Memoria e Futuro

Aldo e il Vesuvio

di Marco Di Salvo 14 Maggio 2025

Nell’ultimo film di cui è duplice protagonista, Robert De Niro dice di Vito Genovese, boss di cosa nostra italo americano: “Lui era nato alle pendici di un vulcano, anche per questo aveva questo carattere difficilmente governabile e fumino”.

Ora, parlo per caso personale, essendo nato a Catania, ma non è solo questa una delle caratteristiche che segna l’anima di che è cresciuto a fianco a un vulcano. Anzi, la più significativa è il senso di intima precarietà che circonda costantemente la tua vita anche se dal vulcano ti sei allontanato migliaia di chilometri. È sottopelle e non riesci a considerare nulla che faccia parte la tua vita come permanente.

Ma immaginate di abitare oggi a Napoli (e dintorni), dove il panorama include non solo il mare e il sole, ma anche un vulcano che, come un nonno un po’ sordo, ogni tanto si sveglia e chiede: «Che succede?». Le ultime vicende legate ai Campi Flegrei non possono che farmi ripensare a un personaggio straordinario conosciuto anni fa, Aldo Loris Rossi, architetto napoletano con l’anima di un profeta arrabbiato e la battuta pronta, che passò buona parte della sua vita a urlare inascoltato: «Qui stiamo giocando a Risiko con due milioni di pedine umane!».

Rossi, per come lo ricordo io, non era tipo da mezze misure. Mentre la politica locale si trastullava a costruire palazzine fin sotto le falde del Vesuvio, lui sbatteva in faccia a tutti la realtà: «Avete trasformato Napoli in un monolocale con due bombe a orologeria: il Vesuvio e i Campi Flegrei». E se qualcuno gli chiedeva perché nessuno facesse niente, rispondeva con un sospiro: «Perché qui siamo specializzati nel nascondere la testa sotto la sabbia… vulcanica» .

La sua ricetta per risolvere la questione era semplice ma impossibile allo stesso tempo «Sgombrare 25 paesi vesuviani, prima che la lava li trasformi in souvenir per turisti del 2300». Ma ancora oggi no,  si preferisce discutere se il piano di evacuazione debba includere anche i motorini parcheggiati in doppia fila. Ricordo ancora quando diceva: «La Protezione Civile ha un piano? Sì, un memo del 2007 che spiega come sopravvivere a un’eruzione… leggendo Ovidio», ironizzava .

Rossi, con la sua utopia radicale, sognava una Napoli «bio-diversa», fatta di edifici che danzassero con il territorio, non di scatoloni di cemento antisismici quanto un castello di carte.

E il popolo napoletano, che rispondeva alle sue previsioni con gesti apotropaici? Aldo ne aveva anche per loro«Metà è scappato con le valigie di cartone, l’altra metà aspetta il miracolo di San Gennaro… o un reality show sulla fuga piroclastica», sbuffava. Intanto, Aldo è  da tempo morto e i sindaci continuano a firmare condoni edilizi come se fossero autografi, e i vulcanologi si chiedono se, alla prossima eruzione, l’unico piano di emergenza sarà un «Curre, Curre, guagliò!»* collettivo.

Perché un’altra cosa che ti insegna a vivere accanto a un vulcano è ignorare la presenza del pericolo, fare finta che tutto sia normale. Per descrivere la sensazione, è come avere un dragone nella cuccia del cane in giardino: tutti si scordano perfino dell’esistenza finché non sputa fuoco.

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