La sostituzione etnica e altre scemenze ci ricordano l’attualità del 25 Aprile

22 Aprile 2023

La settimana politica si chiude nel mezzo di un bel ponte di primavera. Alla fine della discesa ci aspetta il 25 Aprile, festa in cui celebriamo la Liberazione dal nazifascismo, base storica e ideale per la nascita della Repubblica democratica delineata dalla Costituzione, approvata nel 1948. La premessa è insieme banale e pedante, lo sappiamo: e tuttavia, incredibilmente, viviamo tempi in cui anche le banalità sembrano ignote ad alte cariche di stato e di governo. E la pedanteria, quindi, è la minore delle sanzioni sociali possibili. Sembra infatti una coincidenza, ma sicuramente non è una casualità: il dibattito pubblico, guidato da esternazioni e decisioni di esponenti di spicco della maggioranza di governo, nei giorni scorsi, sembra fatto apposta per per dimostrare l’attualità valoriale del 25 Aprile. O, per i pessimisti, il fallimento che doveva portare certi valori a radicarsi nel tempo, lungo i decenni.
Una premessa: non penso, e continuo a non pensare, che ci sia il rischio di un ritorno al regime fascista. Non penso, e continuo a non pensare, che siccome Giorgia e qualche strampalato compagno di camerata, da giovani, facevano il saluto romano in qualche borgata di periferia, allora vogliono marciare su Roma adesso che giovani non sono più. La necessità del 25 Aprile, la sua contemporaneità settantotto anni dopo, è certificata da altro. Sono le mentalità complottiste, paranoiche e razziste che animano un pezzo di paese e diverse voci rilevanti – “autorevoli” è aggettivo abusato, che bisogna ricominciare a utilizzare con parsimonia – della maggioranza di governo che meritano di essere tenute sotto osservazione. Senza paura di impossibili svolte autoritarie, ma anche senza paura di litigare pubblicamente – chessò – col presidente del Senato.

Andiamo con ordine, e mettiamo in fila qualche fatto.
La settimana che finisce è iniziata con il presidente della Repubblica Mattarella che, mentre con la mano sinistra invitava i meno convinti al dovere di sostenere la lotta Ucraina contro l’invasione russa, con la destra sottolineava la poca cooperazione europea nella gestione di sbarchi e migranti sul suolo italiano. Contestualmente invitava al superamento delle attuali norme sul diritto di asilo, “vecchie di decenni”. In maniera pacata ferma si è fatto portatore a livello europeo di un’istanza nazionale storicamente e retoricamente particolarmente cara alla destra, e lo ha fatto dalla Polonia, mentre visitava i campi di sterminio nazisti. Un’attenta grammatica istituzionale, costruita per tenere armonicamente insieme colori che di solito vengono scomposti e contrapposti, nel discorso pubblico. Così, chi ricorda con più forza identitaria l’orrore nazifascista spesso non chiede con altrettanta forza all’Europa di far la sua parte sui migranti, forse per timore di sembrare razzista. Del resto, chi passa il tempo a chiedere dov’è l’Europa mentre dall’Africa arrivano in migliaia sulle nostre coste, spesso e volentieri non ha mai pensato che il 25 Aprile è quantomeno “anche” la sua festa. Mattarella ha lavorato di cesello perchè tutto si tenesse, tenendo una lezione magistrale di sagacia politica, un corso avanzato per masteristi in Sapienza ed Equilibrio politico. Solo che, il giorno dopo, è arrivato Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura e cognato di Giorgia Meloni, a ricordare che se hai finito a fatica le elementari il Master è quantomeno un po’ prematuro.

