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Governo

Il bonus 1.000 euro di maggio e la beffa del 33% per gli autonomi

di Fabio Cavallari
22 Giugno 2020

Si discute molto e forse da sempre dello snellimento della burocrazia. Dando credito alle parole del Presidente del Consiglio e dei singoli Ministri, questa occasione potrebbe essere davvero quella buona. Bisogna però scardinare un sistema, smontare un apparato abituato, per buona norma e giudiziosa formalità, ad analizzare con scrupolosità ogni singolo passaggio di pratiche e dettami. Sburocratizzare però non vuol dire operare con leggerezza. Il lavoro è arduo e chiunque si appresterà a mettere le mani nella “macchina” incontrerà ostacoli e trappole. Possiamo solo augurare buon lavoro a tutti coloro che si metteranno all’opera. Per dare un segno che la direzione intrapresa è davvero quella tracciata però si potrebbe da subito correggere gli intoppi che proprio alcune norme Covid stanno suscitando. Prendiamo i “paletti” stabiliti per poter ricevere il bonus da 1.000 euro previsto per maggio (lasciamo perdere che siamo un po’ il ritardo) e destinato ad autonomi e partite Iva messi in difficoltà dal lockdown. Dopo l’assegno di 600 euro previsto per marzo e aprile, il Governo ha deciso di aumentare il bonus, inserendo però requisiti più stringenti. Accorgimento più che legittimo visto che le prime erogazioni sono andate anche a professionisti che non hanno subito reali perdite durante i mesi di clausura. È stata quindi introdotta la “clausola” che stabilisce che per averne diritto al medesimo è necessario dimostrare di aver subito un calo del 33% del reddito nel secondo bimestre del 2020 rispetto al 2019. Un requisito che ad una “mentalità” statale potrebbe apparire adeguato, sacrosanto e giusto, ma solo per un soggetto abituato a ragionare da lavoratore dipendente con una busta paga a scadenza mensile. Il mercato del lavoro di autonomi e professionisti però segue regole ben differenti, oscure probabilmente ai “tecnici” a cui è stata affidata la pratica per individuare i criteri per concedere il bonus. Come ogni lavoratore autonomo sa sulla propria pelle, una fattura può essere pagata a 90 giorni. Caso tipico in cui per un lavoro fatto nei mesi di dicembre, gennaio o febbraio i soldi siano arrivati a marzo o aprile. Evento quest’ultimo che per moltissimi freelance si è rilavata una beffa incredibile. Nei mesi dei lockdowon infatti sono rimasti realmente fermi ma formalmente l’aver percepito dei pagamenti dovuti da tempo, con la regola del 33% di calo del reddito rispetto ai mesi marzo-aprile del 2019 li ha incastrati a non rientrare nei requisiti richiesti. Per questa tipologia di lavoratori poi riprendere ad operare non vuole dire incassare la busta paga, ma rimettere in moto tutta una serie di rapporti, relazioni, contatti che li condannano a rimanere per almeno un altro paio di mesi senza percepire assolutamente nulla. Fatta salva allora la buona intenzione del Governo, è del tutto evidente che coloro che hanno impostato la “pratica bonus” non abbiano nulla a che fare con la conoscenza del mondo del lavoro dei lavoratori indipendenti. Siamo certi che si tratti di un vulnus dettato dalla burocrazia e non un deficit di conoscenza dei Ministri. Perché allora, non porvi correzione visto che rientra nella volontà di tutti risolvere le “assurdità” che i “meccanismi della macchina” generano? Siamo ancora in tempo, visto che il procedimento per ottenere il bonus è stato aperto proprio oggi su sito dell’Inps. Non si potrebbe forse ragionare sul reddito complessivo dell’anno, ipotizzando una restituzione dell’assegno nel caso quello del 2020 superasse del 33% quello del 2019? Oppure ancora non si potrebbe calcolare la media degli ultimi due anni di reddito e stabilire una soglia sopra la quale non sia possibile accedere al bonus? Insomma, non si potrebbe correggere l’articolo 84 del Decreto facendo in modo che esso non si palesi come una beffa per una quantità importante di lavoratori autonomi? Non sarebbe un buon modo per dare il segno che l’operazione “sburocratizzazione” sta davvero iniziando?

burocrazia politica
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