Le stragi in Nigeria ci riguardano da vicino, non solo per spirito di umanità

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12 Gennaio 2015

Migliaia di morti in Nigeria, un vero cimitero a cielo aperto che vede responsabile il gruppo islamista Boko Haram. Solo il massacro di Baqa, nel nord del Paese africano, potrebbe contare qualcosa come 2mila morti. Peraltro, quando si parla di stragi del genere, le cifre sono sempre abbastanza approssimative, non essendoci un riscontro effettivo sul campo da parte di osservatori indipendenti. Le vittime, perciò, potrebbero essere molte di più.

In ogni caso, si parla di morti a grappoli, una esecrabile vendemmia di vite umane, che non riesce a indignare l’Occidente, logicamente scioccato dagli attentati di Parigi. Eppure il fenomeno Boko Haram in Nigeria dovrebbe essere visto con preoccupazione non solo per un sacrosanto principio di umanità verso le vittime o per il dramma di bambine usate come kamikaze, ma anche per due ragioni politiche e culturali.

La prima è spiegata bene da Domenico Quirico in un articolo pubblicato su ‘La Stampa’. «Solo se riusciamo a leggere il nuovo islamismo nella globalità riusciremo a capire la minaccia. Il califfato è un libro di ferro, squadrato, atroce, un libro che nessuno leggerebbe volentieri, ma i cui capitoli sono collegati. Per noi invece la terribile strage di Parigi è un attacco alla civiltà universale, il massacro nigeriano un episodio di una remota guerra locale, l’assassinio di due giornalisti tunisini cronaca nera sahariana», ha scritto il cronista a lungo ostaggio in Siria.

Dunque, la Nigeria non è un capitolo a sé stante, un fenomeno distante migliaia di chilometri, come vogliamo inconsciamente convincerci. Boko Haram non è soltanto una spietata organizzazione – in grado di azioni efferate come il rapimento  di duecento ragazze per ridurle in schiavitù (nella migliore delle ipotesi) – ma è parte di un ingranaggio globale oliato dal jihad e dall’odio verso “l’infedele” (tanto per rendere l’idea, la sigla Boko Haram è traducible con “l’istruzione occidentale è un peccato”).

I marchi del terrore sono numerosi: i due più noti sono Isis (o meglio Daesh) e Al Qaeda, che presentano varie sfaccettature ideologiche, e diversità nelle strutture territoriali. Adesso all’accoppiata si aggiunge Boko Haram. Ma se “i vertici” possono essere talvolta divisi, i miliziani sono di fatto interscambiabili. Gli attentatori di Parigi si erano addestrati nei campi yemeniti, ma avrebbero potuto tranquillamente farlo in Siria o in Iraq sotto gli ordini del Califfato. Per loro non conta l’Isis, Al Qaeda o Boko Haram: l’importante è il jihad.

La seconda ragione per cui bisogna (pre)occuparsi di Boko Haram è di carattere culturale: nel nord della Nigeria si sta consumando – e non da ora – una pulizia etnica con i cristiani massacrati in numerosi attentati. L’escalation di violenza di Boko Haram è iniziata da almeno 5 anni, nell’indifferenza dell’Occidente e tra la distrazione delle élite culturali, salvo qualche raro sprazzo di attenzione. Le esplosioni nei pressi delle Chiese sembravano solo un lontano episodio di cronaca, complicati anche da comprendere e da spiegare all’opinione pubblica. 

Gli appelli del Papa sono risuonati come un’eco lontana, da ascoltare senza prestare grossa attenzione. Il problema è rintracciabile in una sorta di snobismo intellettuale: ci si mobilita, giustamente, per salvare la minoranza degli yazidi in Iraq minacciati dagli islamisti dell’Isis, ma si ignorano le stragi dei cristiani in Nigeria. Come se laicità non riguardasse anche la tutela dei cristiani quando vengono trattati da minoranza da cancellare.

TAG: al qaeda, boko haram, daesh, isis, nigeria, terrorismo, terrorismo islamico
CAT: Questione islamica, Terrorismo

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