Articolo 19 in lockdown, la CEI si sveglia dal letargo dopo il 25 aprile

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28 Aprile 2020

L’emergenza che stiamo vivendo impone a tutti di essere comprensivi e responsabili, ed è proprio per questo motivo che siamo rimasti in casa e non siamo andati nelle piazze. Difficile però comprendere e tollerare le risposte asimmetriche dello Stato alle violazioni dei decreti.

 

Durante questa logorante quarantena, la stragrande maggioranza dei cittadini italiani si è comportata in maniera responsabile, rispettando rigorosamente le regole imposte dal governo – con modalità e strumenti a dir poco discutibili – e le numerose raccomandazioni di scienziati ed esperti.

Il 4 maggio non potrà certamente ritornare tutto come prima: la pandemia non termina per decreto ministeriale e, in più, il Paese dovrà fare i conti con i lutti e con una terribile recessione. Ciò premesso, è ridicolo – per non dire preoccupante – continuare a leggere la parola “concessioni” utilizzata in relazione a diritti costituzionalmente garantiti! Il Parlamento deve ritornare ad avere un ruolo centrale, perché il clima d’emergenza non può durare per sempre.

Negli ultimi due mesi, abbiamo visto cose impensabili:

forze dell’ordine che perquisiscono (rectius: rovistano) le borse della spesa di un anziano per capire quali beni alimentari siano di prima necessità e quali no;

elicotteri e droni dispiegati per inseguire cittadini che, in solitaria, passeggiavano in riva al mare o correvano per la campagne;

genitori multati perché accompagnavano la loro bambina di dieci anni alla visita di controllo per un trapianto di midollo a causa di una leucemia;

agricoltore multato perché si è recato ad azionare l’impianto di irrigazione del proprio campo;

sacerdoti multati per aver “portato a spasso per il paese l’amore sacro” che ora è divenuto improvvisamente “profano” – per raccontarla utilizzando, stravolte, le parole del celebre cantautore genovese;

messe interrotte o comunque turbate dalle forze dell’ordine – persino durante la consacrazione eucaristica – in violazione dell’art.405 del codice penale (Turbamento di funzioni religiose del culto di una confessione religiosa), nonché in spregio all’art. 19 della Costituzione “più bella del Mondo”, come la definì qualcuno.

Tutto questo con il consenso di molti media e giornalai – poiché l’unico intento è quello di vendere anziché fare informazione – che, credendo di fare giornalismo d’assalto, si sono prestati a diverse oscenità, come la vergognosa diretta dall’elicottero o gli articoli spazzatura che hanno ingigantito ogni singolo illecito amministrativo.

L’emergenza che stiamo vivendo impone a tutti di essere comprensivi e responsabili, ed è proprio per questo motivo che siamo rimasti in casa e non siamo andati nelle piazze, come invece, ad esempio, è accaduto in Israele, se pure con una modalità intelligentemente singolare.

Difficile però comprendere e tollerare le risposte asimmetriche dello Stato alle violazioni dei decreti. Sono state interrotte celebrazioni religiose prive di assembramenti, non senza la comminazione di salate multe per i pochissimi partecipanti, però, il 25 aprile, in via del Pratello (nota via, alquanto stretta, nel centro di Bologna), le forze dell’ordine non hanno multato i partecipanti non autorizzati delle celebrazioni per la Festa della Liberazione, come riportato da Il Resto del Carlino. Lo stesso si potrebbe dire per Roma (Alessandrino, Garbatella, Pigneto, Torpignattara etc.), Modena e per moltissime altre località in tutta la Penisola.

Sia chiaro: la questione non riguarda la risposta del Ministero dell’Interno ai modesti assembramenti del 25 aprile, ma l’uguaglianza dei gruppi sociali davanti alla legge. Pertanto, complimenti a chi, in nome dei propri ideali politici, ha sfidato il lockdown ed è sceso in piazza. Nessun complimento, invece, a chi avrebbe dovuto garantire l’uguaglianza di tutti cittadini davanti alle regole e non l’ha fatto o ha finto di farlo. L’asimmetria è evidente e ha l’odore di uno Stato Etico in cui il culto religioso, persino a Pasqua, andrebbe vissuto come un fatto privato e messo in non cale senza troppi problemi, mentre la celebrazione della festa partigiana apparterrebbe ad un alveo di valori irrinunciabili per la nostra Repubblica.

Intuita la nuova antifona di melodia cinese, la CEI è corsa ai ripari con il comunicato del 26 aprile, nel quale anzitutto ricorda che – come era stato prospettato nell’interlocuzione con il Governo – “la Chiesa esige di poter riprendere la sua azione pastorale nel momento in cui vengano ridotte le limitazioni assunte per far fronte alla pandemia”. Pertanto, i vescovi italiani lamentano l’esclusione arbitraria – disposta dall’ultimo decreto – “della possibilità di celebrare la Messa con il popolo”, sebbene la CEI abbia presentato “Orientamenti e Protocolli con cui affrontare una fase transitoria nel pieno rispetto di tutte le norme sanitarie”. Infine vengono ri-affermati due principi importantissimi che sembravano scomparsi durante questa quarantena: l’autonomia della Chiesa nell’organizzazione della vita della comunità cristiana – pur nel rispetto delle norme sanitarie – e l’importanza della vita sacramentale nell’esercizio della libertà di culto.

Dall’inizio di questa triste quarantena, due affermazioni hanno particolarmente colpito negativamente chi vi scrive.

Un politico ha detto che “abbiamo proibito l’attività fisica non perché sia la situazione più a rischio ma perché volevamo dare il senso di un regime molto stringente”. Un prete, invece, ha scritto che “Il culto cristiano, grazie a Dio, è ben più dell’Eucaristia e questo va detto con chiarezza, pur preservando l’importanza di quest’ultima”.

Tutto si tiene, dunque, ai tempi dello Stato padrone e della Chiesa ecumenista piegata alla politica.

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CAT: Religione

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