Ilaria Salis, è stata elettoa in Europa con AVS dopo essere stata accusata e detenuta in Ungheria

Partiti e politici

“L’Europa che sogno, senza Orbàn e fuori dalla NATO”: intervista a Ilaria Salis

6 Maggio 2025

Ilaria Salis (Milano, 17 giugno 1984) è un’attivista e politica italiana, eletta in Europa,  che febbraio 2023 fu arrestata in Ungheria, a Budapest, con l’accusa di aver aggredito tre militanti neonazisti; la notizia viene portata all’attenzione pubblica nel dicembre dello stesso anno, quando viene condotta con costrizioni alle caviglie e ai polsi presso il tribunale. Alle elezioni europee del 2024 in Italia, Salis viene candidata presso le circoscrizioni nord-occidentale e insulare tra le file di Alleanza Verdi e Sinistra, risultando eletta e ottenendo quindi la liberazione e l’immunità parlamentare.


La prima domanda non è rivolta alla parlamentare europea Salis ma a Ilaria, dottoressa cum laude all’Università degli Studi di Milano in Scienze storiche. Che tempo storico stiamo vivendo?

Stiamo vivendo un tempo storico abbastanza cupo. Un tempo nel quale in Europa  si parla di riarmo, si parla di campi di deportazione. Questi sono alcuni dei temi che si trattano in Parlamento, temi che dovrebbero fare scattare qualcosa nella nostra memoria storica.
Dovrebbero metterci in guardia perché appunto da lì allo scivolare in derive che sono sempre più autoritarie il passo è breve.
Stiamo vivendo una sorta di guerra non dichiarata che miete vittime nel Mediterraneo, si parla di decine di migliaia di persone che muoiono continuamente nel Mar Mediterraneo. Viviamo tempi tutt’altro che rincuoranti, tempi in cui le disuguaglianze sociali diventano sempre più profonde ed è proprio questo che lascia spazio politico e agibilità all’estrema destra.

Intravede analogie con quanto è accaduto nei primi anni del Novecento? Pensa che determinate dinamiche potrebbero ripetersi?

Diciamo che il mondo, e soprattutto il sistema economico capitalista, hanno fatto sicuramente dei cambiamenti dagli anni ’20 e dagli anni ’30 del Novecento.
A fronte di questi cambiamenti anche l’estrema destra si è adattata. In qualche modo è il prodotto della reazione alla crisi del neoliberismo, una reazione ai diversi fenomeni economici scaturiti dalla crisi del neoliberismo.
A livello di percepito popolare, in certo modo si tengono ben stretti i medesimi sentimenti di odio di un tempo, le stesse ideologie di odio e di paura. Perché, diciamocelo, poi governano cavalcando le paure delle persone, le paure sono funzionali al consolidare e aumentare il loro potere autoritario.
Adesso per darsi una ripulita si fanno chiamare sovranisti, ma dietro ci sono le stesse ideologie nazionaliste aggressive. Poi il prodotto finale che viene proposto è qualcosa di adeguato alle differenze storiche e geografiche che ovviamente esistono rispetto a un secolo fa, ma rimangono sostanzialmente ideologie neofasciste, adattate al paese in cui in cui vogliono mettere radici.
È un adattamento camaleontico che tiene conto delle differenti realtà attuali, regionali e sociali.
Oggi si parla di campi di detenzione, si parla di riarmo. Si parla di questioni che fino a qualche anno fa, fino a qualche decennio fa, non sarebbero state accettabili. Oggi ormai sono diventate normali nel mainstream. E’ tutto il baricentro dell’orizzonte politico che si sposta verso destra in questo momento storico.

