Governo
Sulla Rai Renzi è fuori di testa (e B. in confronto era un pupo)
Possiamo serenamente archiviare Vincenzo De Luca, governatore campano, come un incidente della storia. Qualunque cosa dica, non vale. Anche sulla televisione. Occupiamoci invece di ciò che serio dovrebbe essere, ma che serio non riesce proprio a diventare: l’atteggiamento del Potere renziano nei confronti di mamma Rai.
Il presidente del Consiglio ha già offerto al Paese le sue linee guida, che in questo caso virano a una dittatura dolce, quella televisione in pantofole e vestaglia che racconta le notizie in stile “Domenica del Corriere” anni ’60, quando la copertina presentava sciagure e mirabilie del bene con la stessa penna sorpresa e ridondante di Walter Molino. Insomma, quel pappone per cani che i cani medesimi lasciano a metà dopo essersi avventati sulla ciotola. Non è dissimile, l’atteggiamento del premier toscano, da quelle premure rassicuranti che il povero Cavaliere voleva garantire agli italiani scagliandosi contro tutte le Piovre del pianeta che secondo lui diseducavano al punto da essere prese troppo sul serio e inserite magari nelle linee guida scolastiche. Come vedete, i due hanno una certa qual affinità e anche una certa sofferenza per il mezzo televisivo che non si adegua.
Al tempo del Cav. ci fu l’editto bulgaro a dare spettacolo, con tutti i santoriani della terra a strillare al regime, oggi, diversamente da allora, l’arroganza del nostro giovane primo ministro si spalma sui teleutenti-cittadini come Nutella su una fetta di pane, liscia, morbida, sinuosa, traditrice, irresistibile. Del resto, non fu proprio l’Agnese Landini in Renzi a portare la figliolanza allo stand Nutella di Expo, spalmando lo spalmabile per i pargoli, subito dopo l’improvvida uscita di Ségolène Royal che ammonì la Francia a evitare la nocciolosa morettiana perché conteneva olio di palma?
Furono i talk l’inizio d’ogni lagnanza, pollai senza costrutto che sapevano solo urlare senza la minima visione su un Paese che ce la stava facendo. Si pensava, noi ingenui, che fosse solo un’indicazione buttata lì, con tutto il peso che poteva avere un Matteo Renzi, e dunque meritevole d’essere audita, visto la notoria disposizione all’accoglienza da parte della nostra grande mamma Rai. Invece, da quel momento si ruppe qualcosa e si ruppe perché molti dei contendenti sul tappeto si trovavano a scadenza di mandato e dunque nella pienissima e felice condizione di mandare a quel paese persino un presidente del Consiglio. Un inedito italiano, che probabilmente non si ripeterà. Si chiamarono a rapporto in Vigilanza persino i direttori di rete e qui cominciò a distinguersi un servitorello d’ordinanza, tal Michele Anzaldi, deputato Pd e segretario della commissione di Vigilanza Rai, che cominciò a dettare le regole della buona creanza televisiva, di come ci si doveva comportare, di chi si doveva invitare. E questo tenentino di freschissima auto-nomina diventò ben presto l’Anzaldi dei Flagelli, il fustigatore dei costumi, tanto che a un amico caro delle sfere alte Rai scrissi semplicemente «Questo Anzaldi è il peggio» e con assoluta cognizione di causa, avendo visto e conosciuto tutti gli Anzaldi precedenti del Cav., nessuno dei quali si era permesso l’impudenza di mettere la mordacchia ai giornalisti in un modo così spudorato, consapevoli che nel grande gioco delle parti – il Potere e il Cane (spelacchiato) da guardia – c’è un cerimoniale da osservare, magari vetusto, magari un po’ finto, ma che rientra nella categoria «essere uomini di mondo», per cui se si vuole abbandonare consapevolemente questa condizione di rispetto reciproco, allora ci sentiremmo anche autorizzati a rispondervi con un assai poco gentile «vaffanculo».
Non pago, ripetiamo: non pago, messer Anzaldi mette nero su bianco sul Corriere della Sera ciò che sarebbe la stima minima del procedere renziano e cioè l’adeguamento pieno dei telegiornali e delle trasmissioni all’azione di governo e di questa chiarezza definitiva in fondo lo dobbiamo ringraziare perché mette finalmente fine al Grande Equivoco o alla Grande Bubbola della Rai senza i partiti o, se preferite, di quell’espressione bolsa che animò mille girotondi: «Fuori i partiti dalla Rai!». Ah ah. Usa parole nitide, se il nitore avesse mai parentela con la vergogna: «C’è un problema con Rai 3 e con il Tg 3 sì. Ed è un problema grande, ufficiale. Purtroppo non hanno seguito il percorso del Partito Democratico: non si sono accorti che è stato eletto un nuovo segretario, Matteo Renzi, il quale poi è diventato anche premier. Niente, non se ne sono proprio accorti! E così il Pd viene regolarmente maltrattato e l’attività di governo criticata come nemmeno ai tempi di Berlusconi».
Non abbiamo cuore di proseguire perché il comico fustigatore ne dice altre e tutte di spessore notevole. «Nemmeno ai tempi di Berlusconi»: è questo il metro di paragone, sempre questo, inevitabilmente questo. Lui, il Cavaliere. Che ci manca, molto. È un paragone sacrilego, metta giù le zampe dal Cavaliere, Anzaldi. E come direbbe lui: si vergogni!
Alla fine, sorge, inevitabile, una domanda: ma è più fuori di testa Renzi o la Rai?
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