
Memoria e Futuro
Camicette nere
Ah, gli studi sui giovani! Ogni anno, spesso di questo periodo quando le notizie (e i giornalisti) scarseggiano, ci regalano perle ansiogene che i giornali trasformano in titoli apocalittici. L’ultimo gioiello è la Jugendstudie 2025 della TUI Stiftung, dove scopriamo che “solo” il 25% dei giovani italiani sogna una “svolta autoritaria”. Il dato che, di per sé, visti i decenni in cui sono cresciuti questi ragazzi, sarebbe da festeggiare, viene brandito come prova di un’imminente invasione di camicie nere. Ma siamo seri? Se anche Churchill definiva la democrazia “la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre”, forse quel 25% è semplicemente realista: non è che adori i dittatori, è che la democrazia gli sembra un parente anziano che ha perso le capacità cognitive e che, comunque, vuole dettare legge.
Sarebbero altri e ben più pregnanti i dati da analizzare di questo studio che, per esempio, rivela un dettaglio che, letto bene, è più inquietante di ogni richiamo all'”All’armi, son fascisti”: in Europa, solo il 6% dei giovani pensa che il sistema politico del proprio paese funzioni bene. In Italia? Un esilarante 9%.
Eppure, i giornali “democratici” del nostro paese si concentrano sul fantomatico 25% “autoritario”, ignorando l’elefante nella stanza: il 91% degli italiani under 26 che la democrazia la vuole, ma riformata. Come se un paziente chiedesse una terapia migliore e il medico lo accusasse di voler uccidere la medicina.
Mentre i leader Ue si riempiono la bocca di “solidarietà transnazionale” (vedasi il Fellowship 2025 che cerca giovani per workshop su “resilienza e diritti fondamentali”, tema già dal titolo da orticaria), i ragazzi dicono chiaro e tondo: il 53% pensa che l’Europa sprechi tempo in “piccolezze” invece di occuparsi dei problemi veri. Priorità? Costo della vita (36%) e difesa da minacce esterne (25%). C’è qualcosa di diverso da quello che ognuno di noi desidererebbe, qualunque età abbia?
Ma, è inutile, ogni volta che esce uno studio simile, i media nazionali “impegnati” scavano la fossa alla democrazia con tre rituali: la rimozione churchilliana (mai citare la parte in cui ammette che la democrazia è un disastro organizzato) e l’ingrandimento selvaggio (25% di giovani “critici” diventa “un quarto di fascisti in erba”), e la soluzione bambinesca (organizziamo un altro workshop o una bella commissione invece di ascoltare le loro lamentele su affitti e stipendi da fame). Messe cantate, come quella andata in scena all’ultimo Premio Strega, addobbato come un covo partigiano d’antan, in cui si declamava, a passatempo, Pasolini, invece di chiedersi dov’è finita la narrativa italiana e, soprattutto, i suoi lettori.
Il vero paradosso non è quel 25%, ma un sistema che si professa democratico e poi ignora il 48% dei giovani europei che ritiene la democrazia “in pericolo”. Forse, anziché agitarsi per i presunti aspiranti amanti dei dittatori, i giornali dovrebbero chiedersi: cosa sbagliamo nel nostro racconto? E come possiamo migliorarlo, anche per riconquistare almeno una parte di questi giovani che, tranne che grazie per queste inchieste estive o agli efferati delitti, nessuno vede sulle nostre pagine?
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