Sappiamo che la sua candidatura prima e la sua successiva elezione al Parlamento europeo sono state funzionali al darle la possibilità di ottenere l’immunità parlamentare e il conseguente rilascio dalla detenzione in Ungheria.  Il 22 ottobre 2024 gli eurodeputati di Fidesz, il partito di maggioranza governativa in Ungheria, hanno annunciato a Strasburgo che il loro governo nazionale ha chiesto la revoca della sua immunità parlamentare. Il 23 gennaio 2025 è iniziato l’iter che porterà al voto decisivo. Visti gli attuali equilibri d’aula, corre il rischio di vedere revocata la sua tutela oppure si tratta di una mossa totalmente propagandistica?

Le dico la verità, l’analisi della questione è una procedura assolutamente riservata che si svolge all’interno di una commissione, la Commissione Affari Giuridici del Parlamento e il grosso del lavoro viene svolto lì. Poi ovviamente la decisione dovrà passare in ultima istanza attraverso la plenaria. Però tutto quello che avviene all’interno di questa commissione è assolutamente riservato, tanto che io stessa non ho accesso ad alcun dettaglio del procedimento in corso.
Mi sento di dire che nel mio caso siamo palesemente davanti a un utilizzo politico della giustizia, nel senso che questo procedimento giudiziario intentato dal governo di Orban ha evidentemente una finalità di ritorsione, di vendetta politica nei miei confronti, ovvero nei confronti di un’oppositrice. Questa è la modalità classica con cui Orban tratta i propri oppositori politici; cerca di metterli in galera perché in un regime gli oppositori si mettono in in galera. Il mio caso è questo, si tratta appunto di un caso di persecuzione politica.

Io auspico che i miei colleghi parlamentari tengano in considerazione questo fatto, che è assolutamente palese. Palese anche nelle proprie tempistiche.
Infatti la richiesta di revoca da parte dell’Ungheria è arrivata esattamente il giorno dopo che Orban era venuto in assemblea plenaria a Strasburgo a presentare la sintesi dei suoi sei mesi di presidenza del Consiglio europeo ed era stato duramente criticato da tantissimi deputati, tra cui anche io stessa. Questa richiesta, come i continui attacchi che ricevo da parte di esponenti governativi ungheresi, rende evidente che tutta questa mossa giudiziaria serve per contrastare e per mettere a tacere un’oppositrice politica.
Io ricevo continui attacchi da parte di esponenti governativi ungheresi che fra l’altro mi considerano già colpevole, ancora prima ancora che si sia pronunciando un tribunale. Nessuna meraviglia, noi sappiamo bene che in Ungheria ci sono dei deficit strutturali per colpa dei quali la magistratura risulta particolarmente dipendente dall’Esecutivo. Attacchi duri, attacchi che mi definiscono una terrorista e che invocano per me una pena esemplare.
Mi auguro che  il Parlamento tenga in considerazione tutti questi fattori, come il fatto che se non fossi stata eletta ora mi troverei in Ungheria sottoposta a un processo che non può essere definito equo, per tutti i motivi che abbiamo appena appena elencato. Sottoposta alle influenze di un governo che non tiene in considerazione la presunzione di innocenza e che si muove cercando di influenzare l’operato della magistratura. Sono cose gravi che in Europa non dovrebbero essere tollerate.

Larticolo 7 del trattato sullUnione europea prevede la possibilità di sospendere i diritti di adesione allUnione europea (come il diritto di voto in seno al Consiglio dellUnione europea) qualora un paese violi gravemente e persistentemente i principi su cui si fonda lUE, come definito nellarticolo 2 del trattato sullUnione europea (il rispetto della dignità umana, la libertà, la democrazia, luguaglianza, lo Stato di diritto e il rispetto dei diritti fondamentali, ivi compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze).  L’Ungheria di Orban a suo avviso andrebbe allontanata dalle istituzioni europee oppure è giusto, come sostengono diversi politici italiani, rispettarne il sistematico dissenso in forza delle elementari regole della democrazia parlamentare ?

