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Partiti e politici

Il pallone lo porta Renzi e decide anche chi gioca (Bassolino no)

di Michele Fusco
23 Novembre 2015

Un tempo si sarebbe circoscritta la questione a un sempreverde democratico: un atto fascista. Quel tipo di atteggiamento liquidatorio delle opinioni altrui che pone fine a una questione sgradita con un tratto di penna, senza contraddittorio, decidendo, appunto, che siccome la palla la porto io (Renzi) ci faccio giocare chi mi pare. Le vicende delle primarie del Partito Democratico hanno assunto tratti ridicolo/perversi che sconfinano ormai nel patologico. L’ultima è che chi ha già fatto il sindaco in passato non può più ripresentarsi, non almeno sotto il nobile ombrello del partito, poi se lo vuol fare come privato cittadino, affaracci suoi. Chi ha pensato questa norma è un perfetto imbecille, la cosa va detta con il dovuto rispetto, perché semmai ingigantisce una questione che è tutta interna al Pd e che qualcuno invece vorrebbe mettere in carico al mesozoico di turno, in questo caso Antonio Bassolino, che ha deciso inopinatamente di candidarsi a Napoli.

Si diceva qualche articolo fa che per come è bravo il presidente del Consiglio – Renzi qualche grande merito ce l’ha – è scarsissimo il segretario del partito e non è un caso se il Corriere della Sera ci racconta che c’è tutto un mondo non esattamente ostile al premier che lavorerebbe per un ricambio al vertice. Sembra quasi che sul palazzetto del Nazareno aleggi una sorta di maledizione che porta il segretario del Pd a sbagliare anche le mosse più scontate, com’è quella di sgradire la candidatura Bassolino con l’illiberalità di un divieto – e qui soccorre l’immenso professor Scoglio – totalmente «ad minchiam». Ecco, già il verbo vietare qualcosa dovrebbe rivelarci: in genere lo si usa per le questioni giudiziarie, dove pelosi o sinceri garantismi sovrintendono alla vita e alla morte politica. Oppure lo si oppone nelle questione etiche, quando, nel prendere una decisione (apparentemente) dolorosa, si parla espressamente di “sensibilità politica”. Ma non era ancora accaduto, questo è un unicum mondiale, che si vietasse la regolare partecipazione a una competizione politica a un signore che non ha questioni giudiziarie stringenti e che, almeno in tempi recenti, non si è macchiato di comportamenti discutibili (forse al Nazareno considerano discutibile il solo fatto ch’egli, l’Antonio Bassolino, sia sceso in regolar tenzone). Dunque gli si preclude la via maestra per il solo fatto di esistere. Un record anche per una motozappa di segretario come Matteo Renzi, che sperabilmente dovrà porre rimedio a questo scempio.

Non aiutano in verità le sergentesse di complemento quando spiegano – qui è la sergentessa Serracchiani che parla – che “quando un’esperienza si è chiusa, si è chiusa per davvero. Nulla di strano: lui ha già dato». E questo lui naturalmente è Bassolino. Una Serracchiani disinvolta in versione Maionchi che oppone il suo ”per me è no” come si trattasse di un fastidioso inciampo, e non della delicatissima questione del consenso democratico. Del resto, e non si sa perché, le primarie portano con sé la perversione di comportamenti quasi mai eleganti, ponendo regole matte o del tutto discutibili, generalmente ritagliate su competitor scomodi o particolarmente rompicoglioni. Accade proprio a Renzi nel suo primo scontro con Bersani, quando lambiccandosi furiosamente le meningi il comitatone dell’allora segretario produsse quella norma deficiente che chi non s’era iscritto al primo turno non avrebbe più potuto votare al secondo (salvo impedimenti, tipo dimostrare che quel giorno tua suocera aveva cercato di chiuderti la bocca per sempre). Insomma, se le primarie portano naturalmente al ribasso dei comportamenti e a un deficit complessivo di eleganza, con Bassolino si è toccato con tutta probabilità il momento più basso. Inutile sottolineare che se il Pd dovesse perdere a Napoli e la possibilità non è affatto remota, se ne chiederà conto al segretario del momento: ma sarà ancora Renzi?

antonio bassolino Matteo Renzi
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