Cos’ha detto, Lollobrigida? Ha citato la teoria della “sostituzione etnica”, ovviamente adombrando che qualcuno voglia atturala in Italia. La teoria, cara ai complottisti paranoidi di tutte le latitudini fascisteggianti, prevede che ci sia una volontà organizzata e un disegno superiore per sostituire noi umani bianchi con degli altri umani, africani o asiatici. E quindi, la denatalità europea e italiana siano scientemente incentivate per favorire appunto la sostituzione con chi di figli ne fa molti di più e non sa bene come sfamarli, a sud del Mediterraneo o a est degli Urali. Informato dello strafalcione occorsogli, il marito di Arianna e Cognato di Giorgia ha lungamente farfugliato delle mezze scuse, nelle quali ha spiegato che non sapeva chi fosse Kalergi – peraltro a torto considerato il colpevole di una teoria frutto di molte forzature postume, rispetto al suo pensiero. Ha poi declinato tutto il rosario delle cose convenzionalmente “giuste”: italiani si può anche diventare, è importante rispettare la nostra cultura (e quindi non si capisce quale sarebbe il problema se qualcuno arriva qui, invece di nascervi), ha precisato che lui apprezza molto la cucina etnica, e ha detto infine una cosa realmente vera. “C’è un tema serissimo, quello della denatalità”. Infatti: questo è un tema serissimo, che meriterebbe intelligenze operose e posture serie, quando se ne parla, soprattutto se si fa politica. Invece, parlare di “etnia” come se fosse LA questione, e farlo mentre – come sempre, quando governa la destra – si parla per lo più di immigrazione, riducendo la stessa a qualche barcone che arriva quando il mare è buono, è politicamente pericoloso e disonesto. Anche perchè poi contano, perfino più delle dichiarazioni rese in totale incoscienza, i provvedimenti proposti nelle sedi appropriate.

La settimana che ci interessa, sicuramente non per caso, prosegue infatti con annunci di leggi che sembrano molto pertinenti con il potente esordio del ministro cognato. Il primo suona così: “Niente tasse per chi fa figli”. Ovviamente, in questi termini, è solo un annuncio, e nessuno sa cosa c’è o ci sarà in una proposta di legge. L’idea è allo studio degli uffici del MEF guidato da Giancarlo Giorgetti, che oggi fa il mestiere dell’inflessibile garante dei conti pubblici, come più o meno chiunque si trovi a sedersi su quella poltrona, in un paese super-indebitato, come il nostro. È stato fatto notare che uno sgravio fiscale di massa che comprenda anche i figli già nati avrebbe dei costi insostenibili per le casse dello stato, appunto. Di contro, uno sgravio per i soli nascituri sarebbe evidentemente incostituzionale per violazione del principio di eguaglianza. Inoltre, le evidenze scientifiche consolidate, ben spiegate ad esempio da Giampaolo Galli su La Stampa, dimostrano che più dei bonus a pioggia contribuiscono a sostenere la natalità misure di welfare e un’organizzazione sociale, del lavoro, dell’istruzione e della sanità più attenta. È su questi indicatori, invero, che l’Italia segna le distanze peggiori rispetto al resto dei paesi europei, e non è un caso che le stesse distanze si misurano in termini di occupazione e reddito femminile.
La seconda operazione legislativa della settimana – questa già concretizzata, dopo lungo lavorio – è il cosiddetto DL Cutro, che prende il nome dal tragico naufragio, avvenuto a pochi metri dalla nostra costa e tuttavia costato molte decine di morti innocenti, tra cui tantissimi bambini, incoscienti pedine di progetto di sostituzione etnica. Nel decreto il piatto forte è costituito dall’abolizione della cosiddetta “protezione speciale”, una norma di chiusura che consentiva di garantire una permanenza legittima sul suolo nazionale a stranieri per i quali fosse sconsigliabile o inopportuno il decreto di espulsione. Parliamo di alcune migliaia di casi l’anno, che difficilmente sono stati il vero motore delle ondate che abbiamo visto in alcuni anni anche recenti. Ma la preda era troppo golosa, e insieme indifesa, per essere lasciata al suo posto. E così, lo scalpo della “protezione speciale” è ora nelle mani del governo: Salvini lo voleva tutto per sè, Meloni ha fatto in modo che sembrasse di tutti. Se poi sarà davvero utile a combattere l’immigrazione clandestina e a far calare le morti in mare, beh, lo vedremo, ma che non fosse questo il vero obiettivo possiamo già dirlo con buon grado di sicurezza da oggi.

