della presentazione del piano da parte di Caio al MEF. Sto aspettando gli sviluppi per intervenire, ma ti anticipo che io la penso in maniera molto diversa da Scacciavillani. Fuori dalla poesia, il motivo di discordia non è politico o socialista, ma è la teoria dell’efficienza dei mercati, che avrebbe dovuto suggerire a Scacciavillani l’invarianza della proprietà pubblica o privata. Se un’impresa è quotata sul mercato, è già sottoposta al controllo dei privati, al di là della proprietà. Dal punto di vista del debito pubblico, poi, l’operazione è altrettanto invariante, perché la riduzione di debito è esattamente uguale alla riduzione del surplus primario futuro. Poi c’è un ulteriore punto, che è rilevante per il caso Poste. Se l’impresa viene privatizzata con la quotazione in borsa, l’effetto è addirittura negativo per lo stato, ed il motivo è l’IPO underpricing, su cui lavoravamo Marco Ratti ed io proprio nello stesso anno in cui Scacciavillani si occupava di ENEL.

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      2. massimofamularo 10 anni fa

        ma assolutamente onorato del tu

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