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Partiti e politici

Ramelli e la riconciliazione nazionale

A cinquant’anni dalla morte di Sergio Ramelli, studente colpevole di simpatizzare per il Movimento Sociale Italiano, Giuseppe Culicchia gli dedica il libro “Uccidere un fascista”

21 Luglio 2025

Recensione a “Uccidere un fascista” di Giuseppe Culicchia, Mondadori, Milano, 2025, pp.240, 10,99 euro (ebook), euro 19,00 (cartaceo).

 

Sono passati cinquant’anni dalla morte di Sergio Ramelli, studente colpevole di simpatizzare per il Movimento Sociale Italiano e aver aderito alla sua sezione giovanile, il Fronte della Gioventù. Quell’omicidio è diventato uno degli eventi più noti degli anni di piombo, assunto come episodio simbolo dalla destra, prima fascista e poi post-fascista. Così, sul luogo della sua morte, i fascisti moderni celebrano annualmente il rito del presente.

 

L’opera di Giuseppe Culicchia

Lo scrittore Giuseppe Culicchia ricorda quell’episodio nel suo romanzo “Uccidere un fascista”, ultimo di una trilogia sugli anni di piombo. Culicchia è infatti cugino di Walter Alasia, giovane terrorista rosso ucciso dalla polizia, a cui le Brigate Rosse intitolarono la colonna milanese. Al cugino sono dedicati gli altri due libri: “Il tempo di vivere con te” e “La bambina che non doveva piangere”.

Culicchia scrive di Ramelli perché trova alcuni tratti comuni con Alasia. I due coetanei erano tifosi dell’Inter e portavano i capelli lunghi, oltre ad aver voglia di cambiare il mondo, malgrado i fronti politici opposti. Da una parte, un comunista che credeva nella lotta armata, dall’altra un fascista che frequentava le sezioni dell’MSI.

Al contrario di Alasia, non c’è prova che Ramelli fosse violento. Il suo assassinio nasce da voci nate da un tema in classe, a difesa di due militanti dell’MSI uccisi dalle BR. Quel tema fu trafugato ed esposto. Iniziò così una campagna di bullismo contro Ramelli che lo costrinse a cambiare scuola e sfociò in un’aggressione mortale. Malgrado la morte di Sergio, continuarono le intimidazioni e minacce alla famiglia Ramelli.

Anni dopo, gli assassini vennero individuati in giovani studenti di medicina, appartenenti al servizio d’ordine di Avanguardia Operaia. Gente che girava per Milano con grosse chiavi inglesi in tasca e che urlava “uccidere un fascista non è reato”. Malgrado gli slogan, non volevano uccidere Ramelli, solo dargli una lezione, tanto che furono condannati per omicidio preterintenzionale.

 

La violenza politica

Erano comunque espressione di un clima violento, tra bombe che scoppiavano e la possibilità concreta di un golpe fascista che avrebbe sovvertito la Costituzione. Giovani picchiatori fascisti e bande comuniste si azzuffavano nei centri delle grandi città. Parte della sinistra extraparlamentare giocò alla rivoluzione, altri intrapresero una campagna di antifascismo militante che comprendeva aggressioni a fascisti disarmati, come forma di difesa preventiva.

Erano scelte folli, da una parte e dall’altra. Ma possiamo dire che il Partito Comunista Italiano tenne la barra dritta. Culicchia specifica, infatti, che durante l’antifascismo militante, tanta sinistra chiedeva lo scioglimento per legge dell’MSI. Il PCI rispose che “gli elettori non si sciolgono”. Aveva ragione, come su tante altre questioni, e riuscì a separare nettamente le sue strade da quelle dei gruppi alla sua sinistra, alcuni dei quali si macchiarono di azioni violente.

L’MSI non ci riuscì. Culicchia non ne parla, ma è storicamente provato che non furono altrettanto netti i confini tra l’MSI e i gruppi alla sua destra, come Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale. Così, l’MSI si ritrovò, volente o nolente, invischiato in situazioni imbarazzanti, da bombe a trame golpiste, fino a interagire con la mafia in occasione del golpe Borghese.

 

Riconciliazione ma non parificazione

Pur rimarcando le differenze tra MSI e PCI, la sinistra ha bisogno di parlare delle tristi sorti altrui, perché è necessaria la riconciliazione nazionale. Slogan e gesti estremisti sono stati compiuti da ambo le parti, in un crescendo di violenza di cui dobbiamo parlare perché non accada di nuovo. Credo sia quindi importante rendere onore alle vittime innocenti di ogni colore.

Al tempo stesso, la necessaria riconciliazione non deve trasformarsi in parificazione. Perché da una parte c’era un ideale di per sé violento e dittatoriale, che ha commesso crimini infiniti durante la Seconda guerra mondiale e ha flirtato con le trame golpiste durante gli anni di piombo. Dall’altra, un’ideologia egalitaria e pacifista che troppo spesso è stata distorta dia suoi aderenti, i quali l’hanno utilizzata per menare le mani e creare dittature. Ma tali distorsioni non hanno interessato il suo principale punto di riferimento in Italia, ovvero il PCI.

Queste semplici considerazioni introducono il problema che fronteggiamo oggi. Dopo anni in cui fascismo e comunismo sembravano ideologie superate dalla storia, ora ritornano a causa dell’incapacità delle democrazie liberali di affrontare i fallimenti del capitalismo liberista. Questo complica la necessaria riconciliazione nazionale. Il fascismo, forte dei risultati elettorali, finisce per chiedere una parificazione impossibile. E la chiede nel modo peggiore, con i bracci tesi e il rito del presente alle commemorazioni.

Per quanto sia necessario rendere omaggio al sangue degli altri, vedo difficile intitolare vie, giardini o piazze che potrebbero diventare luoghi per un culto malato,  che si appropria delle vittime innocenti e le distorce. Per non parlare della proposta surreale di intitolare loro scuole, a cui ha già ben risposto Jacopo Tondelli.

 

Attenzione all’ipocrisia

Non condivido, invece, le parole del giornalista Gianni Barbacetto, riportate da Culicchia. Sulle colonne de “Il Fatto Quotidiano”, Barbacetto scrive che non si può intitolare niente al fascista Ramelli, perché portatore dell’ideologia fascista. Ma Ramelli aveva solo 19 anni e non aveva fatto niente di male, se non aderire ad idee completamente sbagliate. A tali giovani preferisco concedere il beneficio del dubbio.

A quell’età militavo in un partito anche troppo moderato, la Sinistra Giovanile. Ma, se fossero esistite le chat, sarebbero probabilmente usciti discorsi raccapriccianti. Quei discorsi non avrebbero avuto alcun riscontro reale e non avrebbe avuto senso pentirsene. So bene quindi che i giovani con la passione politica possono spararla grossa e aderire a ideologie sbagliate. Bisognerebbe rendersene conto per evitare di sfociare in un’ipocrisia che copre anche le vittime innocenti. Per gli stessi motivi non mi entusiasmano le inchieste di Fanpage sulla gioventù meloniana.

Per terminare il discorso sul romanzo, ammetto che alcuni passaggi molto retorici mi hanno respinto. In particolare, non ho apprezzato il continuo rivolgersi direttamente a Ramelli, così come il cedere la parola ai luoghi di Milano. Credo che un linguaggio più diretto avrebbe reso miglior servizio ai temi e alle vittime. Parlando in termini più politici, mi pare manchi una parte in cui si sottolinea come gli eredi dell’MSI abbiano sfruttato (nel peggiore dei modi) la figura di Ramelli.

 

Immagine tratta da Wikipedia e utilizzata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International.

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