Dopo altri mille morti l’Europa promette di muoversi: cambierà davvero qualcosa?

20 Aprile 2015

Dopo quasi mille morti fra il naufragio di sabato notte nel Canale di Sicilia e quello avvenuto ieri al largo dell’isola di Rodi, l’Europa si sveglia di fronte al dramma ormai gigantesco della migrazione attraverso il Mediterraneo. Giovedì ne discutono i leader dei Ventotto paesi Ue in un summit straordinario, ma questo lunedì pomeriggio c’è stata a Lussemburgo la riunione tra ministri dell’Interno e degli Esteri per delineare le strategie da seguire. Le dichiarazioni ufficiali sono un po’ più incisive del solito, possono far sperare che qualcosa finalmente si muova a livello europeo. «La situazione drammatica del Mediterraneo – ha detto  il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk (polacco finora molto più preoccupato dell’Ucraina che dei flussi migratori nel sud) – riguarda non solo i paesi del Sud, ma tutti noi, tutta l’Europa. Per questo serve un’azione comune». Toni nuovi, come anche le maggiori attestazioni di solidarietà nei confronti dell’Italia arrivate non solo da Spagna e Francia, ma anche dalla Gran Bretagna e dalla Germania. «L’Italia non è sola», ha detto Steffen Seibert, il portavoce della cancelliera Angela Merkel. Alla fine della riunione anche l’Alto rappresentante per la politica estera Federica Mogherini parla di «una nuova consapevolezza europea».

Il condizionale è però d’obbligo, perché purtroppo l’Europa ci ha abituato alle solenni dichiarazioni non seguite da alcunché di concreto. A dire il vero, il comunicato diffuso al termine della riunione (vedi il comunicato) non incoraggia più di tanto: si parla di un «piano in 10 punti», che però rimastica molte “ricette” del passato. Ad esempio «l’aumento dei mezzi e dell’area operativa» di Frontex e della missione Ue nel Mediterraneo in mare di cooperazione con i paesi terzi, di un miglioramento dell’intelligence contro i trafficanti. Nella riunione il commissario Dimitris Avramopoulos ha proposto il raddoppio, ma bisognerà che l’Italia faccia una richiesta esplicita per cui nel comunicato non si fanno cifre precise. Una novità è l’idea – ma ci vorrà molto tempo per realizzarla – di una missione Ue civile-militare per intercettare e distruggere le barche dei trafficanti, sul modello della missione Atalanta contro la pirateria a largo della Somalia. E poi si parla di un timido progetto pilota per una ripartizione volontaria di appena 5mila profughi su tutto il territorio dell’Unione.

Fonti della Commissione hanno parlato di «unità storica», ma i dubbi rimangono. Il passato non è incoraggiante, perché quello cui abbiamo assistito in questi ultimi anni è una scandalosa paralisi tra veti incrociati, egoismi nazionali, miopie, e , di cui purtroppo sono, almeno in parte, vittime anche gli annegati di sabato notte. «Troppe volte abbiamo detto “mai più” – aveva detto domenica Mogherini – ora è il momento che l’Unione Europea come tale affronti questi tragedia senza indugio». Basti dire che dopo la maggiore tragedia prima di quella di due giorni fa, quella di Lampedusa dell’ottobre 2013, al Consiglio Europeo del successivo dicembre già si leggeva altisonanti parole. «Il Consiglio Europeo – si leggeva – ribadisce la sua determinazione a ridurre il rischio del ripetersi in futuro ulteriori tragedie di questo genere nel futuro». Si parlava di un «piano» della Commissione Europea allora guidata da José Manueal Barroso addirittura in 38 punti, rimasti carta straccia. I morti sono aumentati, e così si arriva al Consiglio Europeo del giugno 2014, in cui proprio le migrazioni costituiscono una parte notevole in agenda. «Affrontare le cause alla radice dei flussi migratori – si legge nelle conclusioni – è una parte essenziale della politica migratoria dell’Ue. Questo, insieme alla prevenzione e alla risposta alla migrazione irregolare aiuterà ad evitare la perdita di vite di migranti che intraprendono viaggi rischiosissimi». Intanto arriva il nuovo presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker che fa della risposta ai flussi migratori una delle 10 priorità del suo esecutivo.

