Memoria e Futuro

Affari da re

di Marco Di Salvo 18 Luglio 2025

Pur lasciando al direttore Tondelli la responsabilità di raccontare da par suo le vicende del nuovo scandalo milanese, non posso non intrecciarle con quelle che riguardano in queste stesse settimane, con minor clamore mediatico nazionale, i palazzi del potere palermitano. A partire dai nomi, che riecheggiano storie di potere antico, degne del Palazzo dei Normanni dove ha sede l’Assemblea Regionale Siciliana: Manfredi e Tancredi, sovrani che segnarono la storia della Sicilia medievale. Oggi, però, questi stessi nomi campeggiano nelle cronache giudiziarie a Milano, in una curiosa coincidenza che sembra unire intrighi contemporanei e echi del passato.

Da un lato, le indagini che coinvolgono il presidente del parlamento siciliano  Gaetano Galvagno e la sua ufficio stampa, tra l’altro, anch’essa milanese; dall’altro, gli scandali edilizi del capoluogo lombardo con protagonisti come l’assessore all’Urbanistica Giancarlo Tancredi e l’imprenditore Manfredi Catella. Un cortocircuito tra Medioevo e presente, dove i nomi altisonanti diventano involontari simboli di un malcostume abituale e trasversale.

La Sicilia rivive i suoi fantasmi più cupi grazie all’inchiesta che coinvolge Galvagno e l’assessora al Turismo Elvira Amata, accusati di aver deviato fondi pubblici destinati ad un evento da svolgere a Cannes verso benefici personali. Ruolo chiave in questo sistema è proprio l’ufficio stampa milanese del presidente, Sabrina De Capitani, accusata di aver gestito il flusso di denaro ottenendo in cambio, scrivono gli inquirenti, auto gratuite, abiti di lusso e biglietti per concerti e persino sconti in palestra (“na pooracciata”, avrebbe commentato Christian De Sica).

Le sue parole in un’intercettazione sono rivelatrici: “No ma amore adesso inizio a fare lobby”, quasi un manifesto involontario di un modus operandi che unisce clientelismo e professionalità. Intrecci ulteriori emergono con la Fondazione Dragotto, il cui vicepresidente avrebbe assunto il nipote dell’assessora Amata, creando una rete di favori che lega politica, fondazioni culturali e famiglia. E pare che gran parte di questa attività avvenisse alle spalle del Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana, che, a quanto raccontano le cronache, era informato a cose fatte. E non sempre.

A Milano, invece, i nomi regali tornano nell’inchiesta sul cosiddetto “piano ombra” edilizio. Giancarlo Tancredi, assessore all’Urbanistica, e Manfredi Catella, magnate immobiliare, sono finiti nel mirino della giustizia per presunte tangenti legate alla Commissione Paesaggio. L’ironia storica è palpabile: se il Manfredi storico fondò Manfredonia nel 1256, il suo omonimo moderno è associato a un sistema di “incontrollata espansione edilizia”. Le intercettazioni rivelano pressioni su progetti come le “torri di via Crescenzago” o il “Pirellino” di Stefano Boeri, in un gioco di potere che sembra riecheggiare le antiche congiure palermitane, dove il denaro sostituisce le spade. Se poi consideriamo che, come faceva notare il giornalista Pippo Russo su Facebook, il nome dell’azienda di Catella è la traduzione in spagnolo di mazzetta, il cortocircuito lessicale è completo.

Il filo rosso che unisce i due scandali è che, pare che questa volta non sia la linea della palma a salire al nord (come diceva Leonardo Sciascia), ma quella  dell’apericena (con azioni di lobbying seguite sicuramente da un bel brainstorming) a fare da sfondo alla corruzione in Sicilia. Sabrina De Capitani, con base a Milano, gestiva rapporti in Sicilia, coordinando finanziamenti e favori attraverso fondazioni come la Dragotto, evidenziando una geografia della corruzione che supera i confini regionali. Questa connessione Nord-Sud a parti invertite, impensabile nei secoli passati, oggi si realizza attraverso pratiche opache che replicano le reti di potere che richiamano quelle medievali.

Se i sovrani dell’epoca lottavano per l’indipendenza del Regno di Sicilia, i loro omonimi moderni sono travolti da inchieste che svelano meccanismi di potere trasversali, che agiscono da pupari nei confronti di una politica sempre più ancella. I nomi di Manfredi e Tancredi, un tempo simboli di sovranità, oggi incarnano la crisi della legittimità istituzionale, in una penisola dove fondi pubblici diventano benefit, uffici stampa si trasformano in centri di lobbying e il Nord è unito al Sud non dalla cultura, ma dalla corruzione. Un’amara cronaca che dimostra come certi retaggi storici, pur mutando forma e direzione, resistano al passare dei secoli.

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