
Cosa vi siete persi
Aveva ragione Luigi
Questa volta ci occupiamo di recuperare un libro e un autore che avrebbe meritato maggior fortuna, soprattutto per la capacità di analisi ma anche per la capacità di scrittura ineguagliabile. Si tratta di Luigi Bernardi e ne parliamo in relazione a una parte della sua carriera di scrittore, quella cominciata quasi per caso con la compilazione per due anni di seguito de il Libro dei crimini, per Adn-Kronos. Questa attività di ricerca spinse Bernardi ad un’analisi approfondita del tema, un fenomeno che ha indagato in opere come 101 pallottole vaganti (2000), A sangue caldo (2001) e Il male stanco (2003), offrendo una lente critica per comprendere come la società italiana interagisca con la violenza e il crimine.
Soprattutto in quest’ultimo libro, Bernardi analizza una serie di omicidi quotidiani, trasformandoli in metafore di un malessere sociale più ampio. Non si tratta solo di raccontare fatti di sangue, ma di scavare nelle dinamiche che li rendono “spettacolo” per il pubblico. L’autore sottolinea come i delitti, soprattutto quelli con elementi misteriosi o familiari, diventino oggetto di un consumo collettivo, alimentato da media e gossip. Questo approccio anticipa la narrativa moderna true crime, dove il confine tra informazione e intrattenimento si fa sempre più labile.
Il caso di Garlasco, che nel 2007 sconvolse l’opinione pubblica con l’omicidio di Chiara Poggi e che questa settimana è tornato di prepotenza sulle prime pagine dei giornali, è emblematico di questa tendenza. L’indagine, incentrata sul compagno della vittima, Alberto Stasi, divenne un fenomeno mediatico, con dettagli macabri e ipotesi investigative amplificate dai tabloid. E i nuovi sviluppi non fanno sperare nulla di diverso. Bernardi, in opere come *Pallottole vaganti* (2002), aveva già messo in luce come certi crimini vengano trasformati in “fiabe ammonitrici”, strumenti per riflettere paure collettive o pregiudizi. Nel caso Garlasco, la narrazione pubblica oscillò (e continua ad oscillare) tra la ricerca della verità giudiziaria e il morboso interesse per i retroscena familiari, dimostrando come il crimine possa diventare un’ossessione nazionale.
Bernardi, nella sua analisi, non si limita a descrivere i delitti, ma ne esplora il contesto. Nelle due edizioni de Il libro dei crimini, ad esempio, aveva tracciato una mappa della criminalità italiana, evidenziando come nuove forme di malavita organizzata e di violenza domestica riflettano fratture sociali ed economiche. Il caso Garlasco, con la sua ambientazione borghese e i sospetti rivolti a figure insospettabili, incarna questa dualità: un crimine che sfida l’immagine rassicurante della provincia italiana, rivelando un “male oscuro” strisciante.
L’ossessione per i delitti, secondo Bernardi, non è solo voyeurismo, ma un sintomo di un disagio più profondo. Opere come Il male stanco invitano a interrogarsi sul perché certi crimini catturino l’immaginario collettivo, trasformandosi in simboli di paure irrisolte. Il caso Garlasco, con il suo intreccio di ambiguità giudiziarie e sensazionalismo, dimostra che questa dinamica resta attuale. Come scriveva Bernardi,
«Una società capace di maturare a ripetizione certe malattie è una società ormai infetta, immune a qualsiasi antidoto che non sia una specie di disinfestazione alle radici. Da dove possa partire questa disinfestazione non lo so, dicerto potrebbe aiutare non nascondersi dietro le parole, non girare gli occhi dall’altra parte, chiamare le cose con il proprio nome, riacquistare il principio di realtà, ricreare quella distanza con il mondo esterno che il pensiero unico ha cancellato. Il male va affrontato, nella sua lurida essenza, senza trasfigurarlo in qualcosa che non è. Scrivere di una bambina appena uccisa dalla mamma come di un angelo salito in cielo, oltre che un’atroce fesseria, è chiudere gli occhi, allentare persino la condanna morale del gesto che ha portato quella bambina ad avere ormai il corpo divorato dai vermi. E non vederli, quei vermi, fare finta che non esistano,convenire sulla loro irrealtà. Si dovrebbero invece guardare in faccia, tutti questi vermi della nostra contemporaneità, descriverli in ogni loro movimento, irriderli se occorre, schiacciarli se necessario. Forse non basterà, ma è il primo, necessario passo» .
In un’era dominata dai social media, dove l’accesso alla cronaca nera è immediato e spesso distorto, le intuizioni di Bernardi appaiono profetiche. La sfida, oggi, è distinguere tra il diritto all’informazione e il consumo passivo di violenza, senza cadere nell’ossessione che trasforma le vittime in personaggi e i colpevoli in icone. Naturalmente, se potete, recuperatelo, assieme alle altre opere dell’autore bolognese. Non ve ne pentirete.
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