Se non sono rispettati i principi basilari su cui l’Unione Europea si fonda, non vedo a che titolo uno Stato possa farne parte ed esercitare i diritti che derivano dallo stare nell’Unione europea.  Ad esempio, secondo me, un paese che vieta il Pride dovrebbe essere fuori dall’Unione Europea. La procedura relativa all’articolo 7 è già stata attivata anni fa contro l’Ungheria e diciamo che è in corso anche se non si è ancora arrivati a una conclusione, ma è già stata attivata perché è evidente che ci sono dei deficit sistematici all’interno dello Stato di diritto in Ungheria.  E la situazione non sembra dare segno di migliorare, anzi tende a peggiorare.

Comunque il Parlamento europeo ha fatto una risoluzione contro l’Ungheria l’anno scorso. L’unico motivo per cui restano dentro è per percepire i fondi, quindi si tratta di un approccio assolutamente utilitaristico. Diciamolo chiaramente, non condividono nessuno dei valori fondanti dell’Unione europea, per cui per me non dovrebbero assolutamente stare nell’Unione europea. Fuori l’Ungheria, almeno fino a quando rimane sotto il regime di Orban. Io lo auspico innanzitutto per il benessere del popolo ungherese e spero che riescano ad emanciparsi da questo regime e avere un governo più democratico.

La sua vicenda giudiziaria le ha consentito di raccogliere un consenso elettorale importante. Lei sa perfettamente che i voti sono stati espressi in segno di partecipazione a una battaglia politica ideale e non come adesione a un suo programma politico personale. Come intende ripagare l’elettorato nel corso di questa legislatura?

Allora, ovviamente non avevo preparato un programma perché ero in carcere quando sono stata eletta, per cui ho saltato tutta la parte della campagna elettorale. Non appena sono tornata sono stata messa in condizione di potermi esprimere e di potermi muovere. Penso che questo voto avesse lo scopo, prima di tutto, di liberarmi e questa è di per sé una vittoria, perché ha funzionato. Adesso porterò avanti le battaglie che ho sempre portato avanti, perché prima di essere arrestata sono stata per anni un’attivista. Porterò avanti le medesime battaglie semplicemente in un’altra sede istituzionale.
Mi sto occupando di carcere, mi sto occupando di immigrazione e ho in programma di occuparmi di politiche legate al tema dell’abitare.
L’attività che sto svolgendo anche sul territorio è intensa. Ho effettuato diverse ispezioni all’interno delle carceri e all’interno dei CPR e spero che le persone che mi hanno eletto possano apprezzarlo.

Torniamo per un attimo alla vicenda giudiziaria che l’ha resa suo malgrado conosciuta in tutta Europa. Nel febbraio 2023 lei è a Budapest assieme ad altri militanti contrari alla celebrazione del Giorno dell’Onore, giornata in cui neonazisti provenienti da tutta Europa celebrano i militari tedeschi e ungheresi morti nel 1945 durante l’assedio di Budapest dell’Armata Rossa.  L’11 febbraio viene arrestata dalle autorità ungheresi con l’accusa di aver causato “lesioni che potevano pregiudicare la vita” di tre militanti neonazisti magiari, aggrediti il giorno precedente, e di appartenere a un’associazione criminale tedesca nota come Hammerbande (lett. “Banda del martello”). In Italia una larga parte dell’opinione pubblica la considera innocente ma ci sono molte persone che la credono capace di atti violenti e altre che più semplicemente commentano con il classico “se fosse rimasta a casa sua anzichè andare a fare casino all’estero non avrebbe avuto problemi”. Cosa è andata a fare veramente in Ungheria e  ciò che ha fatto lo farebbe ancora?

Per raccontare una buona volta con le mie parole la mia storia ho deciso di scrivere un libro, con l’intenzione di restituire alle persone che mi hanno sostenuto quello che è il mio racconto di questa tragica vicenda.
Come diceva lei prima il contesto è stata la commemorazione della giornata dell’onore, una manifestazione vergognosa che raduna centinaia e migliaia di neonazisti provenienti da tutta Europa a Budapest.
Fortunatamente a Budapest tutti gli anni, anche quest’anno, con mia grande gioia, nonostante tutta la repressione che c’è stata, si radunano anche militanti antifascisti.  Antifascisti provenienti da tutta Europa che cercano di contrastare e alzare la voce contro questo raduno vergognoso che vede esibite impunemente svastiche e croci celtiche.

