La disinformazione che divora l’Europa

4 Giugno 2022

«L’informazione fa parte delle strategie geopolitiche come arma non materiale. Credo che questo oggi, in Europa, lo abbiamo capito bene. Non solo la Russia, anche Cina, Corea del Nord e una miriade di altri Stati autoritari manipolano l’informazione per controllare, condizionare e talvolta reprimere la popolazione».

Salvatore De Meo, eurodeputato di Forza Italia eletto nella circoscrizione Italia centro (Lazio, Umbria, Toscana, Marche), fa parte, tra le altre, della Commissione speciale del Parlamento europeo incaricata di indagare sulle ingerenze straniere in tutti i processi democratici dell’Unione europea, inclusa la disinformazione (ING2). La Commissione è la naturale prosecuzione dell’omologa INGE i cui lavori si sono conclusi con un dettagliato rapporto adottato dal Parlamento il 9 marzo.

Incontriamo De Meo nel suo ufficio per parlare del rapporto finale della precedente Commissione, del lavoro – tanto – che rimane da fare con la nuova e naturalmente del nuovo contesto disegnato dall’aggressione russa all’Ucraina che pare aver acceso finalmente i fari dell’opinione pubblica sul vasto sistema di influenze che diversi attori, non solo la Russia, hanno attivato per contrastare le democrazie occidentali. «Per quanto ci siano state delle accelerazioni – confida l’eurodeputato – il quadro è tutt’altro che positivo».

«È molto complicato opporvisi (alla strategia della disinformazione, ndr) anche perché la nostra consapevolezza è maturata improvvisamente. L’invasione dell’Ucraina ha reso palesi interessi e influenze della Russia in Europa, ma sono azioni in atto da almeno 15 o 20 anni. Oggi siamo alla seconda Commissione speciale del Parlamento europeo sulle ingerenze esterne, parliamo di rafforzare la cyber sicurezza, di potenziare l’informazione indipendente, dell’alfabetizzazione come strumento di difesa dei cittadini dall’inondazione di dati (e anche dalla loro raccolta, spesso a insaputa dei loro detentori), chiediamo di aumentare i poteri del SEAE, il Servizio europeo per l’azione esterna, cioè la diplomazia comune per rafforzare l’influenza dell’Europa sulla scena mondiale. Ma c’è voluto lo scoppio di una guerra ai confini dell’Unione per svegliarci dal torpore. L’Europa ha molte responsabilità: non ha rafforzato la politica estera, non ha visto in anticipo i pericoli, rimane frammentata e i processi decisionali sono inevitabilmente lenti».

De Meo ha sostanzialmente ragione, i primi documenti del Parlamento sulle ingerenze sono datati 2015 ed è già tardi, ma la questione diventa calda solo nel 2019 e l’istituzione della prima Commissione speciale è del settembre 2020. In questo anno e mezzo, la Commissione ha svolto 50 udienze e ascoltato oltre 130 esperti tracciando un quadro se non esaustivo certo ben definito della guerra ibrida adottata dalla Russia e da altre potenze per minare la credibilità delle istituzioni democratiche, dell’Unione europea, dei valori occidentali.

«Abbiamo compreso le modalità di come operano» – spiega l’eurodeputato. «Dentro i loro confini, ma forse è più corretto dire dentro il loro mondo (esteso quindi a chiunque parli la medesima lingua e abbia gli stessi riferimenti culturali) la Russia e la Cina utilizzano la doppia strategia della censura dei media e del controllo attraverso le piattaforme social. All’esterno hanno ribaltato completamente il modus di produrre e diffondere informazione. Hanno una capacità di penetrazione notevole perché sfruttano le vulnerabilità dei sistemi democratici. Uno dei leitmotiv è “useremo le vostre regole per imporre le nostre regole”. Questo rappresenta il paradosso della democrazia e delle società aperte dove uno dei cardini è proprio la libertà di espressione».

