Psicopolitica: uso ideologico dell’epidemiologia clinica della violenza

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21 Marzo 2019

Vi sono due aspetti della violenza che ogni giorno ci colpiscono (ma sono stati sempre presenti nella storia umana). Uno riguarda la violenza chiamiamola soggettiva, privata, che si sviluppa tra singole persone, e l’altra quella collettiva, pubblica, politica della quale guerre, terrorismo, grandi crisi ne sono le più significative dimostrazioni. Dal punto di vista psicologico i discorsi sulla violenza, sono molto incerti. Lo stesso Freud che a torto o ragione parlava di tutto, non è mai riuscito bene ad inquadrarla:era una reazione alla frustrazione dell’eros o, invece, addirittura, qualcosa di innato, appunto un istinto, una pulsione.

Ha origine nella storia individuale di un soggetto, nella storia sociologica e storica delle collettività, in un eccesso ormonale di tipo neuro-fisiologico? Oppure addirittura mettiamoci di mezzo il Demonio o qualcosa di simile e così abbiamo risolto per sempre il problema. Qualunque sia l’origine e che può anche essere un’origine composta, multi variabile, di tutti questi fattori (magari lasciamo da parte il Demonio), chi per professione deve trattare anche questa componente psicologica, del problema delle origini non sa bene cosa farsene. E non perché non possa essere importante, ma perché ha una vaghezza che operativamente non porta molto lontano. Invece c’è un punto già più solido da analizzare e cioè la messa in atto o no di un impulso violento. È il cosiddetto aspetto dell’acting, della tendenza all’agito, al mettere in pratica. E la propensione che se pratico una volta la violenza, ho più probabilità di ripeterla, anche in altri contesti. Questo lo sa qualsiasi poliziotto e magistrato quando tengono conto dei precedenti penali di un soggetto, questo lo sa qualsiasi psichiatra o psicologo che vede un paziente che ha già aggredito gli altri oppure se stesso.

Sembra un po’ una visione lombrosiana o strettamente protestante di una predestinazione che parte dal primo fallo o peccato:poi ci sei cascato dentro e quindi dobbiamo tenerti d’occhio.
Ma il problema è un altro:la violenza non è solo quella messa in atto (e quindi portatrice di effetti a volte addirittura spaventosi) ma ha un antecedente molto solido e invasivo nei continui sciami di fantasie aggressive nelle quali si è soggetto attivo o passivo, che attraversano la testa delle persone, quotidianamente, di tutte, ribadisco di tutte le persone (anche se non ho il supporto di nessun sondaggio…). In questa serie scenica di fantasmagorie, di confabulazioni interne, di senso del trionfo oppure, depressivamente, di sconfitta, la vita delle persone, che già avrebbero molte più cose importanti delle quali occuparsi, trascorre le ore del giorno e, anche, della notte in quei deliri a occhi chiusi che chiamiamo sogni. Sul piano più strettamente sociologico, cioè politico, i meccanismi automatici o voluti del Controllo Sociale hanno sempre cercato di esorcizzare i comportamenti violenti in quanto, evidentemente dannosi per la coesività (e quindi l’efficienza) della collettività. Oltre agli oggettivi strumenti polizieschi e giuridici, si è cercato di bloccare la messa in atto di tutte quelle fantasie aggressive interne costruendo ed imponendo ideologie di vario tipo: religiose, filosofiche, meditative, etico-civili ecc..Ma… ma ci si è accorti, anche senza l’aiuto di politologi e simili, che l’utilizzazione di quelle fantasie poteva essere utile per il raggiungimento o il mantenimento del potere. Cioè non basterebbe un’ideologia edonistica (sia pure mascherata sotto il nome di “buoni o civili o patriottici sentimenti” e simili) a coinvolgere le persone, soprattutto se gli si chiede di passare all’agito, alla messa in atto. E’ necessario utilizzare anche, o meglio soprattutto, la violenza e l’aggressione .Anche perché gli antagonisti sanno a loro volta farne un buon uso.

Ora se pratico un’ideologia nella quale la componente violenta ha un suo forte peso, agisco (nel nostro linguaggio facciamo riferimento al Super-Io) come legittimatore di quella aggressività fantastica nella quale me la prendevo con la cognata o con il capoufficio. Gli chiedo solo ora di lasciare in pace ,almeno un po’, la cognata o il capoufficio, e gli porgo con varie motivazioni, sia reali che fantasticate, una bella serie di nemici pubblici da odiare con il supporto del consenso della comunità alla quale realmente o idealmente appartengo.
Ma c’è un passo in più: deve esserci anche una messa in atto di tale violenza. In genere c’è un’avanguardia che è più sensibile all’agito. E queste sono persone il cui profilo clinico-patologico pensiamo che sia evidente è cioè quello di appartenenza all’area paranoico-persecutoria. Ce ne sono a disposizione più di quanto ci appare, aldilà delle apparenze. E sono quelli ,caso mai si volessero curare, i più resistenti (perché su questa tendenza hanno costruito l’immagine di Sè e temono che la terapia li lasci senza difese).

Questa avanguardia che riunisce eroi, martiri, avventurieri, e serial o single killer, servono a concretizzare, edonisticamente, nella realtà le fantasie aggressive che le brave persone hanno l’accortezza di tenersi dentro. Ma anche di fare opera di proselitismo per riuscire ad arruolare qualche altro che nella messa in opera della propria violenza può finalmente trovare una gratificazione maggiore di quella solo fantasticata.

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CAT: Psicologia

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