Partiti e politici
Le vittorie di Prodi non sono un modello riproducibile
Le due vittorie di Prodi che, come recita la litania degli ultimi trent’anni, è stato l’unico a sconfiggere il centro-destra, sono forse un po’ più frutto del caso che di una formula che possa essere applicata pedissequamente. Per le forze progressiste, meglio pensare all’oggi…
In tempo di vacche magre per la sinistra italiana, torna di moda il fattore-Prodi, l’unico leader (leggendario) che è stato in grado di vincere le elezioni contro il centro-destra e, in particolare, “il solo capace di sconfiggere Berlusconi per ben due volte”. Così è passato alla storia, come racconta buon ultimo anche Pierferdinando Casini nel suo libro recentemente pubblicato, il ricordo di quanto è avvenuto nel ventennio berlusconiano.
Che continua: “ci è riuscito per via di un suo carisma personale che gli ha permesso di intercettare e convincere una parte dell’elettorato moderato a considerarlo un’alternativa credibile”.
La leggenda rimane tale, ovviamente, perché il risultato è di fatto quello che viene citato. Nessun dubbio su questo. Ma ciò che viene sottaciuto è forse ancora più importante per comprendere fino in fondo le ragioni che hanno permesso questa duplice vittoria. Ragioni che non vanno certo a detrimento della persona di Romano Prodi, ma ci permettono di far luce sulle condizioni che hanno consentito di vincere e che, probabilmente, avrebbero funzionato anche con qualsiasi altro personaggio “credibile” al suo posto.
Detto in altre parole: l’elemento-chiave della vittoria non è stato tanto la presenza di Prodi, quanto piuttosto la particolare configurazione della competizione elettorale. È importante ribadirlo, in un momento di evidente problematicità per le opposizioni e per la sinistra in particolare, perché sottolinea la cronica difficoltà di quest’area politica di diventare maggioranza nel nostro paese.
Ma poi, furono davvero reali vittorie? Ne ha parlato qui Tondellihttps://www.glistatigenerali.com/politica/partiti-e-politici/nord-ulivo-moderati-e-altre-parole-sconosciute-nel-paese-ma-che-continuano-a-circolare-tra-politici-e-giornalisti/
Nella prima occasione, quella del 1996, il centro-destra si era presentato privo di quell’alleato che sarebbe divenuto storico nel corso degli anni, cioè la Lega (allora solo Nord) che in quella sola occasione aveva optato per la corsa solitaria, dopo gli screzi tra Bossi e Berlusconi (definito da Bossi stesso in quegli anni “il mafioso di Arcore”). Prodi – investito della leadership della coalizione progressista – si presentò a quelle elezioni come capofila di un maxi-partito in cui erano presenti i popolari, i repubblicani, Unione Democratica e perfino i sudtirolesi; il suo risultato non fu certo eclatante: ottenne infatti soltanto un misero 6% di voti, una quota piuttosto minoritaria di quel 35% dell’intera coalizione dell’Ulivo.
D’altra parte, occorre evidenziare il fatto che nel voto per i partiti, nella parte proporzionale, furono quelli di centro-destra ad ottenere il maggior consenso – senza la Lega, come ho sottolineato – battendo quelli dell’Ulivo di circa otto punti percentuali. Soltanto sommando anche Rifondazione Comunista, che si era presentata separatamente peraltro, si arrivava ad un sostanziale pareggio.
Insomma, il primo esecutivo dell’Ulivo sarebbe restato in piedi soltanto con l’appoggio esterno di Bertinotti, il quale però, dopo molte ripetute minacce quasi giornaliere, quell’appoggio lo tolse, provocando le dimissioni dello stesso Prodi, dopo solo due anni di governo.
La seconda “vittoria” di Prodi avvenne nel 2006, dopo cinque anni di governo Berlusconi che avevano provocato il costante deterioramento della fiducia in lui da parte degli italiani: a gennaio 2006 l’apprezzamento nei confronti del leader di Forza Italia era dell’ordine del 20% circa, il più basso indice di gradimento nei suoi confronti nella sua intera storia elettorale e il più basso tra tutti i Presidenti del Consiglio uscenti in tutta la Seconda Repubblica.
E fu in questa condizione, di enorme vantaggio competitivo, che Prodi si presentò all’elezione come leader dell’Unione, in cui erano confluiti praticamente tutti i partiti che non stavano con Berlusconi, dal centro fino all’estrema sinistra, da Mastella a Bertinotti, dai pensionati fino alla lista dei consumatori.
Nonostante questa lunga lista di partiti e un livello di consenso per Berlusconi ai minimi termini, al Senato la coalizione guidata da Prodi perse in valore assoluto di circa 400mila voti, mentre alla Camera riuscì a strappare la vittoria (e quindi il premio di maggioranza) con uno scarto di appena 25mila voti, pari allo 0,07% dei voti validi.
L’esecutivo successivo fu ovviamente quasi catastrofico dal punto di vista della possibilità concreta di governare il paese, considerata l’estrema varietà dei partiti presenti e la scarsa omogeneità delle proposte e delle direzioni politiche. Dopo costanti tribolazioni, distinguo e minacce di abbandono, Prodi si vide costretto a rassegnare le proprie dimissioni dopo nemmeno due anni dal suo insediamento, verso nuove elezioni politiche.
Alla luce di questa breve disamina, si comprende meno il motivo per cui Romano Prodi viene ricordato come l’unico vero antagonista del centro-destra, l’unico capace di portare l’alleanza progressista al successo elettorale. Molti commentatori hanno addirittura sottolineato come l’Ulivo prima e l’Unione poi abbiano vinto “nonostante” Prodi, e come altri candidati avrebbero potuto far sicuramente meglio di lui nella performance elettorale, portando alla coalizione un valore aggiunto sicuramente superiore.
Come dire: Prodi è riuscito a vincere di misura in due occasioni “facili” dove altri leader, come Rutelli o Veltroni, avrebbero portato ad un successo più significativo e ad un successivo governo con una maggioranza più schiacciante, con maggiori possibilità di manovra e riforme politiche meno frutto di compromessi con gli alleati.
Ma le (comunque indubitabili) vittorie di Prodi vengono utilizzate oggi con il chiaro e specifico obiettivo di dimostrare come il fronte progressista possa battere il suo avversario solo con un occhio privilegiato al riformismo liberal-democratico più centrista rappresentato dallo stesso Prodi. Forse, la cosa più corretta da fare sarebbe quella di proporre una propria linea politica, senza addentrarsi troppo in analisi o costrutti teorici che, come ho cercato di mostrare, sono in parte privi di fondamento storico.
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