La barbarie dell’Isis e l’informazione che non deve ostentare tutto

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4 Febbraio 2015

L’orrore dell’Isis non conosce fine: la brutale esecuzione di Muad al-Kassasbeh, il pilota giordano catturato in Siria dai jihadisti lo scorso dicembre, desta ancora una volta una sensazione di sgomento. Dopo le decapitazioni, infatti, gli islamisti hanno praticato anche la pena di morte che prevede di ardere vivo un uomo. A questo, peraltro, si sommano altri metodi di “giustizia sommaria”, passati un po’ sottotraccia nell’opinione pubblica occidentale, come la defenestrazione da una torre degli omosessuali o la lapidazione delle donne presunte adultere.

Il catalogo degli orrori è talmente vasto da lasciare davvero senza alcuna argomentazione: l’odio verso il nemico si pone al di fuori di qualsiasi principio contemporaneo. È pur vero che la “guerra è guerra” e non prevede salamelecchi di rispetto; ma certe barbarie, peraltro ostentate attraverso la diffusione sul web, erano quasi inimmaginabili. In fondo credevamo di averle superate.

A questo punto entra in gioco la dimensione che riguarda l’Occidente, o meglio l’informazione occidentale. Il video che mostra come è stato ucciso Moaz al-Kassasbeh, bruciato vivo in una gabbia, è stato rilanciato dal network della propaganda jihadista. E alcuni giornali, anche in Italia, hanno pensato bene di pubblicare il tutto per “dovere di informazione”. Che in fondo – temo – nasconde il desiderio di attirare qualche clic in più.

La questione è antica e complessa: cosa informa e cosa invece è superfluo? Credo che di fronte a tali orrori sia giusto fermarsi. Che i guerriglieri dell’Isis siano spietati lo abbiamo capito, non c’è bisogno di ripetere il concetto attraverso filmati o foto così crudeli (io mi sono rifiutato di vedere il video, ma possono immaginare il contenuto). Se l’obiettivo è confermare questa tesi, va bene: lo abbiamo ampiamente capito. Penso che non ci sia un cittadino che abbia dubbi sulla brutalità del sedicente Califfato.

La funzione primaria del giornalismo – almeno per quanto mi hanno insegnato – è quello di mediazione: il compito è di fungere da filtro tra gli eventi notiziabili e il lettore. Nel momento in cui si cede alla tentazione di pubblicare tutto, viene meno il senso stesso della professione proprio in una fase di cambiamento con l’invasione di filmati su YouTube e fonti social. Se salta il filtro, salta anche il principio per cui esiste il mestiere del giornalista. Addirittura lo stesso YouTube ha deciso di rimuovere il video, in quanto contrario alla propria policy. Per intenderci: un sito di condivisione ha ritenuto opportuno censurare un contenuto così violento, mentre professionisti dell’informazione hanno spiattellato le immagini violente senza alcuna remora.

Del resto, nel mare magnum del web, chi è davvero interessato a vedere come brucia vivo un uomo può trovarlo su tanti siti non ufficiali. Ma un giornale dovrebbe esimersi da questa tentazione, anche per il rispetto verso quello svalutato sentimento che è il pudore.

TAG: decapitazione, isis, siria
CAT: Questione islamica, Terrorismo

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