Partiti e politici
Come previsto: niente svolta a sinistra e tutto rimandato al 2027
Alla fine è un 3 pari, come prima (tranne la Valdaosta che passa a destra). Niente spallate al governo nè conquiste regionali del centro-destra. Ciò che dovrebbe preoccupare è la crescita pazzesca e costante dell’astensionismo: una democrazia in crisi dovunque!
È finita così, come era previsto da ormai da qualche mese: 6 consultazioni regionali + 1 (quella della Val d’Aosta) che avrebbero invece dovuto rappresentare, per le formazioni dell’opposizione, un primo momento di svolta nella competizione contro le forze di governo. Un primo tentativo di mettere in discussione la supremazia di Giorgia Meloni e i suoi alleati sparsi nel territorio italiano, da nord a sud.
E invece, pare ancora valido il famoso motto di Giulio Andreotti, per cui “il potere logora chi non ce l’ha”, perché le sei regioni al voto hanno confermato, e nettamente, il risultato delle consultazioni precedenti, dando pochissime possibilità ai propri avversari di conquistarne i governi. Certamente, chi ne ha maggiormente beneficiato sono proprio i partiti di maggioranza a livello nazionale, che potevano temere il risveglio di quell’elettorato incerto ma tendenzialmente di centro-sinistra che alle ultime consultazioni nazionali si era un po’ allontanato dalla partecipazione o si era diviso in cento rivoli, percentualmente inconsistenti per poter infastidire il triumvirato Fratelli d’Italia-Lega-Forza Italia.
Nelle Marche in particolare, la prima regione a scendere in gara, venivano evocati a gran voce venti di rivincita, dopo che l’antica regione “rossa” era stata da poco espugnata, oltretutto da un esponente vicino al partito ex-missino. 2019-2020 è stato un biennio terribile per la sinistra, che prima in Umbria e poi appunto nelle Marche si era vista smantellare una tradizione che durava da decenni: due dei quattro territori regionali che erano stati il più forte baluardo in tutta la seconda repubblica di una avventura politica “diversa” dal predominio del centro-destra.
Così come quello smacco era presto rientrato in Umbria, nel 2024, la speranza era che accadesse anche nelle Marche, che avrebbe dato l’abbrivio ad un cambiamento di rotta su tutto il territorio nazionale. Ma così non è stato, come si sa, e a quel punto – dopo la successiva sconfitta in Calabria (e anche in Val d’Aosta, per inciso) – l’unica ridotta speranza era quella di mantenere almeno le regioni già governate.
Il sospiro di sollievo della Campania, l’unica regione dove avrebbe potuto accadere l’imprevisto, con un’alleanza che là veniva sperimentata per la prima volta, ha infine consegnato ai posteri un bel nulla di fatto: ognuno si tiene la sue regioni e la vera gara viene rimandata alle politiche del 2027, dopo la pausa referendaria dove molto probabilmente vinceranno i SI e le opposizioni non faranno passare questa competizione come un referendum contro Giorgia Meloni, per evitare una sconfitta non beneaugurante.
Tutto confermato anche in questa occasione elettorale, dunque, con le città un po’ più favorevoli alla sinistra e le periferie tendenzialmente più fedeli alla destra (a Padova, ad esempio, il candidato del Pd viene sconfitto soltanto di un punto, laddove il distacco a livello regionale è di quasi 35 punti).
Inoltre, l’alleanza elettorale tra Democratici e Pentastellati pare funzionare un po’ meglio che in altre aree, confermando che ciò che manca, in realtà, è “solo” (e non è poco…) una proposta politica unitaria, al di là di una semplice unione contingente per il voto.
Sottolineato che alla fine il centro-destra regge bene, con la riproposizione della rivalità Lega-Fratelli d’Italia nelle regioni nordiche, non resta che sottolineare di nuovo la grande catastrofe della disaffezione elettorale, un virus forse più terribile del Covid, che ormai ha rotto gli antichi indugi e ha contagiato ben oltre la metà della popolazione e che ogni giorno che passa preannuncia la morte della democrazia rappresentativa.
Sia a livello nazionale che in quello regionali e perfino nei comuni, dove teoricamente la popolazione dovrebbe essere più vicina ai propri eletti, vedono una situazione in cui chi governa è stato votato da poco più del 25% degli elettori, in progressiva e costante diminuzione.
Non proprio una bella notizia. Per nessuno. Né per i vincitori né per i vinti.
Università Statale di Milano
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