Un mestiere da riscoprire contro i corrotti: la pittima

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18 Gennaio 2015

Nell’epoca d’oro della Serenissima, ma anche nell’altra egemone repubblica marinara, cioè Genova, la Superba, una bizzarra figura si ammantava di status istituzionale, al punto di godere di una diretta protezione da parte del Doge: la pittima. Era costui un signore che come mansione svolgeva quella di ricordare ai debitori insolventi il loro debito. E fin qui nulla di strano, la peculiarità della pittima era però collegata al modo in cui la propria mansione veniva svolta e cioè seguendo il debitore durante tutti i suoi spostamenti quotidiani, ricordandogli ovunque egli fosse, il debito pendente, in modo da farlo vergognare pubblicamente davanti a tutti i suoi concittadini, insomma, con terminologia attuale, una sorta di “stalking debitorio”, sicché la vittima, esasperata da questo continuo pedinamento, sfinita, finiva per pagare.

La pittima poi non passava inosservata, in quanto, oltre a godere di intoccabilità, vestiva di rosso ed in tal modo era facilmente riconoscibile. In aggiunta a ciò, se poi pensiamo che le pittime era raccattate tra gli emarginati e i disoccupati, cioè tra gente povera, possiamo immaginare che svolgessero il loro mestiere con grande solerzia, non fosse altro che per un inconscio appagamento di vendetta e riscatto verso classi sociali più elevate fotografate in un momento di estrema difficoltà.

Si consentiva in definitiva agli ultimi di apparire una volta tanto come i primi. Lo stesso che avveniva nelle corti medioevali dove il giullare era l’unico a cui era consentito sbeffeggiare il re, o in tempi più recenti come avviene durante il carnevale di Rio, quando gli abitanti delle “favellas” per qualche giorno diventano i protagonisti assoluti della vita cittadina.

Nel medioevo già esisteva, non necessariamente per i debitori, ma per i comuni delinquenti, la gogna; ma si sa, i tempi evolvono e la civiltà avanza, per cui noi al massimo ci possiamo permettere qualche gogna mediatica, invece delle pittime mi pare dobbiamo constatare la totale scomparsa a favore di forme di esazione creditorie che nelle manifestazioni più civili si appoggiano a studi legali e carte bollate ed in quelle meno civili alle fratture da percosse, procurate da qualche bellimbusto al soldo del creditore.

Allora, in momenti di crisi economica, di disoccupazione crescente in misura esponenziale, perché non riscoprire tale figura professionale. Si darebbe da lavorare ad un sacco di persone, giovani, prepensionati, esodati, baby pensionati,  ecc. ecc. Con qualche correzione naturalmente.

Per prima cosa le vittime delle pittime non dovrebbero essere i debitori, perché sennò dovremmo inseguire metà nazione, bensì i corrotti, cioè quelli che hanno rubato o fatto rubare denaro pubblico, denaro della collettività, e qui credo che si possa convenire che ne verrebbe fuori comunque  un bel numero di posti di lavoro.

Secondariamente sarebbe meglio vestire le pittime di un colore neutro, non troppo appariscente, perché se le si vestisse di rosso o di bianco o di nero ve le immaginate le strumentalizzazioni politiche.

Per ultimo come premio alla carriera ed anche come azione risarcitoria verso un faticosissimo impegno, si dovrebbe creare un reality ad hoc, tipo “L’isola delle pittime e delle loro vittime” per favorire italiche catartiche riconciliazioni. Dimenticavo, i soldi recuperati andrebbero destinati a corsi di formazione e aggiornamento per pittime in quanto di lavoro ce ne sarebbe per l’eternità. Per ultimo un motto con cui identificare le pittime battenti il patrio suolo: Finché c’è corruzione, c’è lavoro.

N.B. Per chi fosse interessato Fabrizio De Andrè ha scritto una canzone sulle pittime

 

TAG: corruzione, De André, debitori
CAT: Qualità della vita

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