Psicofarmaci sì ma a patto che….

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6 Novembre 2014

È molto frequente leggere su giornali e riviste articoli sugli psicofarmaci in cui si mescolano accuse e difese, grida di allarme o sospiri di sollievo.

Si ha l’impressione, confermata dalle cifre del relativo business, che la società attuale stia affogando in un mare di pillole, verdi, rosa, multicolori (a questo pensano gli uffici di marketing delle aziende farmaceutiche),  pillole che dovrebbero darci la felicità.

D’altro canto, in un mondo nel quale il disagio psichico è in aumento, perchè non dovremmo desiderare delle scorciatoie che ci permettano di accelerare la facilitazione di un buon rapporto con noi stessi e con la realtà che ci sta intorno?

Proviamo allora a parlare di psicofarmaci per potercene servire quando sono utili e per starne lontano quando rischiano di diventare dannosi.

Ma cosa sono gli psicofarmaci? La risposta è semplice, quei farmaci che agiscono direttamente sul sistema nervoso centrale; a grandi linee si possono dividere in categorie secondo il tipo di azione che producono: ansiolitici, sedativi, antidepressivi, anti-epilettici, eccitanti.

Trascurando gli anti-epilettici e gli eccitanti, le altre categorie sono ad effetto sintomatico, curano cioè i sintomi della malattia (ansia, tristezza, insonnia, apatia, ecc. ), ma non curano la malattia. In definitiva sono dei cachets della psiche.

La struttura della maggior parte dei disturbi psichici è tale infatti che spesso i sintomi mascherano, non solo allo psichiatra o allo psicoterapeuta, ma soprattutto a chi ne soffre, le vere cause della malattia, ed a volte il sintomo è così intenso da non permettere di guardare ad altro che non ad esso.

Allora è utile avere a disposizione degli strumenti che ci permettano di rendere meno angosciosi certi sintomi, per darci il tempo per affrontare la malattia psichica alla sua radice. In questo senso gli psicofarmaci hanno permesso di diminuire incomparabilmente i tempi di attesa rispetto al placarsi del quadro sintomatico debilitante.

D’altro canto c’è il rischio che con la scomparsa dei sintomi il soggetto non abbia più voglia di affrontare alla radice i propri problemi e che essi, rimanendo latenti, si ripresentino a volte con sintomatologie ancora più severe.

Quanto detto porta a concludere che la posizione da adottare verso gli psicofarmaci deve essere di buon senso. Certamente sono utili per diminuire le sofferenze insopportabili, a volte sono l’unico strumento possibile, non debbono però diventare la panacea che ci fa dimenticare la natura profonda dei problemi che stiamo vivendo.

Un tentativo efficace per conoscere e tentare di risolvere conflitti profondi, è quello di combinare l’uso degli psicofarmaci ad altre metodiche tra le quali elettivamente si riconosce il lavoro psicoterapeutico.

 

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CAT: Psicologia

Un commento

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  1. Carlo Paone 9 anni fa

    Complimenti dott. Manco un’altra perla della collezione…
    Sull’argomento psicofarmaci, pensa che lo scienziato A. Zichichi ha una posizione ancor più radicale in favore della psicoterapia, in quanto elogia le nostre risorse autonome mentre critica, dati scientifici alla mano, gli psicofarmaci.
    Per parte mia sono vicino alla posizione espressa dallo psicologo junghiano Raggi, quando denuncia il “modello medicalizzato della cura” che ha come effetto l’abuso degli psicofarmaci e la perdita della reale dimensione della psicologia, cioè l’attenzione per l’anima… cioè denuncia, per riprendere le tue conclusioni, la mancanza di “buon senso” verso l’adozione degli psicofarmaci.

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