Se non c’è consenso, è stupro. Amnesty International ha lanciato oggi una campagna perché il governo italiano modifichi l’articolo del codice penale sulla violenza sessuale applicando la Convenzione di Istanbul, che l’Italia ha già sottoscritto nel 2012, e poi ratificato con un voto del Parlamento nel 2013. Quel testo indica esplicitamente che un atto sessuale compiuti su una persona senza il suo consenso rappresentano violenza, e che il consenso deve essere manifestato chiaramente.
“Se si volesse, si potrebbe già fondare ora i processi per stupro sul principio del consenso. La convenzione di Istanbul è stata ratificata, non avremmo bisogno neanche di norme applicative per procedere. Ma in concreto non sempre è possibile, è un problema essenzialmente culturale”, ha detto la giudice e scrittrice Paola De Nicola, che sostiene la campagna #Iolochiedo dell’Ong, presentata oggi alla stampa alla Casa del Cinema di Roma. “Il processo oggi purtroppo è un luogo di rivittimizzazione”, ha aggiunto la magistrata, ricordando il percorso umiliante di domande a cui le donne violentate vegono sottoposte in aula.
“Il principio del consenso deve valere ogni giorno nei rapporti con le persone, ma deve entrare anche nelle aule dei tribunali”, ha spiegato Tina Marinari, coordinatrice delle campagne di Amnesty in Italia. “Viviamo in una società in cui non tutte le donne riconoscono i propri diritti”.
Almeno nove paesi paesi europei hanno già modificato le proprie leggi per tenere conto del concetto di consenso: Belgio, Cipro, Germania, Grecia, Irlanda, Islanda, Lussemburgo, Regno Unito e Svezia. E già una sentenza della Corte Europea dei diritti umani, nel 2003, aveva chiesto esplicitamente ai paesi membri di fondare la propria normativa sul consenso esplicito.
Per Teresa Manente, responsabile dell’ufficio legale di DifferenzaDonna, da quasi trent’anni impegnata nei tribunali a difendere vittime di stupri, il problema principale è che si parte sempre da un “consenso presunto” da parte della donna. Mentre la Convenzione di Istanbul ribalta questo assunto.
A leggere i risultati di una rilevazione Istat del 2019, in effetti, in Italia i pregiudizi verso le donne vittime di violenza sembrano resistere: il 23% delle persone intervistate attribuisce la violenza al modo di vestire “provocante” di certe donne, il 15% al consumo di alcol o di droghe. E quasi il 40% pensa che una donna sia sempre in grado di sottrarsi a un rapporto sessuale non voluto.
Prestare il proprio “consenso”, in un rapporto sessuale, non significa ovviamente far firmare a qualcuno una dichiarazione, non è un atto burocratico. “Si tratta di comunicare e di assicurarsi che tutte le attività sessuali avvengano di comune accordo. È fondamentale lottare contro l’imbarazzo di parlare del consenso””, dice Amnesty in un opuscolo per la campagna, rivolta principalmente, ma non solo, ai giovani, che cita anche qualche esempio di conversazione, in quella che in fondo è una parte importante dell’educazione sessuale. “Il consenso è dato liberamente, informato, specifico, reversibile, entusiasta”.
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