Il caso emblematico dell’Occidente che vuole imporre l’omosessualità in Georgia 

Nonostante il diffuso sostegno alla democratizzazione, i georgiani hanno ancora difficoltà ad abbracciare i valori democratici fondamentali della diversità e dell’uguaglianza. Il sostegno dei georgiani all’adesione all’Ue sfiora l’80 per cento eppure oltre un terzo della società considera ancora il processo una minaccia per le tradizioni e l’identità georgiane. “La presunta incompatibilità dei valori occidentali con le tradizioni georgiane costituisce l’affermazione centrale su cui si basano le narrazioni di disinformazione russe”: si legge nel rapporto finale della Commissione INGE. “Queste narrazioni coincidono con il punto di vista predominante della Chiesa ortodossa georgiana, una delle istituzioni più affidabili in Georgia. Nel corso degli anni, la Russia ha efficacemente sfruttato questa vulnerabilità della società georgiana utilizzando delegati locali, partiti politici, religiosi, forze anti-liberali, ultra-conservatrici, e attori civici per demonizzare l’Occidente e dimostrarlo come eticamente incompatibile con il sistema di valori georgiano. […] L’impatto della disinformazione russa va oltre l’influenza dell’opinione pubblica, sconvolge i valori democratici e propaga la violenza. Dopo che una marcia della dignità doveva aver luogo a Tbilisi il 5 luglio, i media filo-russi Alt-info, Obiettivi TV, News Front Georgia, Georgia e il Mondo hanno iniziato a diffondere narrazioni anti-occidentali compresa quella che l’Occidente vuole ‘imporre l’omosessualità in Georgia’”.

Gli effetti di queste azioni però, spiega bene De Meo, sono evidenti anche nel cuore dell’Europa. «Le nostre missioni e le nostre operazioni di politica e sicurezza comune regolarmente subiscono azioni di disinformazione il cui obiettivo è mettere a repentaglio la credibilità dell’Ue ed acuire le divisioni tra gli europei».

Gli attori della disinformazione utilizzano «un’ampia gamma di canali, inclusi siti web apparentemente indipendenti e media di facciata senza una connessione visibile con gli attori della disinformazione, coinvolgendo spesso attori locali e facilitatori per trasmettere i loro messaggi riuscendo anche a esternalizzare le loro attività di disinformazione ad altri Paesi. Inoltre, sono in grado di nascondersi dietro i domini di primo livello di un altro Paese. Anche le sfumature locali e la polarizzazione delle società sono fondamentali per comprendere l’ambiente di disinformazione locale».

«I problemi derivano dal fatto che – sottolinea l’eurodeputato – attualmente l’Ue monitora ed espone solo le campagne di disinformazione della Russia in modo sistematico, regolare e visibile, ma il fenomeno coinvolge in modo sistematico anche altri Paesi, in primo luogo la Cina e l’Iran. C’è poi una significativa disparità di risorse tra gli attori della disinformazione da un lato e gli attori della società civile che contrastano queste attività dall’altro. I sistemi di propaganda russa dispongono di circa 4 miliardi di euro, mentre gli importi investiti dall’Ue sono piuttosto ridotti». Il terzo punto riguarda l’assenza di «ricerca per misurare l’impatto delle attività di disinformazione. Ciò può rendere ancora più difficili gli sforzi della società civile per contrastare la disinformazione. Il quarto ha a che fare con il mercato dei media. Quelli indipendenti e affidabili stanno tutti, o la maggior parte di essi, dietro a un paywall quindi sono accessibili a una porzione ridotta della popolazione riconducibile essenzialmente ai benestanti e agli addetti ai lavori, cioè i 9 decimi dei già convinti, come si dice in gergo. I media “orientati” alla disinformazione sono, invece, tutti accessibili gratuitamente e godono così di un vantaggio enorme.

C’è, infine, la questione delle tecnologie che da tempo dovremmo aver compreso essere tutto tranne che neutre come evidenzia il caso della Cina descritto, in breve, nel rapporto finale della Commissione INGE.

