Virginia Raggi vince il primo braccio di ferro: la Lombardi lascia il direttorio
Sul suo profilo Facebook parla di “polemiche che interessano solo ai giornalisti”. Eppure lo strappo c’è stato, al di là delle dichiarazioni di facciata di […]
Ieri, nella sua consueta fiera dell’ovvietà (sempre ben scritta, va detto), Massimo Gramellini ha parlato delle elezioni a Roma, criticando la classe dirigente della sinistra che avrebbe perso i contatti con le “periferie dell’esistenza”.
Che la sinistra abbia perso contatto con le fasce più deboli della comunità romana lo dicono i numeri, che hanno visto progressivamente un suo arretramento nei quartieri più popolari. Lo racconta molto bene Roberto Morassut in due libri (MalaRoma, Roma Capitale 2.0), quando spiega in modo perfetto le stratificazioni del ceto medio romano, i suoi diversi disagi e le risposte che sono venute a mancare da parte della politica. Sono le periferie dei fumi tossici, dei campi rom, di quel solo autobus che (forse) arriverà al capolinea integro, dello sfruttamento della prostituzione, delle strade ridotte a crateri che diventano laghi al primo acquazzone. L’esistenza lasciamola a sfere più alte e intellettualoidi, quelle dei salotti e delle terrazze del centro storico che tanto amano gli editoriali di Gramellini.
Se poi serve qualche immagine metaforica a tutti i costi, forse sarebbe più corretto parlare di “periferie dello stomaco vuoto”, “periferie dell’arrivare a fine mese”, “periferie dell’affitto da pagare”, “periferie della fila per il ticket” e così via. Forse non sono solo i dirigenti della sinistra ad aver perso il contatto con le periferie, c’è anche una certa schiera di “pontificatori” che pur di gongolarsi sull’estetica delle parole, finiscono per parlare a cerchie sempre più ristrette, perdendo contatto – mi si perdoni il gioco di parole – con l’esistente.
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