Le origini familiari del carattere, nel bene e nel male

20 Giugno 2021

Recentemente, purtroppo, ho dovuto dire qualche parola al funerale di mio fratello, Giancarlo Majorino, poeta molto apprezzato e importante. Mentre chi mi aveva preceduto, poeti e letterati, hanno parlato del suo ruolo nella poesia italiana, dei suoi contenuti, della sua tecnica, io ho voluto solo ricordare come da ragazzino (lui aveva 9 anni più di me) mi accorsi che veramente lui era un poeta e che tutto questo era inserito in un ambito famigliare. E non perchè tra di noi ci fossero altri poeti (mio padre era ingegnere e mia madre scriveva, ma solo per motivi economici, romanzi e novelle rosa), ma perchè l’ideologia che ci sovrastava e soprattutto le componenti caratteriologiche nostre, erano diventate il terreno fertile per la sua scoperta della propria vocazione e del proprio talento.

Faccio questo discorso che può sembrare banalmente personalistico per affrontare una problematica che, ad onta delle resistenze sulle quali avremo modo di riflettere, sta avanzando nella impostazione psicologica dello studio dei caratteri. In altre parole: come si formano il nostro carattere, i nostri talenti e/o i nostri difetti? E visto che nasciamo da genitori, veniamo allevati da loro (o altri che hanno le stesse funzioni), cresciamo bambini, ragazzini, adolescenti (e magari qualcuno anche oltre…), che cosa di queste persone resta dentro di noi e quale effetto può svolgere nello sviluppo delle nostre capacità cognitive, nei nostri flussi emozionali e in tutto quello che ne consegue: buono e/o cattivo.

Si è molto lavorato, a livello psicologico, sulle relazioni interne alle famiglie. Anzi certi costrutti come quello psicoanalitico appaiono basati essenzialmente sul rapporto buono o cattivo che, soprattutto i genitori, hanno con i propri figli. In altri approcci si è cercato di applicare un’estensione di tali rapporti a tutti i membri famigliari, al ruolo di ognuno, all’incrociarsi delle relazioni reciproche. Ma c’è secondo me, qualcosa d’altro e in questo senso forse più che un approccio specificatamente psicologico, dobbiamo osservare la famiglia come gli antropologi culturali osservano i gruppi tribali. Cioè non ci sono solo le singole relazioni tra i propri membri ma anche un tessuto comune di apprendimento, di immersione, in una struttura normativa, inconsapevole per i singoli (Levi Strauss ne è stato uno dei geniali analizzatori). Cioè chi vive in un gruppo, assorbe caratteristiche degli altri membri del gruppo stesso e le rinvia con la propria elaborazione. E si forma una cultura comune, si forma una struttura normativa, valoriale, non solo quella esplicitata coscientemente dalle ideologie dominanti, ma che viene assorbita in un continuo mosaico costruttivo che chiamiamo carattere e diventa sotto certi aspetti un’invariante, cioè qualcosa che ci accompagnerà sempre.

Gli psicologi cognitivisti, a questo riguardo, hanno avanzato l’ipotesi che esista (se esiste) un altro inconscio, quello procedurale nel quale vengono assemblate le norme di comportamento che ci guidano, dalle più elementari a quelle più complesse, che abbiamo appreso, senza accorgercene. E poi, ovviamente esistono altre variabili in questo continuo gioco di reciprocità. Anzitutto il mistero ancora piuttosto lontano dall’essere chiarito, dell’ereditarietà genetica, neurofisiologica, che fa capo al DNA. E poi dagli altri minigruppi tribali: altre famiglie cioè, con le quali si viene a contatto, nonché le ideologie sociali dominanti in continuo flusso. Infine, ovviamente immanenti, l’impatto dei grandi processi socio-economici, in ultima analisi sempre storico-politici.

Ora abbandonare l’idea che il proprio carattere o chiamiamolo pure spirito (una volta “anima”..) non segua le vie di un’infinita libertà creativa ma venga ridotto ad un concatenarsi di determinanti strutture normative, senza l’illusione del controllo cosciente, dà molto fastidio perché si deve rinunciare a qualcosa di mitico, che richiama la seduzione del possedere un’anima senza vincoli che si staglia nell’orizzonte esistenziale di ognuno, ma che purtroppo rivela la propria inconsistenza di “paradiso perduto”.

 

TAG:
CAT: Psicologia

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