Partiti e politici

Hey Matteo, i guai alle primarie sono il sintomo, la malattia è un’altra

16 Giugno 2015

“Fosse per me la stagione delle primarie sarebbe finita qua”. Fosse per Matteo Renzi, sarebbe dunque conclusa la stagione segnata dallo strumento che ha permesso a Matteo Renzi di diventare Matteo Renzi. Con le primarie ha scardinato il fortino del potere ex comunista nella sua Toscana fino a diventare sindaco. Con le primarie ha bussato violentemente, per la prima volta, alle porte dei vertici nazionali del suo partito: perché nel 2012 perse contro Bersani ma dopo aver ottenuto le “primarie aperte”, proprio quel grimaldello che un anno e mezzo più tardi gli ha consentito di prendere a furor di popolo un partito sfinito da sconfitte, non vittorie ed equilibri improbabili tra un passato che non passava e un futuro che non arrivava. Forte di quel successo, ha potuto a stretto giro prendersi poi il governo del paese, e scommettere su se stesso come capo dell’esecutivo e segretario: per rilanciare l’Italia e aprire un’era di egemonia per il Partito Democratico.

Questa, in poche righe, la storia politica di Renzi Matteo. Abituati a tutto, cinici per cifra generazionale, usi a stare sereni fino alla prossima fregatura,  stamane leggendo l’intervista rilasciata da Renzi al vicedirettore de La Stampa Massimo Gramellini, nella quale Renzi apre ufficialmente la crisi delle primarie come metodo, ci siamo limitati a scomporci con un’alzata di sopracciglio. Il fatto che le primarie avessero stancato il premier delle primarie era nell’aria, da queste parti avevamo perfino scritto che la partita di Milano poteva essere l’occasione, per Renzi, per regolare diversi conti e anche – ipotizzavamo il primo maggio – per ridiscutere il metodo delle primarie. Metodo di scelta che ha ovviamente molti difetti o, quantomeno, molti aspetti problematici. Soprattutto, rappresenta una pietra tombale sostanzialmente definitiva sulla centralità dei partiti – comunità politiche fatte di interessi e sensibilità riconoscibili e tra loro esplicitamente compatibili – nella scelta delle candidature che, in epoca di fortissima personalizzazione della politica e di “elezioni dirette” più o meno istituzionalizzate ad ogni livello, finiscono con l’essere il vero programma di ogni partito o coalizione. Le primarie, come metodo, rafforzano anzi questa tendenza, perché polarizzano tutto l’interesse sul “chi”, più che non sul “perché”, “rappresentando quali interessi”, e così via.

E insomma, senza scandali che ormai i buoi sono in giro per tutta la città, e senza stracciarsi le vesti, qualche riflessione su queste primarie così precocemente pensionate pare doveroso. Anzitutto, perché Renzi sembra individuare la radice della malattia in quello che è solo un sintomo, per quanto doloroso e fastidioso. Lui se la prende coi cattivi candidati usciti sui territori dalle primarie, dice che là lui non ci ha messo becco, e quel che è venuto fuori dalle primarie è stato alla base delle sconfitte. A parte che la versione di Matteo è, diciamo così, un po’ furbetta e che, a quanto risulta, dove ha potuto la sua parola è arrivata forte e chiara (vedi Veneto, per capirci). Ma il problema è proprio un altro: lungo i territori, dove lui non ci mette becco, il suo “nuovo pd” spesso e volentieri non tocca proprio la palla, e quando la tocca fa casino più o meno come il vecchio. Non è colpa del metodo delle primarie se, in Campania, Vincenzo De Luca ha i voti e il neorenzismo di Gennaro Migliore e l’altero-renzismo dei giovani turchi che volevano Cozzolino ne hanno molti di meno. Non è colpa delle primarie se i renziani della prima ora, in Sicilia, devono parlare con i Cardinali di ogni chiesa siciliana, Non è colpa delle primarie se, a Milano, città renziana per antropologia prima che per politica, Renzi deve fare i conti con chi fa politica qui, da tempo e sul territorio ha costruito un consenso.

Insomma, come si vede, non è probabilmente una questione di metodo, ma di sostanza. Puoi anche cancellare le primarie, e pensare di decidere tutto da solo, ma resterà sempre il problema di rappresentare pezzi di società e di paese lontani dal carisma centralistico, dal controllo capillare delle prima pagine dei giornali, dal tocco magico che hai in dote quando si deve conquistare il cosiddetto voto di opinione. Puoi anche liberarti delle primarie, Matteo, ma difficilmente puoi fare del tutto a meno di un partito che – luogo di gufi, rosiconi e frenatori quale è – una qualche forma di democrazia interna nelle decisioni continuerà pure a pretenderla, maledetto lui. Puoi anche liberarti delle primarie, insomma, ma non ti libererai dell’infezione, il problema sta lì: e te lo diciamo noi che, mille anni fa, difendevamo le primarie aperte, dicevamo che i rituali del partito erano ormai rinsecchiti su se stessi e su vecchi interessi lontani dagli obiettivi di una forza progressista. Sostituire una nuova èlite partitica autoreferenziale a quella vecchia non era il nostro obiettivo. E il tuo, invece?

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