Perché gli antifascisti arrivano da tutta Europa?
L’antifascismo è qualcosa di internazionale, è qualcosa di transnazionale che non si può fermare ai confini del proprio Stato, perché le formazioni fasciste e neonaziste sono anche violente e possono veramente mettere in pericolo le persone anche in posti lontani da noi.
Io vedo il fascismo un po’ come un germe, una malattia che attecchisce. E’ possibile che si propaghi da altre parti, quindi per prevenire il propagarsi del germe è bene andare a contrastarlo dove si manifesta.

Quindi io ho pensato che fosse giusto andare lì per prendere parte a questa contromanifestazione.
E’ questo è il motivo per cui sono andata a Budapest.
D’altro canto il governo ungherese, anche se formalmente non autorizza la giornata, di fatto la tollera. E invece fa fatica a tollerare il fatto che ci siano anche delle manifestazioni antifasciste ed evidentemente utilizza due pesi e due misure. Una manifestazione di neonazisti, anche se non formalmente autorizzata, la tollerano e gli è lasciata agibilità nella città per giorni. A questi fanno fare tutto quello che gli gira di fare, cantare e di dire tutto quello che gli viene in mente. Gli antifascisti invece non sono tollerati. Io ero partita per andare a una manifestazione e sono riuscita a tornare a casa solo dopo quasi un anno e mezzo perché sono stata eletta all’Europarlamento, altrimenti probabilmente sarei ancora lì in carcere.

Senta, ma lei si sente una vipera?

No, io non mi sento una vipera. Il titolo del libro in realtà aveva altri significati. Prima di tutto “vipera” è stata la prima parola che io ho sentito dire in ungherese una volta che sono stata arrestata. Non capivo niente di quello che mi succedeva intorno, li sentivo dire Vipera e pensavo che i poliziotti si rivolgessero a me utilizzando questo termine come un insulto. Invece poi dopo ore, quando finalmente è arrivata un’interprete, ho scoperto che questo vipera in ungherese di fatto significa bastone telescopico e quindi si riferivano a quest’arma.
A questo strumento che, quando ero stata fermata e tirata giù da un taxi, avevano pensato bene di prendere e di infilarmi nel marsupio.
E quindi mi sono ritrovata appunto questa “vipera” addosso, nel senso che me l’hanno messa nel marsupio e poi mi sono ritrovata questo nome appiccicato anche nei mesi a venire. Nei primi mesi della mia carcerazione io non capivo niente di quello che dicevano le guardie, l’unica parola che capivo ogni tanto era “vipera”.

Su di lei incombe uno stigma. Ilaria Salis occupa le case altrui, non rispetta la proprietà privata, ignora il fatto che ciascuno dei propri beni, acquisiti legalmente, può fare ciò che vuole ed è pronta a piombarti in casa per occuparla gratuitamente. Era dagli anni in cui lei nasceva e io ero ventenne che non sentivo rievocare lo spauracchio dell’esproprio proletario. Credo sia il caso di esporre in modo chiaro e sintetico il suo pensiero sul tema della casa.

Mi sembra utile farlo perché quello della casa è un problema molto rilevante in Italia.
Io non trovo giusto che ci siano delle persone senza casa e delle persone che di case ne abbiano ad esempio invece dieci. Questo mi sembra profondamente ingiusto.
Mentre siamo di fronte a un menefreghismo totale delle istituzioni che non fanno nulla per risolvere questo problema, se non appunto criminalizzando la povertà come ad esempio nell’ultimo decreto sicurezza, penso che sia encomiabile il lavoro di chiunque si prodighi in qualunque modo, dal basso, attraverso collettivi o attraverso comitati di quartiere per cercare di fare qualcosa per risolvere questo problema. Anche materialmente, perché il problema reale non sono le occupazioni, di cui tanto si parla per non parlare dei veri problemi della casa.