A leggere dunque le pagine dei giornali di questa settimana, e queste povere righe che come ogni fine settimana provano a farne selezione e sintesi, si penserebbe che nell’Italia del 2023 non ci sono davvero altri problemi, che non siano umani di etnia e nascita diversa che vogliono venire qui. Non è proprio così. Continua, faticosamente, la partita del PNRR, che registra un nuovo e più pieno accentramento dei poteri in capo a palazzo Chigi, e attorno al quale al governo si delineano due posizioni, emerse però solo tra le righe delle cronache, e non per voce esplicita di nessuno: da un lato Fitto e Meloni, che vorrebbero provare a prendere tutti i soldi, e poi si vedrà; e dall’altro Giorgetti e i leghisti che avrebbero preferito rinunciare da subito ai soldi che non si riusciranno a spendere in modo sensato ed efficiente. Sarebbe un bel dibattito da fare in un paese ragionevole, magari in parlamento, no? Sì, e invece niente. Noi preferiamo non parlare chiaro, se non delle cose poco importanti. In questo clima, purtroppo, non sembra brillare neanche chi sta all’opposizione. I nodi della storia di ciascuno vengono sempre al pettine, quando quell’uno, quell’una, prende la responsabilità rappresentare e guidare una comunità più grande. È il caso di Elly Schlein che, tornata al centro della scena dopo essersi presa un po’ di riposo una volta terminato il tortuoso iter congressuale e la formazione della segreteria, è stata inchiodata alle contraddizioni di una leadership che ha cromosomi pacifisti ma continua a votare per finanziare una missione militare, è “personalmente favorevole alla GPA”, ma vorrebbe che se ne discutesse nel partito, e su ogni terreno deve trovare una sintesi di mediazione con il corpo storico di un partito che forse ha voglia della radicalità rappresentata da Elly, ma di certo si è costruito nella lunga abitudine alla moderazione di chi, prima dell’ultimo semestre, o stava al governo o lavorava per tornarci più o meno a qualunque costo.

Chi invece parla sempre troppo, e sempre chiaramente, è il presidente del Senato Ignazio La Russa. Proprio alla vigilia di questo fine settimana, ancora girando attorno agli unici temi che davvero lo divertono, ha spiegato che “l’antifascismo non è in Costituzione”. Potremmo facilmente arguire che, a tacere di molte altre cose, non è arrivato a leggere le disposizioni transitorie e finali, e la dodicesima, in modo particolare, che dispone l’impossibilità costituzionale di ricostituire il Partito Fascista. Parrebbe abbastanza, senza perdersi in lunghe discussioni intellettuali che mortificherebbero chi prova a sostenerle in certi contesti, con certe persone. A La Russa, tuttavia, non potranno essere sfuggiti gli articoli due e tre della Carta, che vengono molto prima che ci si possa annoiare nella lettura. I principi di inviolabilità dei diritti dell’uomo, e di uguaglianza assoluta di tutti gli umani di fronte alla legge sono costitutivamente anti-fascisti, essendo il fascismo fondato su principi contrari. È in fondo questa la ragione dell’attualità dell’antifascismo e del 25 Aprile: impone e ricorda, ogni giorno, il diritto universale e naturale all’essere uguali davanti allo Stato, al di là di ogni differenza. La Repubblica è stata fondata per questo, e non basterà un presidente del Senato inadeguato a cancellare la distinzione tra vero e falso, tra giusto e ingiusto. Lui a un certo punto andrà in pensione, e le persone di buona volontà continueranno a celebrare il 25 Aprile.

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CAT: Partiti e politici

Un commento

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  1. dino-villatico 12 mesi fa

    Puntuale, come sempre. Ma basta? Temo che il problema principale, riguardo alla Liberazione, in questo momento non siano le esternazioni più meno calcolate di membri del governo e della sua attuale maggioranza che lo sostiene, bensì di quella parte di paese che ne condivide il senso, e che non è irrilevante, da una parte, e dall’altra, la tiepidezza con cui la parte, politica e civile, antifascista del paese, a parole e con i fatti ha sostenuto la necessità di restare allerti. A questo punto una domanda che ormai è retorica: che fare?

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