L’intervista al leader di Al Qaeda in Siria: tra indifferenza, sorpresa e svolta
C’è una notizia che avrebbe meritato maggiore attenzione della stampa italiana. Abu Mohammed al-Golani (o anche al-Julani), leader di Jabhat al-Nusra (il braccio armato di Al Qaeda nel conflitto siriano), ha rilasciato un’intervista ad Al Jazeera, spiegando la strategia del suo gruppo. Nonostante lo scarso risalto del mondo dell’informazione nostrana, questo evento rappresenta una svolta importante per la guerra in Siria, ma soprattutto apre un nuovo scenario per quanto riguarda la minaccia terroristica in Occidente.
La mossa è oggettivamente sorprendente: al-Golani era finora uno dei tanti capi del jihadismo internazionale avvolti in una coltre di mistero. Una di quelle figure che fanno della sfuggevolezza un tratto distintivo. Invece ha accettato di parlare con un’emittente, sia pure del Qatar (Paese tutt’alto che ostile ad Al Qaeda), per lanciare un chiaro messaggio alle diplomazie internazionali: l’obiettivo è l’abbattimento del regime di Damasco e la sconfitta delle organizzazioni, come i miliziani libanesi di Hezbollah, che continuano a sostenerlo.
Ma, stando a quanto affermato, non c’è alcuna volontà dichiarata di «attaccare l’Occidente» con attentati, spiegando che le direttive arrivano da Ayman al-Zawahiri, il medico egiziano leader assoluto di Al Qaeda che ha raccolto l’eredità di Osama Bin Laden. Peraltro è stata negata l’esistenza del gruppo Khorasan, che stando alle informazioni disponibili (la cui attendibilità è sempre incerta) sarebbe un nucleo scelto di terroristi pronti a colpire capitali europee e città statunitensi. Infine, il capo di Jabhat al-Nusra ha spiegato di non essere animato da alcun desiderio di vendetta verso gli alawiti, la branca degli sciiti a cui appartiene il presidente in carica Bashar al-Assad, pur ritenendoli degli eretici.
Le dichiarazioni di al-Golani sembrano quelle di un leader moderato a capo di una fazione ragionevole. Ma la verità è tutt’altra: lui è capo di uno dei gruppi più spietati e più potenti che combattono nella guerra civile in Siria. In termini di efferatezza, al-Nusra (protagonista anche del rapimento di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo) non è molto dissimile dal gruppo Stato islamico, il famigerato Isis. Ciononostante, nell’ambito del complesso scacchiere della lotta al terrorismo internazionale, l’inattesa apertura del braccio siriano di Al Qaeda rappresenta un punto di svolta. E risveglia l’antica rivalità tra Abu Bakr al-Baghdadi e Abu Mohammed al-Golani (volendo ridurre tutto alla personalizzazione, necessaria a semplificare un contesto assai più difficile da interpretare).
Maurizio Molinari, uno dei pochi giornalisti italiani che ha dato risalto alla notizia, su “La Stampa” ha sostenuto:
Torna così la differenza strategica tra Al Qaeda e Isis che risale a quando Osama Bin Laden nel 2005 si opponeva alle stragi degli sciiti in Iraq da parte di Abu Musab al-Zarqawi, a cui al-Baghdadi si ispira.
Anche per quanto riguarda gli scenari futuri, il capo di Jabhat al-Nusra ha spiegato che dopo la sconfitta di Assad, per l’eventuale nascita di uno “Stato islamico” in Siria bisognerà sentire il parere delle varie forze in campo. Con questa presa di posizione è stato ripristinato un altro vecchio elemento di divisione tra al Qaeda e Isis: la (ri)fondazione del Califfato attraverso una consultazione e non con l’autoproclamazione come ha praticato al-Baghdadi.
Certo al-Golani non può assurgere a interlocutore privilegiato per quello che rappresenta: era e resta un pericoloso terrorista, legato a un’organizzazione come Al Qaeda responsabile di recente della strage di Charlie Hebdo (attraverso la cellula Aqap, capeggiata dall’emiro Abu Basir al-Wuhayshi). Ma nel magmatico conflitti siriano, dove la realpolitk impone prima di tutto la cessazione dei massacri, può essere una sponda per arrestare l’ascesa Isis e cercare di coinvolgere Turchia e Qatar in un processo di pacificazione. La priorità è infatti la fine della tragedia in Siria.
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