In Italia abbiamo un paese dove non è garantito il salario minimo, dove l’edilizia popolare è pari al 3%, mentre invece ad esempio in altri paesi come l’Olanda il 30% dell’edilizia è popolare. E di fatto qui in Italia quel poco che c’è non viene utilizzato.

Diciamolo una volta per tutte, la casa che viene occupata non è quella della signora Maria che si trova poverina all’ospedale oppure che è andata in vacanza per una settimana.  Le case che vengono occupate sono appartamenti lasciati colpevolmente vuoti, abbandonati, spesso in condizioni fatiscenti dagli enti gestori che non sono in grado e non hanno la volontà di svolgere il loro lavoro. Quindi sono case già progettate per delle persone che ne hanno diritto in base a criteri di reddito, solo che non gli vengono assegnate. Di fatto sono delle case che vengono utilizzate per lo scopo per cui sono state progettate, invece che di essere lasciategli vuote a marcire lasciando le persone in strada.

In Italia sarebbe urgente fare un intervento legislativo che blocchi il prezzo degli affitti, perché un nucleo familiare dovrebbe spendere per poter vivere in maniera dignitosa circa il 20% del proprio salario. Per esempio a Milano mediamente le persone che vivono in affitto spendono il 43% di quello che guadagnano per sostenere il canone di locazione. E questo le porta poi a dovere fare tutta un’altra serie di sacrifici e a non potere avere magari una vita decorosa in altri ambiti.

I movimenti di lotta per la casa non hanno mai rubato la casa a nessuno. Le case sono fatte per essere abitate, non per produrre accumulazione e speculazione.

Ilaria e Roberto Salis

Quando nel maggio del 2024 intervistai insieme al direttore Jacopo Tondelli suo padre Roberto, che teneva pervicacemente alta l’attenzione sul suo caso giudiziario, lui mi disse: “Ilaria ha un carattere forte, io sarei crollato, lho detto subito, dopo due giorni di trattamento come quello che ha subito mia figlia io avrei confessato il delitto Kennedy”. Dove ha trovato la forza per resistere in carcere e per rigettare un patteggiamento di pena che in quei momenti poteva rivelarsi proficuo?

No, non penso che sarebbe stato proficuo patteggiare per trovare un via d’uscita alla mia vicenda giudiziaria. Come ha messo bene in luce mio padre questo trattamento carcerario è proprio finalizzato a raggiungere degli obiettivi concreti. Ti mettono in una situazione indegna, una situazione umiliante, una situazione dura per costringerti a fare quello che vogliono loro come sottoscrivere un impianto accusatorio totalmente di fantasia.

Dove ho trovato la forza? Diciamo che ho dovuto fare appello alla mia forza interiore, anche perché non ho potuto parlare con nessuno in Italia per più di sei mesi. Pensavo anche alle storie di altri compagni e compagne che erano finiti in carcere prima di me. Trovavo delle analogie su come la repressione opera, che possa essere in Italia o in Ungheria, cercando di piegarti, cercando di portarti a fare quello che vogliono loro.

Sebbene non potessi parlare con nessuno era viva in me la consapevolezza della solidarietà che c’è fuori, perché poi è la solidarietà che fa la differenza. Io non potevo parlare con nessuno ma ero perfettamente consapevole che la mia famiglia, i miei amici, i miei compagni si stavano prendendo a cuore la cosa, la stavano seguendo come potevano. Sapevo che stavano operando per me anche se non potevano relazionarsi con me.
La solidarietà contraddistingue il nostro mondo, il mondo dei compagni, un mondo dove si cerca di non lasciare nessuno indietro, soprattutto delle difficoltà.

