Partiti e politici
Renzi, i suoi 100 teatri li batterà da premier o da segretario del Pd?
Soltanto Avvenire, quotidiano dei vescovi, si è permesso l’ardire di inserire la parola “Promesse” nel suo titolo principale su Matteo Renzi. È sintomatico di un appiattimento generale che avvolge i nostri giornali più influenti e che li porta spesso a registrare senza prima valutare. La titolazione, poi, è ciò che resta più negli occhi dei lettori, è la fotografia di un fatto, di un evento. Seguono, a moltissime incollature, le parole degli editorialisti.
Seguendo in diretta streaming i plurimi interventi di Matteo Renzi, Rimini, poi Pesaro, e poi più niente, silenziato da “facinorosi” aquilani, l’impressione ch’egli facesse spudoratamente campagna elettorale travestita da informazione istituzionale – come sarebbe convenuto a un presidente del Consiglio – era piuttoso netta e la successiva lettura dei cronisti più vicini al suo mondo ha soltanto confermato quella impressione. Geremicca su «La Stampa» ha parlato di Piano B, essendo il governare fino al 2018 il Piano A, il Corriere, via Teresa Meli, era sulle stesse posizioni, dunque la prima impressione aveva le autorevoli conferme del caso. Del resto, l’espediente di utilizzare 100 teatri italiani per menarsela con le slide era sin troppo scoperto per reggere un travestimento troppo ingenuo, anche se poi tutto questo pone autorevolmente una questione di stile istituzionale.
Sarete forse sorpresi che noi si ponga una questione di stile e non di purissima sostanza, pensando ancora che le seconde seguano alle prime, nell’idea che forma è sempre materia e dunque meritevole d’essere considerata al pari dell’altra. Nel nostro caso, non essendo per nulla anime belle, avendo perso verginità politica da moltissimo tempo – e il ventennio berlusconiano citato da Renzi ci è servito da servizio militare prolungato – siamo rimasti basiti nello scambio di persona intepretato con massima disinvoltura da Matteo Renzi. La persona che ieri ha tenuto due-comizi-due, ne voleva fare tre ma non gli è stato consentito, era il presidente del Consiglio (di tutti gli italiani) e non il segretario del Partito Democratico, come sarebbe stato più corretto e dignitoso immaginare. E c’è da credere che così sarà per gli altri 99 teatri ancora in programma, felicemente sospeso in un equivoco istituzionale che furbescamente non scioglierà.
Solo che è troppo comodo. È troppo comodo prendere il meglio di due posizioni e usarle a piacimento, spingendo sostanzialmente solo su quella che gli permette udienza immediata e autorevole com’è quella di capo dell’esecutivo, anche perchè l’uso delle slide, come meccanismo, appartiene a quella forma comunicativa a-sentimentale che fa buona mostra di sè (ed è generalmente e faticosamente accettata) solo nella sala stampa di Palazzo Chigi. Appena esce da quella saletta azzurrina e si trasferisce a teatro – luogo di bellezza come lo definisce proprio Renzi – l’insulto all’arte è già compiuto e l’effetto depressivo assicurato. Si dirà: ma allora, saranno contenti i suoi detrattori, ne faccia cento, mille, di questi teatri, e così perderà consenso.
Non ci interessano gli interessi di bottega. Qui si vuole semplicemente sottolineare una questione di stile, se Matteo Renzi è in campagna elettorale lo deve fare come segretario del Partito Democratico, se batterà il foyer di centro teatri dovrà smettere il suo abitino blu d’ordinanza, non esattamente da duca di Windsor, arrotolarsi le maniche della camicia e entusiasmare il suo popolo come peraltro sa fare benissimo. Solo che non c’è più quel popolo e il suo popolo nuovo è ancora in fase di costruzione (vedi Meeting per esempio), cosicché l’equivoco delle due parti in commedia è la situazione perfetta per questa pochade che peraltro non fa assolutamente ridere.
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