Le tattiche impiegate dalla Cina includono: l’acquisto da parte di attori legati alla Cina di partecipazioni totali o parziali nei media apportando modifiche alla politica editoriale, il coinvolgimento delle imprese cinesi nel passaggio dalla trasmissione televisiva analogica a quella digitale soprattutto in Africa, l’espansione della portata delle società di social media (come WeChat di Tencent o TikTok sviluppato da ByteDance) accompagnato da monitoraggio dei contenuti e censura sulle applicazioni inclusa l’applicazione dell’autocensura e, in ultimo, la conquista dei mercati dei dispositivi mobili come mezzo per ottenere influenza sulla comunicazione. Sarah Cook, studiosa della disinformazione, in particolare di quella cinese, spiega che ad oggi “non sono state effettuate ricerche sistematiche o test di censura sui browser degli smartphone di fabbricazione cinese quindi è difficile sapere se e quanti ostacoli vengono posti alle ricerche online degli utenti globali”. “Tuttavia” – come sottolinea – “il ruolo crescente delle aziende cinesi nei sistemi di distribuzione dei contenuti crea opportunità per il Partito Comunista cinese di influenzare non solo le opinioni degli stranieri sulla Cina, ma anche le notizie che ricevono sui propri paesi e sui leader politici, con possibili implicazioni per il risultato delle elezioni”.

Altro punto debole è l’assenza di strumenti sanzionatori in grado di scoraggiare Mosca, Pechino o qualsiasi altro aggressore. Nessuno deve affrontare conseguenze indesiderate per le campagne di disinformazione. Ciò significa che possono facilmente adattarsi alle misure difensive dell’Ue, degli stati membri e della società civile, cosa che stanno già facendo. Ad esempio, nel 2019, dopo che l’Ue ha iniziato a mettere in evidenza le attività di disinformazione degli pseudo media ufficiali dello Stato russo e dopo che le società di social media hanno iniziato a contrastare il “comportamento non autentico coordinato”, la Russia si è concentrata sempre più sulla diffusione della disinformazione pro-Cremlino attraverso canali che apparivano autentici e locali.

«In queste condizioni» – ammette l’On. De Meo – «fatica ad affermarsi l’identità europea che non riusciamo a costruire mentre riemerge, a tratti, l’antiamericanismo forse sospinto proprio dalle attività di disinformazione».

Mentre i paesi membri sono impegnati ad aiutare direttamente l’Ucraina, il Parlamento europeo cerca di tamponare la situazione all’interno. «Posto che non possiamo adottare le stesse misure dei paesi autoritari altrimenti lo diventeremmo noi stessi, le azioni possibili sono essenzialmente due: la comprensione delle complesse strategie avversarie e lo sviluppo della consapevolezza dei cittadini. Se l’informazione può essere un’arma a doppio taglio che diventa uno strumento formidabile nelle mani degli autocrati, noi dobbiamo coltivare la capacità critica.

«Dobbiamo sforzarci di attuare campagne proattive per prevenire e neutralizzare la disinformazione in anticipo anche utilizzando meme e umorismo, strumenti che, in alcune situazioni, si sono dimostrati efficaci nel contrastare la disinformazione. Le azioni devono poi essere coordinate a livello europeo e rivolte a tutta la società».

«Servono però» – afferma De Meo – «misure a sostegno dei media indipendenti e delle iniziative della società civile contro la disinformazione all’interno dell’Ue. Ciò significa, ad esempio, fornire un maggiore sostegno finanziario a un maggior numero di attori della società civile e media che contrastano la disinformazione compresi quelli incentrati sui programmi locali di alfabetizzazione mediatica. Vanno poi puniti gli attori della disinformazione. Negli Stati Uniti ci sono inchieste e processi che si concludono con condanne e sanzioni pesanti per gli autori di ingerenze esterne. Nulla di tutto ciò avviene in Europa».

«Forse per gli europei è venuto il momento» – suggerisce l’eurodeputato – «di prendere sul serio l’idea che libertà, democrazia e indipendenza non sono diritti acquisiti e immutabili».

Foto di copertina: Centro multimedia del Parlamento europeo 

TAG: De Meo, disinformazione, guerra, ingerenze, media, russia
CAT: Politiche comunitarie

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