Il Dottorato di ricerca nella manovra da tre miliardi per i giovani

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8 Dicembre 2017

di Giulio Formenti

Gli incentivi. Attualmente il Governo ha fatto uno sforzo nella direzione di garantire maggiori probabilità di un’occupazione stabile ai giovani attraverso la norma della Legge di bilancio che prevede incentivi, per quasi tre miliardi di euro in tre anni, alle aziende che assumono a tempo indeterminato giovani under 29 (under 35 il primo anno). Nell’ambito delle politiche per lo sviluppo occupazionale, gli incentivi da soli non bastano eppure sono, cionondimeno, essenziali. Tuttavia, se oltre all’occupazione si vuole al contempo incentivare i giovani a formarsi, si può facilmente ravvisare come un semplice limite d’età per accedere ai contributi, indipendente da qualsiasi considerazione rispetto agli anni di studi conseguiti, crei un discrimine poco ragionevole per chi ha deciso di investire molto del suo tempo a studiare. Questo è vero specialmente per chi intraprende un percorso di formazione terziario quale il Dottorato di ricerca, per il quale l’età media al conseguimento del titolo è di 33 anni (fonte: Almalaurea, 2015).

La proposta. Mercoledì scorso, ad un incontro alla Camera dei Deputati organizzato dall’On. Manuela Ghizzoni per presentare il libro di Giliberto Capano, Marino Regini e Matteo Turri “Salvare l’università italiana” (Il Mulino), ho segnalato la proposta (video 1), che è stata già raccolta da un emendamento parlamentare alla Legge di bilancio attualmente in discussione alla Camera, di non considerare gli anni del Dottorato ai fini dei nuovi incentivi per le assunzioni a tempo indeterminato previsti nella manovra. In questo modo il nostro futuro datore di lavoro può ricevere fino a 3000 euro per assumerci a tempo indeterminato entro 6 mesi dal conseguimento del titolo, semplicemente a patto che il dottorato sia stato iniziato all’età prescritta dal provvedimento. Peraltro, questo si può coniugare bene con i tempi della Dis-coll, l’indennità di disoccupazione e collocamento recentemente estesa anche a dottorandi e assegnisti di ricerca.

Il Comitato. Il Dottorato di ricerca, nonostante sia il massimo grado degli studi riconosciuto dal nostro ordinamento, in Italia è purtroppo valorizzato molto meno di quanto non lo sia all’estero. Per provare a migliorare questo stato di cose, abbiamo avviato la fondazione di un Comitato per la valorizzazione del Dottorato di ricerca che possa aggregare dottorandi e dottori di ricerca da tutta Italia. Tramite questo Comitato abbiamo portato avanti una piccola “campagna” che ha portato, nell’attuale legge di bilancio, a stanziare 20 milioni per cercare di avvicinare l’importo delle borse di dottorato a i migliori standard internazionali. Abbiamo anche lanciato una proposta di istituire una borsa di dottorato in ogni università d’Italia alla memoria di un nostro collega, Giulio Regeni, proposta che ho anch’essa ricordato mercoledì alla Camera (video 2).

L’analisi. Nonostante la scarsa valorizzazione, spesso si sente dire che i dottori di ricerca in Italia sono troppo pochi. Ma troppo pochi rispetto a cosa? Sebbene siano pochi rispetto ad altri paesi (0,4 contro una media OECD dell’1%, dati OCSE 2014) il numero di immatricolazioni non è così diverso dai paesi dove in genere si persegue una buona ricerca (1,7% dell’Italia contro il 2% dei paesi OECD). E il differenziale negativo rispetto agli altri paesi UE spesso è spiegato dall’assenza di studenti stranieri che scelgono l’Italia come meta per i loro studi (fonte: rapporto biennale ANVUR, 2016). La realtà è che oggi i Dottori di ricerca nonostante siano “pochi”, trovano ancora difficilmente impiego tanto nell’università quanto nel mondo del lavoro. Bisogna prima di tutto valorizzare l’esistente. Per questo, delle politiche come quella proposta, mirate ad integrarli e “farli riconoscere” nel sistema produttivo, sono quanto mai essenziali.

Gli altri problemi sul tavolo. Martedì scorso l’Associazione Dottorandi e Dottori di ricerca (ADI) ha presentato i dati di un’ultima analisi dello stato del Dottorato di ricerca in Italia. L’analisi conferma il dato precedente: i posti di Dottorato, che pure erano aumentati spaventosamente con l’autonomia universitaria per poi ridursi a seguito dell’introduzione di vincoli più stringenti per gli atenei, si sono stabilizzati, e anzi quest’anno aumentano leggermente i posti con borsa. Esistono, e vengono giustamente evidenziati, una serie di problemi relativi alle tasse d’iscrizione (presenti in 21 atenei su 60) e al Dottorato senza borsa, che potranno forse trovare soluzione, almeno parziale, nel prossimo Decreto Ministeriale di riforma del Dottorato di ricerca. Esiste anche un problema di concentrazione delle risorse e dei posti nel Nord del Paese, problema che però purtroppo riflette un problema più generale del Sud Italia ma che potrebbe essere affrontato proprio a partire da formazione e ricerca.

Cosa stiamo ricercando? Le sfide sono tante. Ma per poter realizzare qualsiasi proposito bisogna uscire dalla logica della rivendicazione: ci vuole una forza politica seria, coesa e capace di governare con criterio. Ci vuole anche metodo, ci vuole la volontà di comprendere le necessità del mondo universitario e c’è bisogno che il mondo universitario comprenda e risponda alle necessità del Paese. Soprattutto ci vuole la capacità di convincere tutti i decisori politici e tutti i cittadini che l’università e la ricerca devono tornare al centro dell’agenda politica del nostro Paese. Abbiamo gli strumenti per farlo, e tra questi lo strumento cardine è proprio il sistema universitario stesso, il quale però deve fare realmente sistema schierandosi unito, dal ministro in giù, per avanzare alla società civile richieste e proposte meditate in grado di garantire un ritorno per tutta la collettività.

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CAT: Roma, università

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