Il vecchio motto della Val di Susa: “si parte e si torna insieme”. Ecco, questo è stato l’elemento principale che mi ha dato la forza di resistere quando ero là. Insomma, il pensiero della solidarietà.

ReArm Europe (letteralmente “Riarmare l’Europa”) è un piano di difesa militare comunitario proposto dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen il 4 marzo 2025 e volto a rafforzare le capacità militari dell’Unione europea. È stato approvato dal parlamento europeo il 12 marzo e ha l’obiettivo di investire fino a 800 miliardi di euro per rafforzare l’infrastruttura di difesa europea in risposta alle minacce geopolitiche dovute in particolare alla guerra in Ucraina e alle incertezze sul sostegno militare degli Stati Uniti d’America. Quale è stato il suo voto e quale la motivazione di questo voto?

Io quel giorno non ero in Aula. Mi trovavo altrove, a Parigi perché c’era l’udienza di Rexhino Abazaj, detto Gino, che è un antifascista che rischiava di essere estradato in Ungheria. Poi la sua estradizione è stata fortunatamente rigettata.
Se fossi stata in Aula ovviamente avrei votato contro il riarmo. Perché armarsi fino ai denti, anzi permettere ai paesi singolarmente di armarsi fino ai denti è inaccettabile a livello etico. Sono anni che ci viene detto che non ci sono soldi per la scuola, che non ci sono soldi per la sanità, che non ci sono soldi per i servizi sociali. Adesso però per il riarmo si può fare miracolosamente una deroga ai limiti che sono sanciti in Europa, sul debito pubblico.

Ma il riarmo è anche una minaccia per la sicurezza. La corsa agli armamenti genera un’escalation che va ad alimentare il rischio di guerra. Ovviamente sono assolutamente contraria all’aumento delle spese militari, se si vuole fare una deroga ai limiti stabiliti per il debito pubblico va fatta per altro, va fatta per la scuola, per la sanità. Va fatta per servizi di prossimità, va fatta per per il welfare e non certo per il riarmo.

La Lega ha dato motivazioni simili al proprio voto contrario.

No, io non la penso come la Lega, ritengo che non ci possa nemmeno essere un confronto politico con un partito razzista che alimenta politiche di odio e politiche assolutamente classiste come la Lega. Non considero proprio la Lega un interlocutore politico e quindi non considero neanche la possibilità di confrontarmi con loro e con tutti quei partiti di estrema destra.

Tornando al tema del contrasto alle guerre, spesso viene ricordata quella locuzione latina che dice “si vis pacem, para bellum”. Per contro ci sono delle posizioni, come quella sempre espressa da Papa Francesco, che non vedono nel riarmo un valido deterrente. La storia ci ha sempre dimostrato che una volta costruite, le armi alla fine vengono utilizzate.

Io credo che l’Europa debba avere finalmente il coraggio di spezzare il vincolo di vassallaggio che la lega agli Stati Uniti e di affermare la propria autonomia. Di fatto noi non siamo trattati come loro alleati ma siamo trattati come loro vassalli, per questo io credo che sarebbe opportuno sviluppare una maggiore autonomia.
Dovremmo uscire dalla NATO per avere una maggiore autonomia di scelta e di azione, per poterci proporre come degli attori indipendenti a livello globale. Questo non significa né isolarsi né appunto rischiare di finire sotto un’altra sfera di influenza, come potrebbe essere quella russa, cosa non auspicabile.
Io credo che la via da percorrere sia quella del multilateralismo, cioè del confronto e della cooperazione internazionale fra soggetti che si trattano alla pari.

Dovremmo andare oltre quelli che sono i soliti orizzonti storicamente considerati, dovremmo aprire un dialogo con chiunque condivida un minimo dei nostri valori e principi a livello globale. È necessario un disallineamento che ci porti in un’ottica orientata più verso il multilateralismo.

 

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