Concretamente, però, si è visto pochissimo. Anche la famosa “agenda per l’immigrazione” promessa da Juncker dovrà ancora aspettare fino a metà maggio – curioso, visto che lo stesso Avramopoulos ha più volte avvertito che «l’emergenza resterà, anzi diverrà la nuova norma». Insomma, si sapeva, perché aspettare tanto? E mentre l’Italia si trovava ad affrontare numeri sempre crescenti di immigrati, l’Ue è rimasta finora come paralizzata, lasciando l’Italia (ma anche Malta e la Grecia) da sola ad affrontare la tragedia. Peggio, a fine 2014 vari stati membri (Gran Bretagna e Germania in testa) hanno imposto la fine della missione Mare Nostrum (comunque troppo onerosa per la sola Italia), con l’idea del “pull factor”, e cioè che si stimolasse il traffico di migranti «perché sapevano che tanto c’era una nave italiana pronta ad aspettarli» a largo della Libia. E i numeri sono sotto gli occhi di tutti, secondo il ministero dell’Interno i migranti sbarcati in Italia dall’inizio dell’anno ad oggi sono stati 23.556 contro i 20.800 dello stesso periodo del 2014, e parla di un trend in aumento del 30%. Mare Nostrum, insomma non era il problema.

Al suo posto, la missione Ue Triton, con un misero budget di 3 milioni di euro al mese, che comunque è sotto l’egida dell’agenzia delle Frontiere Frontex, e ha solo la missione di «aiutare gli stati membri a controllare le frontiere», insomma non di salvare i migranti i in mare. «È inammissibile che una potenza come l’Europa investa appena 3 milioni di euro al mese per affrontare questa emergenza», ha detto il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. La solenne promessa contenuta nell’ultimo comunicato rischia di essere poca cosa – anche 6 milioni al mese invece di 3 è una somma ridicola rispetto all’emergenza. E poi bisognerà vedere se davvero gli stati membri metteranno soldi e mezzi necessari.

Il problema è che i Ventotto non riescono a mettersi d’accordo su niente e nel settore immigrazione nel diritto Ue vige l’obbligo dell’unanimità. Ad esempio sull’idea di ripartire i profughi in Europa secondo delle quote. Ieri è apparso un mezzo miracolo l’accordo per il timidissimo progetto pilota e volontario di cui si diceva più in alto. Mentre la Germania è d’accordo, non ne vogliono sapere i britannici, alle prese con la montante xenofobia nel paese, né paesi che finora di profughi ne hanno accolti pochi, come la Spagna, la Polonia e la Finlandia (dove la situazione peggiorerà con l’arrivo, probabile, al governo dei “Veri Finlandesi” anti-Ue e anti-immigrati). Così pure, l’Italia, insieme alla Francia, aveva proposto di creare campi sicuri in nazioni stabili dell’Africa del Nord, dove i rifugiati in fuga dalle guerre potessero chiedere asilo a paesi europei, e poi arrivare legalmente e in modo sicuro nell’Ue – la ragione è la stessa della prima, poi si sarebbe dovuto decidere come ripartire i profughi. Per non parlare del sempre più assurdo Accordo Dublino II, che obbliga il primo Stato Ue dove abbiano messo piede i richiedenti asilo non solo all’identificazione, ma anche all’accoglienza. Vuole dire, per i migranti dal Mediterraneo, sempre gli stessi Stati: Italia, Malta, Grecia.

L’Italia paga il 90% dei salvataggi nel Mediterraneo e il 75% delle accoglienze, secondo Gentiloni. Altri paesi, come la Spagna, sono stati più fortunati: hanno stretto accordi con paesi stabili come Marocco e Senegal e le partenze verso la Spagna e le Canarie sono quasi cessate. L’altro fronte caldo rimane quello libico. Mogherini ha presentato cinque opzioni di intervento, la più verosimile è quella di una missione civile per pattugliare le frontiere libiche, e aiutare i paesi confinanti (in alcuni sono già presenti missioni Ue) a proteggere le proprie. Anche qui, però, ci vorrà tempo, il consenso non è assicurato, e soprattutto c’è una complicata precondizione: l’accordo tra le fazioni libiche. Per ora, c’è da scommetterci, i trafficanti potranno continuare i propri viaggi, e i poveracci a morire in mezzo al mare.

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CAT: Politiche comunitarie

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